Bisogna essere davvero fuori dagli schemi per presentarsi al mondo come “La principessa sul pisello”. E in effetti Marina Garaventa, classe 1960, nativa di Genova, di schemi ne ha infranti parecchi. Sin dalla nascita è stata colpita dalla sindrome di Ehlers-Danlos (una patologia che riguarda il tessuto connettivo e che comporta principalmente problemi alle articolazioni, alla pelle e agli organi interni). Dal 2002, poi, a causa di un’altra patologia, la sindrome di Guillain-Barré, deve utilizzare il costante supporto di un respiratore.
Oggi vive in una sorta di “letto-trono”, circondata da quindici cuscini. Nel suo blog – La principessa sul pisello, appunto – si presenta così: «Io non mi muovo, non parlo ma, grazie al mio pc, COMUNICO! Scrivo libri, articoli, mi occupo di sociale, di politica, di musica e di molto altro. Insomma, IO VIVO!» (grassetti nostri).
Recentemente è stata pubblicata la sua ultima opera autobiografica, Voglio arrivarci viva. Una vita vissuta pericolosamente (con quattro «intermezzi» di Emilia Tasso, Milano, TEA, 2012). In essa traspare lo stile asciutto, lucido, minuzioso di chi guarda il mondo da un angolo di osservazione differente. Non migliore né peggiore, ci tiene a precisare la stessa Autrice, ma certamente diverso. E anche qui – come già nei suoi scritti precedenti, nel suo blog, nei filmati che la raccontano – l’irrinunciabile ironia – ora dissacrante, ora disarmante – di chi non pensa neanche lontanamente a piangersi addosso, né, tanto meno, è disponibile a farsi compatire.
Marina Garaventa coltiva tanti interessi, fa tante cose, porta avanti le battaglie civili in cui crede (i suoi interventi in tema di testamento biologico hanno avuto risonanza nazionale), ama la vita profondamente e si concede anche il lusso di essere diretta e genuina (nel bene e nel male). (Simona Lancioni)
“Principessa Marina”, lei gestisce un blog personale, usa i social network, ha un album su Flickr, è la protagonista del documentario Finché penso, vivo. La storia di Marina, la vera Principessa sul Pisello (scritto e diretto da Cinzia Bassani nel 2010), ha scritto ben due testi autobiografici. Che significato ha per lei raccontarsi? Quali funzioni assolve?
«Innanzi tutto, per me, è importante scrivere: l’ho sempre fatto e lo faccio per essere letta. Da quando sono in questa situazione ho, ovviamente, più tempo per farlo, ma il mio primo romanzo [Scuola di canto, Parma, Azzali, 1993, N.d.R.] risale al 1993. Il blog e i social network sono un mezzo di comunicazione, ma scrivere resta, comunque, il mezzo principe.
Il primo testo autobiografico, La vera storia della principessa sul pisello, nasceva dal bisogno di raccontare l’esperienza shock del passaggio da una vita normale a una vita disabile. La casa editrice TEA, colpita dal lavoro, mi ha chiesto di ampliarlo e renderlo più organico: così è nato Voglio arrivarci viva. Raccontare è quindi la mia finalità prima, meglio se, come in questo caso, c’è anche modo di lanciare un messaggio positivo».
Un prologo, quattro atti, altrettanti intermezzi, un epilogo, citazioni dalla Madama Butterfly, Il trovatore, Werther, Tosca, La traviata ecc.: la sua ultima pubblicazione autobiografica, Voglio arrivarci viva, è scandita come un’opera lirica, e di lirica si nutre. Si tratta di una semplice scelta narrativa, o è un omaggio alla sua famiglia (che, lo ricordiamo per chi non lo sapesse, è quasi interamente composta di cantanti)?
«Io ho vissuto in mezzo all’arte da sempre, e mi è venuto spontaneo fare dei riferimenti alla lirica che è stata la colonna sonora della mia vita. Certamente, il rapporto che ho con la mia famiglia – che è uno dei cardini su cui si basa la mia esistenza – ha avuto un peso, non tanto sulla scelta di usare frasi celebri del melodramma, ma sul mio amore per l’opera lirica.»
Qual è la sua giornata tipo?
«Contrariamente a ciò che si può pensare, la mia è una giornata molto intensa. Sveglia alle 7 con il notiziario di RaiNews e la lettura del quotidiano, colazione, toilette abbastanza lunga, ginnastica, controlli macchine per la sopravvivenza. Ore 11 lavoro: scrivo, seguo il blog e i social, sbrigo la numerosa corrispondenza. Ore 12 pranzo e riposino, dopo avere seguito i telegiornali. Nel pomeriggio continuo le attività del mattino, aggiungendo qualche visita e la lettura di libri. Cena alle 7, un po’ di TV e alle 11.30 a nanna».
«Oggi, benché io debba essere accudita come un neonato, paradossalmente, sono più indipendente di quando camminavo con le mie gambe» (M. Garaventa, Voglio arrivarci viva, p. 66). Può sviluppare questo concetto?
«Credo che la mia coautrice Emilia Tasso abbia chiarito bene questo concetto: io non essendo più impedita dal mio corpo pesante, ormai poco utile, ho scelto di privilegiare la mia parte mentale che mi permette una maggior libertà di “movimento” e di pensiero. Voi camminate, io volo!».
Una delle caratteristiche che contraddistinguono la sua persona è l’ironia. Che parli di sé, che rifletta su ciò che le capita intorno, che commenti un fatto politico… cede spesso (e volentieri) alla tentazione di ironizzarci su. Lei stessa si definisce «ironiomane» e «ironia-dipendente» (Garaventa, op. cit., p. 103). Alcune persone ritengono che ci sono temi sui quali non si dovrebbe scherzare (e, in genere, la disabilità è tra questi). Altre pensano che scherzare si può, ma che solo chi è interessato personalmente dal problema sul quale si scherza possa farlo legittimamente. Lei che ne pensa?
«L’ironia e l’autoironia sono l’unico mezzo che può aiutare a sopportare meglio e, se possibile, a superare le difficoltà della vita. Si può fare ironia su quasi tutto, anche sulla disabilità, purché lo si faccia con buon gusto e nei limiti dell’opportunità. L’ironia aiuta ad osservare i fatti con distacco, uscendo dal nostro piccolo mondo, facendoci apprezzare le fortune, anche se poche, che il destino ci ha dato».
Durante un ricovero, ha preparato un cartello e lo ha fatto appiccicare sul suo letto. Su di esso era scritto: «Voglio vivere. Voglio parlare. Voglio uscire. Voglio scopare!» (Garaventa, op. cit., p. 23, nella pubblicazione il testo è interamente in maiuscolo). Sul fronte “sessualità-disabilità” le sembra che nella società italiana sia cambiato qualcosa?
«Premetto, per esperienza personale, che il sesso non è tutto e che se ne può fare a meno, senza risentirne troppo, quando si riesca a sostituirlo con altri motivi di gioia, appagati comunque da rapporti umani ricchi e stimolanti. Esso è comunque una componente importante della vita e l’impossibilità di goderne può suscitare nei disabili problematiche importanti, diverse da soggetto a soggetto.
In altri Paesi, questo argomento è stato affrontato, dando ai disabili la possibilità di soddisfare i propri bisogni in diversi modi. Da noi, ovviamente, tali problemi sono assoluto tabù, ignorati non tanto dalle famiglie o dagli operatori sul campo, ma dalle istituzioni che – troppo occupate a non dispiacere la Chiesa -, preferiscono non affrontare certi temi. D’altra parte, questa è la medesima sorte toccata alle leggi sul fine vita, sulla procreazione assistita e sulle unioni di fatto».
La sua testimonianza esprime forza e speranza insieme. Non si riscontra nessun dubbio, nessun tentennamento: lei, alla morte, vuole arrivarci viva! Anche nei momenti più duri, l’ipotesi di mollare, di lasciarsi andare, di staccare la spina – quella del respiratore che la tiene in vita -, lei non l’ha mai presa in considerazione. Un messaggio del genere dovrebbe rassicurare e invece, quando avete provato assieme alla regista Cinzia Bassani, a proporre a una TV il documentario Finché penso, vivo, la risposta è stata: «La TV non vuole la malattia» (Garaventa, op. cit., p. 139). Pensa che sarà possibile modificare l’atteggiamento delle reti televisive? E se sì, come?
«Torniamo al discorso precedente: un Paese che non ha il coraggio di esprimersi su certi argomenti, preferisce non vedere e non accettare neppure la discussione su temi che, nel peggiore dei casi, potrebbero minare molte certezze rassicuranti. Non è casuale che film come Il mare dentro, Lo scafandro e la farfalla, Paradiso amaro, Quasi amici, che affrontano i temi della disabilità, del suo rapporto col mondo e del fine vita, siano solo ed esclusivamente film stranieri.
Sui motivi di queste paure si potrebbe argomentare lungamente, tirando in ballo la Chiesa, la politica e l’informazione pilotata, ma il risultato è, comunque, sempre lo stesso. Come è stato risposto più volte a Cinzia Bassani – e anche a me – la disabilità, anche quando è raccontata e vissuta in positivo, non fa audience. Oltre a ciò, non si deve dimenticare che la TV italiana, purtroppo, è quella che, dal tempo del berlusconismo imperante, ha relegato la donna al semplice ruolo di “corpo”, affossandone le capacità intellettuali e professionali all’ultimo posto.
A questo punto, facendo un po’ di sana ironia, potrei dire che la TV non mi vuole perché non ho il “lato B delle veline”!».
Sul suo blog lei racconta che un parroco, don Silvestro, ha pronosticato per lei un futuro di santità. Sta studiando?
«Don Silvestro, viceparroco molto gentile e veramente pio, alla sua prima visita a casa mia, non era preparato alla mia vista e credo si sia un po’ emozionato. Francamente ho sempre avuto qualche dubbio sulle pratiche, così terrene, delle santificazioni e non credo di esserne particolarmente meritevole. Sinceramente non mi applico molto, ma l’Altissimo pare avere, comunque, una certa predilezione nei miei confronti. L’importante è che non mi chiami immediatamente: a “Santa subito” non ci tengo affatto!».
*Intervista curata da Simona Lancioni e già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo Voi camminate, io volo, qui ripresa, con alcuni lievi riadattamenti al contesto, per gentile concessione.
– Per il blog La principessa sul pisello cliccare qui.
– Per le pagina di Facebook, Twitter e Flickr di Marina Garaventa, cliccare rispettivamente qui, qui e qui.
– La scheda e il trailer del documentario Finché penso, vivo. La storia di Marina, la vera Principessa sul Pisello, diretto nel 2010 da Cinzia Bassani, sono disponibili cliccando qui. Per il blog del documentario stesso, cliccare qui.
– La scheda del testo Voglio arrivarci viva. Una vita vissuta pericolosamente è disponbile sul sito dell’Editrice TEA, cliccando qui.
Bibliografia
– Marina Garaventa, Scuola di canto, Parma, Azzali, 1993.
– Marina Garaventa ed Emilia Tasso, La vera storia della Principessa sul pisello, Genova, De Ferrari, 2008.
– Marina Garaventa, Voglio arrivarci viva. Una vita vissuta pericolosamente, con quattro «intermezzi» di Emilia Tasso, Milano, TEA, 2012.
13 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, un centinaio tra articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, circa 80 segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, più di 450 segnalazioni bibliografiche e circa 600 risorse internet schedate: parlano da sole le cifre del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità (il nostro sito se n’è occupato con l’articolo disponibile cliccando qui).
Recentemente il Gruppo Donne UILDM ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili» (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).
L’indirizzo del Gruppo Donne UILDM è www.uildm.org/gruppodonne. Al repertorio di cui si è detto, si accede cliccando qui. Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).