«Sullo sfondo delle dichiarazioni del Presidente dell’INPS – che sull’invalidità continua a citare dati non veritieri o a ometterne altri, entrando addirittura “a gamba tesa” nel merito delle diagnosi mediche – resta il destino di centinaia di migliaia di famiglie italiane, che in questi due anni hanno vissuto con ansia, con angoscia, lo stillicidio dei controlli, delle sospensioni delle pensioni e delle indennità, della richiesta arcigna e continua di montagne di certificazioni cartacee, di documenti vecchi e nuovi, di visite anche per persone che a meno di un miracolo non potranno mai riacquistare la mobilità, la vista, o l’udito o le capacità intellettive»: lo ha scritto in questi giorni sulle nostre pagine Franco Bomprezzi (se ne legga cliccando qui) e la (bruttissima) storia che oggi raccontiamo, riguardante Andrea Tron e la sua famiglia, ne è uno dei tanti esempi concreti. Non il primo né l’ultimo, purtroppo. (S.B.)
Il 2011 è stato un anno davvero difficile per noi famiglie con disabilità. In nome del risparmio e dei tagli, abbiamo dovuto – nostro malgrado – diventare protagonisti di lotte “giornaliere” contro le Istituzioni, per garantire i diritti (!) dei nostri figli.
Noi, per esempio, abbiamo dovuto lottare con la scuola, per le ore di sostegno e il dovere all’inclusione e con il Comune, per le strisce pedonali davanti a casa. Abbiamo poi dovuto “giustificarci” con l’ASL, per visite-soggiorni specialistici, per la richiesta della sedia a rotelle e per i pannolini, ma soprattutto abbiamo dovuto essere letteralmente “processati e umiliati” per i controlli dell’INPS, ai fini del rinnovo dell’accompagnamento.
Ognuna di queste “lotte” – condita da carichi enormi di burocrazie, spesso inutili – ci ha costretto a spendere tutte le nostre energie a star dietro a tutto ciò, invece di provare a crescere il nostro bimbo speciale e la sua bravissima sorellina. Potrei davvero scrivere un libro su ogni punto di cui sopra, ma per questa volta preferisco cominciare dalla fine, ovvero dall’INPS.
Sono il papà di un bimbo nato prematuro, che all’età di un mese e mezzo ha avuto un’encefalite. In conseguenza di tutto ciò, Samuele, che oggi ha 6 anni, non parla, non cammina da solo, ha un grave ritardo intellettivo e – come avrei detto fino a qualche settimana fa – non vede… Voglio precisare sin d’ora, infatti (e presto si capirà il perché), che se mi posiziono a due centimetri da Samuele, senza parlare e in qualsiasi posizione, lui non si accorge di me, mentre se parlo o soffio, mi cerca a tentoni.
Qualche mese fa, dunque, ho ricevuto una richiesta di visita dall’INPS di Collegno (Torino), per il controllo della cecità totale di Samuele. Piuttosto seccato, ho risposto all’INPS che mio figlio rientrava in almeno tre delle sei-sette categorie di persone esentate dal controllo, ma non avendo nulla da nascondere, ho allegato al fax diciannove pagine di documentazione medica effettuata dall’ultimo controllo.
Il giorno dopo una gentilissima operatrice dell’INPS mi ha telefonato per spiegarmi che in effetti avevo ragione, ma che utilizzavano queste visite per anticipare la revisione, comunque prevista per il mese di febbraio del 2012, in modo da evitare «blocchi dell’accompagnamento dovuti a ritardi dell’Istituto». Mi ha detto inoltre che vista la corposa documentazione, avrebbe fatto vedere il tutto a una commissione medica e forse avremmo evitato la visita.
Qualche giorno dopo mi ha chiamato, per confermarmi che era tutto a posto, che non serviva la presenza nostra e del bimbo alla visita e che avremmo ricevuto a casa la conferma di rinnovo dell’accompagnamento.
Ero senza parole: gentilezza, efficienza… Un sospiro di sollievo! Quasi non ci credevo… E facevo bene, perché “l’incubo” stava solo per iniziare!
Dopo alcune settimane, infatti, non ricevendo nulla, ho cominciato a insospettirmi, e ho provato a contattare al telefono l’INPS di Collegno (per andarci di persona da Pinerolo, dove risiedo, è un viaggio di almeno un ora). Nulla, irrintracciabili. Mando allora un fax, chiedendo di confermarmi che fosse tutto a posto, come concordato al telefono. Per due-tre giorni nulla. Poi, improvvisamente, ricevo un SMS: «INPS INFORMA: URGENTE! DEFINIZIONE SU ATTI REVISIONE SIG. TRON SAMUELE BLOCCATA DA CSM, NECESSITA VISITA IL 02-12 DARE CONFERMA VIA FAX».
Rimango sbigottito. Ma come? Tutto il contrario di ciò che mi avevano detto. E poi via SMS, senza alcuna spiegazione… Mi sento umiliato, e siccome il 2 dicembre dovrò essere ad Ancona per un soggiorno riabilitativo presso la Lega del Filo D’Oro, mi precipito a Collegno per avere spiegazioni e spostare la visita.
Mi spiegano che siccome Samuele è un minore, la visita va fatta comunque e che possiamo anticiparla al 25 novembre. «La convocazione è alle 9 – precisano -, ma siccome chiamiamo altre quaranta persone e lei ha un bimbo, venga alle 12.45»!Ringrazio, ma rimango perplesso. Siamo disabili o animali?…
Il 25 novembre, dunque, mi presento a Collegno alle 11.35, con Samuele e mia moglie Roberta. Aspettiamo un’ora! Samuele non ce la fa più. Poi entriamo, convinti che, viste le premesse, sarà una formalità.
Tre sono i componenti della Commissione, ma a presiederla è la dottoressa Trinchillo. Prende in mano il mio fax ed è evidente che lo vede per la prima volta. Non solo, ma essendo corposo, avevo diviso e numerato tutte le pagine per ogni tipo di documento, senza però che i fogli fossero stati cuciti, cosicché la dottoressa comincia a confonderli, fino a dire: «Non ci capisco nulla… Mi dia gli originali».
Sempre più perplesso, le porgo una alla volta la mia copia dei documenti, che tra l’altro comincia a confondere con i suoi. Samuele, intanto, si agita, e perciò chiedo se lo visitano subito o se posso dargli la musica che lo calma un po’, quando è in posti nuovi con voci sconosciute. Nessuna risposta! Dopo un po’ gli do la musica…
A questo punto comincia un “siparietto” in cui la dottoressa cerca di capire dal computer perché siamo a quella visita. Infatti, non solo non aveva mai visto i documenti spediti un mese prima, ma manco sapeva perché eravamo lì.
Sempre più perplesso, le spiego che siamo li per la cecità totale. Guarda la documentazione e noi li a guardarla… Dopo un po’ si accorge che nella relazione dell’Istituto Neurologico Mondino di Pavia del febbraio 2011 (sei pagine), manca la refertazione dell’esame dei PEV [Potenziali Evocati Visivi, N.d.R.] e me ne chiede giustificazione (nella relazione c’era scritto “in corso di refertazione”). Le spiego che non me n’ero accorto e le sottolineo che ci sono però i PEV del 2007 e del 2009. La dottoressa si impunta e in pratica allude al fatto che «stiamo nascondendo i PEV del 2011 perché vogliamo fregare lo stato!». Sono letteralmente basito e senza parole.
Uno dei tre componenti della commissione si alza e dopo una discussione, dichiara testualmente: «Con questa non si può lavorare, figuriamoci se i PEV del 2009 non bastano… Io me ne vado!» e abbandona definitivamente la commissione! Mi sembra di vivere un incubo o forse siamo su Scherzi a parte!
Comincio a innervosirmi e chiedo alla dottoressa come sia possibile che dopo un mese che ho consegnato la documentazione, dopo che mi hanno detto che addirittura non serviva la visita, adesso mi contestano i documenti! Bastava una telefonata all’Istituto Mondino e in due ore avrei avuto il referto…
L’ambiente è pesante, io sono esterrefatto e la dottoressa – con tono sempre più accusatorio – si rivolge a me dicendo: «E poi con una patologia come quella di Samuele [una lesione celebrale, N.d.A.] potrebbe non vedere per un blocco psicologico». Vedo tutto nero! Comincio a urlare e dopo poco esco per non ribaltare scrivania e dottoressa… Ma perché devo essere umiliato così!?
Mentre sono fuori a smaltire, mia moglie cerca di capire cosa dobbiamo fare. In pratica dovremo fare un’ulteriore visita da un medico legale oculista, cosicché la dottoressa – su un angolo strappato di un foglio (quello qui a fianco riportato…) – ci scrive dove andare e cosa portare alla prossima visita.
Mia moglie chiede alla dottoressa il nome, non avendo lei il cartellino. Ci risponde che ce lo dà, aggiungendo però: «Non cercate di contattarmi!». Anche Roberta raggiunge il limite e urla… si sente davvero umiliata!
Rientro. Faccio notare che è ormai da un’ora che siamo li, che abbiamo solo guardato i documenti e che mi hanno contestato dati che avevano da almeno un mese e che avrei potuto risolvere la situazione in un giorno. E soprattutto che nessuno aveva e avrà intenzione di visitare Samuele. Ebbene, la dottoressa riesce ancora a dire che non ha voluto «disturbare Samuele perché soffriva»! Davvero è troppo… Mi sento distrutto, umiliato, trattato come un disonesto e anche un po’ stupido, perché poi, per giorni, non ho più dormito, sentendomi in colpa per avere alzato la voce…
Per fortuna il giorno dopo partiamo per le Marche, dove – come accennavo – avevamo pianificato una settimana di riabilitazione presso la Lega del Filo d’Oro. A quest’ultima organizzazione chiediamo una consulenza, per capire se stiamo sbagliando, se quel residuo di percezione della luce che Samuele ha in determinati contesti favorevoli (al buio) e solo in alto a destra e a sinistra, per brevissimi periodi, possa incidere sulla definizione di cieco totale. Non hanno dubbi: «Cieco totale».
Ancora, per sicurezza, una volta tornato in Piemonte, grazie all’Unione Italiana Ciechi, mi avvalgo della consulenza gratuita di un medico legale che visti i documenti, ribadisce: «Samuele è cieco totale». Mi convince anche che non è il caso che alla prossima visita ci accompagni, perché i documenti sono esaustivi.
Ci presentiamo quindi all’INPS di Torino, con i documenti precedentemente mancanti e con un altro rilasciato dalla Lega del Filo d’Oro.
Anche qui però – anche se questa volta il dottore è gentilissimo – cominciano a contestarci il fatto che Samuele «potrebbe essere cieco parziale». Non capisco perché fuori dall’INPS tutti mi dicono che non ci sono dubbi, mentre qui mettono sempre tutto in discussione…
Il discorso che mi viene fatto si può riassumere così: «Samuele non è collaborativo: se gli metto tre dita davanti agli occhi e gli chiedo quante sono, non risponde» (ci credo, non parla…); «Siccome non e collaborativo io [dottore] non so giudicare se non vede e quindi non posso dire che non vede»; infine, «Samuele e così grave che non vede perché ha altri problemi, ma non perché non vede»…
Sono a dir poco senza parole. Ma perché l’INPS, se ha dubbi su Samuele, non lo fa vedere da un centro specializzato per pluridisabilità? Sono io che devo “giustificarmi” per il fatto che non parla?!
Vedo tutto nero… un’altra volta, anche se la cortesia del medico fa sì che non perda il controllo. Mi sento però di nuovo trasportato in un incubo. Non capisco, siamo venuti qui apposta per far visitare Samuele e di nuovo mi dicono che non sono in grado di farlo? Chiedo allora che cosa succederà e il medico mi dice che non lo sa (!?), che decideranno a Roma (!?) e che ci vorranno mesi (!?).
Mi sento letteralmente preso in giro! Ma com’è possibile che ci vogliano mesi per decidere? O è cieco o ci vede! O servono altri esami – e allora facciamoli – oppure cosa c’è da decidere? E cosa c’entra Roma? Perché il medico non si prende le sue responsabilità e ci dice chiaramente dove sono i dubbi e come pensa di risolverli?La netta impressione, per altro, è che le cose non vengano dette per evitare che ci si possa difendere.
Ci congedano quindi senza risposte, dicendoci di «aspettate tranquilli e di passare un Buon Natale»…
Vengo allora a sapere per vie traverse – il medico legale cui avevo chiesto consulenza aveva incontrato a un seminario quello dell’INPS dell’ultima visita – che su un documento del 2009 forse si fa riferimento a un parametro che parrebbe dire che Samuele ha un residuo di un ventesimo (quindi una visione parziale). Ma perché non mi è stato detto durante la visita?
Verifico e in effetti il parametro c’è, anche se “smentito” dalle visite successive del 2011 e persino dalla stessa relazione del 2009, che se letta nella sua interezza, mette in evidenza come Samuele non riconosca un oggetto – né suo padre! -neanche a pochi centimetri di distanza.
Ora, quindi, aspettiamo. Presumibilmente ci sospenderanno l’accompagnamento in attesa del verdetto e poi forse dovremo fare ricorso.
Credo che certamente, con un minimo di organizzazione e sensibilità, si potessero evitare due visite assolutamente inutili, un sacco di stress e tempo perso; chiedendo ad esempio telefonicamente di aggiungere la documentazione mancante e di integrare il tutto con eventuali visite che dipanassero ogni dubbio, magari che dimostrassero proprio la visione parziale (MAGARI!). Ma era forse troppo semplice ed economico per tutti noi.
Invece, si preferisce essere fumosi, far perdere un sacco di tempo, far pagare a tutti visite inutili, far perdere energie e magari “stroncare” le famiglie che preferiscono lasciare le cose così, per evitare di dover lottare. E questo – guarda caso – assomiglia molto all’atteggiamento delle scuole sulle ore di sostegno: «Io, scuola, le dimezzo, se poi la famiglia “rompe” o fa ricorso le rimetto… e così, in barba alla legge che prevede un determinato numero di ore, io, scuola, intanto le tolgo e saranno in tanti ad accettare il taglio, cosicché farò un bel risparmio».
Posso assicurare infine che la mia storia non è affatto eccezionale e anzi noi stessi, sui punti elencati all’inizio, potremmo raccontarne molte di simili.
Credo in questo senso di avere dedicato il 70% del tempo che avevo pianificato nel 2011 per Samuele a lottare contro burocrazie e ingiustizie, invece di stare con lui. No, davvero non credo che siamo sulla strada giusta per salvare l’Italia!
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