Un figlio con disabilità non può ostacolare un’adozione

di LEDHA*
Lo ha stabilito la Corte d'Appello di Milano, ribaltando un precedente Decreto del Tribunale dei Minorenni che aveva ritenuto un "peso" la presenza di un bambino con disabilità in una famiglia, tale da non consentire ai genitori di sostenere le possibili difficoltà connesse all'entrata nel nucleo familiare di un nuovo figlio. Ora, invece, i giudici di secondo grado hanno riconosciuto che la condizione di disabilità del figlio naturale è al contrario una "risorsa", per i due genitori, in quanto già "preparati alla diversità" e quindi pronti ad affrontare le possibili difficoltà legate alla adozione. Secondo la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) - che insieme all'Associazione ELO (Epilessia Lombardia) ha sostenuto l'azione legale della famiglia - si tratta di un significativo passo in avanti, che tiene conto finalmente dei nuovi princìpi giuridici introdotti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo i quali la disabilità dipende non solo dalle menomazioni e dalle condizioni di salute, ma anche e soprattutto da un ostile atteggiamento sociale e ambientale

Padre, madre, due figlie e un altro figlio con disabilitàUn provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Milano – che aveva negato a una coppia l’idoneità all’adozione internazionale perché genitori di un bambino con disabilità – è stato annullato nei giorni scorsi dalla Corte d’Appello di Milano. Con un Decreto prodotto il 14 dicembre 2011, il Tribunale dei Minorenni aveva ritenuto infatti che la presenza di un bambino con disabilità sarebbe stata un peso che non avrebbe consentito ai genitori di sostenere le possibili difficoltà connesse all’entrata nel nucleo familiare di un nuovo figlio. I giudici di secondo grado hanno riconosciuto invece come la condizione di disabilità del figlio naturale abbia al contrario rappresentato una risorsa per i due genitori, in quanto già “preparati alla diversità” e quindi pronti ad affrontare le possibili difficoltà legate alla adozione. La Corte d’Appello ha pertanto accolto il reclamo della coppia in cui si contestava come «il giudizio di non-idoneità non tenesse conto dell’evoluzione culturale nell’approccio alla disabilità e fosse frutto di pregiudizi».

«Siamo di fronte – commenta Fulvio Santagostini, presidente della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – a una vittoria importante per quanto riguarda i diritti delle persone con disabilità. Il riconoscimento del diritto ad avere un figlio anche quando all’interno del nucleo familiare ci sia una persona con disabilità è infatti un significativo passo in avanti. La presenza di un bambino con disabilità dev’essere considerato un valore positivo e non un impedimento».
La coppia interessata dal provvedimento, che vive in provincia di Varese, era stata valutata positivamente dai Servizi Sociali e dall’ASL del territorio, per i quali la presenza di un figlio affetto da sindrome di Dravet (una rara forma di epilessia) non rappresentava un “fattore ostativo” alla possibile adozione di un bambino straniero.
Dal canto suo, la LEDHA, assistita dall’avvocato costituzionalista Marilisa D’Amico, ha supportato, insieme all’Associazione ELO – Epilessia Lombardia, l’azione legale presentata dalla famiglia, costituendosi in giudizio con un atto di intervento in cui si evidenzia come il provvedimento del Tribunale dei Minorenni di Milano fosse fondato «su un approccio alla disabilità ormai superato e contrastante con i nuovi princìpi giuridici introdotti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata con Legge 18/2009». Una lettura che è poi stata accolta e fatta propria dai giudici di secondo grado.
«Nel nostro intervento – commenta Gaetano De Luca, avvocato del Servizio Legale di LEDHA – abbiamo sostenuto come la condizione di disabilità oggi non dipenda solo dalle menomazioni e dalle condizioni di salute di una persona, ma anche e soprattutto da un atteggiamento sociale e ambientale che non accetta la diversità». «Si tratta – conferma D’Amico – del nuovo approccio all’insegna del cosiddetto “modello biopsicosociale”, introdotto nel nostro ordinamento giuridico dalla Convenzione ONU e che la Corte d’Appello di Milano ha espressamente utilizzato nell’accogliere il reclamo della coppia di genitori».

*Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente regionale lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

Per ulteriori informazioni e per la visione integrale dei provvedimenti giudiziari citati nel presente testo: giovanni.merlo@ledha.it, ufficiostampa@ledha.it.

Sulla medesima questione segnaliamo anche l’articolo di Claudio Arrigoni, intitolato Anche Nicolò ha diritto a una sorella o un fratello adottato, nel blog del «Corriere della Sera» InVisibili (cliccare qui).

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