Ad ogni diritto corrisponde, in una società civile, anche un dovere. E da questa regola non sono esenti nemmeno le persone con disabilità. Un concetto semplice, forse un po’ indigesto, ma alquanto ovvio: laddove una persona con disabilità riesca a fruire di un servizio alla stessa identica maniera di chi non è disabile, deve pagarne anche gli oneri. Negli Stati Uniti, ad esempio, la persona con disabilità che si reca allo stadio può scegliere quale posto occupare, se preferire la tribuna centrale o la curva. Può andare al primo anello, o al secondo. Non ci sono posti preassegnati d’ufficio. Tutto è accessibile. Ma questa accessibilità si paga. La persona con disabilità paga un biglietto normale perché è messo in condizioni di parità con gli altri.
In Italia, invece, accade spesso che i luoghi pubblici, dagli stadi ai teatri, dai cinema ai concerti, siano parzialmente accessibili e che i responsabili delle strutture, con la scusa che «tanto non facciamo pagare il biglietto d’ingresso», si alleggeriscano la coscienza. I lavori di adeguamento, invece di essere un obbligo di legge, diventano un optional. «Tanto non pagano, che non rompano!». La frase tra virgolette non è mia, ma è rubata al commento ad un post pubblicato dal blog InVisibili di «Corriere.it», sui problemi di accesso al cinema, durante la proiezione del film Quasi amici [lo si legga cliccando qui. Testo ripreso anche dal nostro sito e disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Ma il problema dei diritti e dei doveri non si limita a un banale biglietto, perché molte volte i doveri superano di gran lunga i diritti. Anzi talvolta si ha la sensazione che i primi facciano uno sberleffo ai secondi.
Un esempio di questa presa in giro è rappresentato dall’IMU, l’Imposta Municipale Unica. In altre parole, la “tassa più odiata dagli italiani”. La settimana scorsa i social network sono stati teatro di una protesta tutt’altro che “politically correct”. Lo slogan più comune era: «I disabili e gli anziani pagano l’IMU, le banche no».
Il cosiddetto “Decreto Salva Italia” – che pure prevede uno sconto di 50 euro per ogni figlio a carico fino a 26 anni – non concede nulla alle famiglie di disabili adulti, spesso gravi e gravissimi, a carico per tutta la vita. Questo poi a fronte di una continua richiesta – da parte di chi presta servizi a queste famiglie – di contributi per erogare le prestazioni sociali. I continui tagli al welfare si riverberano di fatto sulle famiglie con persone con disabilità grave, impoverendole sempre di più.
“Invisibili” tra gli “invisibili”, poi, ci sono gli anziani ricoverati in case di riposo su cui l’IMU si abbatterà come un salasso. La SPI-CGIL, il sindacato dei pensionati, ha lanciato l’allarme: oltre 300.000 anziani dovranno pagare migliaia di euro pur essendo ricoverati in casa di riposo. Pagheranno l’IMU sulla casa dove risiedevano, come se questa fosse un’abitazione vuota. Stesso trattamento se la casa è stata lasciata in uso a un figlio. Il testo arrivato in Senato parla di un’aliquota almeno dello 0,38%, anche se i Comuni di residenza ne applicassero una inferiore.
In un Paese perfetto si misurerebbe il reddito di questi anziani e delle famiglie con disabili gravi cercando di capire se la casa è “un lusso da tassare” o “un’esigenza”. Se come ho scritto, a ogni diritto corrisponde un dovere, una persona con disabilità che come me lavora e guadagna ha il dovere di contribuire nella sue possibilità alle spese dello Stato.
Ma è un obbligo ugualmente forte, per lo Stato, proteggere i suoi Cittadini più fragili. Nella Costituzione non c’è un articoletto a riguardo? Forse l’articolo 53 non dice che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva?».
*Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al contesto, è stato pubblicato da InVisibili, blog del «Corriere della Sera», con il titolo Diritti, doveri e le contraddizioni dell’IMU. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.
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