Sta succedendo. Giorno dopo giorno. Crescono l’ansia, la rabbia, la preoccupazione, l’incertezza. La disabilità non è solo una situazione umana che tocca chi la vive sulla propria pelle. Molto spesso la disabilità si trasferisce su altre persone. Per primi i genitori, la mamma, il papà, e poi i fratelli, le sorelle, è inevitabile; è così che succede da sempre, soprattutto quando la persona con disabilità non è in grado di rappresentarsi da sola, di parlare, di comunicare nel modo ordinario che noi tutti attribuiamo a questo termine.
E allora succede che l’handicap si trasferisce sui familiari. Avviene da un punto di vista legale, il che è assolutamente logico. Ma accade anche dal punto di vista della comunicazione emotiva. Specialmente in tempi difficili come questi. Quando cioè, per effetto della crisi del welfare, cadono le certezze, aumentano le insicurezze rispetto ai diritti conquistati in anni di leggi e di leggine, di certificati e di diagnosi, di percentuali e di servizi messi in fila uno dopo l’altro per ridare un senso dignitoso alla vita.
Leggo in questi giorni di un’iniziativa molto forte e dolorosa, messa in atto da un gruppo di genitori, per volontà di una mamma torinese, molto determinata e tenace, Marina Cometto (fondatrice dell’Associazione Claudia Bottigelli per la Difesa ddi Diritti Umani e l’Aiuto alle Famiglie con Figli Disabili Gravissimi, che prende il nome dalla figlia, colpita da sindrome di Rett). Hanno deciso di restituire la tessera elettorale al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accompagnando il gesto con una lettera dai toni forti e amari, diffusa nei giorni scorsi, soprattutto grazie al tam tam dei social network, in particolare Facebook [la si legga cliccando qui, N.d.R.]. Eccone un passaggio: «La goccia che però ha fatto traboccare il vaso è stata l’ultima notizia che ho letto riguardo ai TICKET che si vogliono imporre anche sulle forniture di pannoloni, ossigeno, alimenti per celiaci, ausili per diabetici, lancette, strisce e macchinette perla rilevazione quotidiana della glicemia, molti di questi sono salvavita e la vita non si può salvaguardare a seconda del reddito, non in un Paese civile».
Notizie non confermate da provvedimenti, solo ipotesi di lavoro, ma tanto basta a mettere in uno stato crescente di ansia un popolo di genitori che soprattutto negli ultimi anni sono stati costretti a ridiscutere, a causa dei controlli a tappeto sulle pensioni di invalidità, originati dalla campagna sui cosiddetti “falsi invalidi”, anche certificazioni relative a situazioni di assoluta gravità, non migliorabili a meno di un miracolo.
E poi i tagli ai trasferimenti agli Enti Locali, la contrazione dei servizi socioassistenziali, la mancanza di punti di riferimento certi. Tutto sta portando le famiglie verso un’esasperazione che è comprensibile, anche se in verità il recente incontro del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Fornero, con le rappresentanze di FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), i coordinamenti delle più importanti associazioni italiane, è stato tutt’altro che negativo [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Il rischio dell’antipolitica contagia dunque anche il mondo normalmente molto pacato e dignitoso dei familiari di persone disabili in situazione di gravità. La coesione sociale, di cui tanto si parla, è ai limiti di rottura. E qui non c’è nessuna monotonia da superare, visto che la disabilità, in questo caso, è davvero a tempo indeterminato.
*Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo, qui riproposto con alcuni adattamenti, è apparso anche in InVisibili, blog del «Corriere della Sera», con il medesimo titolo di Disabili a tempo indeterminato.
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