«C’è ancora molto da lavorare sul fronte della sicurezza nei luoghi di lavoro; bisogna dare completa attuazione alle norme del 2009 [Decreto Legislativo 106/09, integrativo del Decreto Legislativo 81/08, N.d.R.], insistere con maggior vigore sullo sforzo di costruire una solida cultura della prevenzione, intensificare i controlli e le attività di formazione e di informazione»: questi i punti fondamentali sui quali Franco Bettoni, presidente dell’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro) richiama l’attenzione, dopo la recente presentazione del Rapporto INAIL sull’andamento infortunistico nel 2011.
«Non abbiamo ancora avuto tempo sufficiente per analizzare e studiare quanto meritano i dati prodotti dall’INAIL – aggiunge Bettoni – consapevoli che essi rappresentano una fonte preziosa di indicazioni e valutazioni significative per rafforzare l’opera normativa sulla prevenzione e applicare in modo efficace il Decreto Legislativo 81/08. Condividiamo però la preoccupazione del Presidente della Repubblica circa le contraddizioni che emergono sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali, pur in un quadro di complessivo miglioramento generale che resta comunque da approfondire, in particolare pensando alla situazione occupazionale nei vari settori produttivi».
«Infatti – spiega il Presidente dell’ANMIL – se si può manifestare una certa soddisfazione sull’andamento complessivo del fenomeno, altrettanto non si può dire guardando alle sue dimensioni, che permangono ancora oggi del tutto inaccettabili: 725.000 infortuni nel solo 2011 stanno a significare che in pratica ogni giorno, compresi ferie e festivi, ben 2.000 lavoratori subiscono un trauma con conseguenze più o meno pesanti di natura fisica, psicologica e anche economica e che ogni anno sono almeno 40.000 (più di 100 al giorno) i lavoratori che subiscono una menomazione permanente di grado indennizzabile (dal 6% al 100%). Il numero delle vittime registrate all’interno dei luoghi di lavoro rimane sostanzialmente invariato (450 nel 2011 rispetto ai 452 del 2010), come pure è dientico a quello del 2010 (138) il numero di morti tra i lavoratori extracomunitari, generalmente impegnati in attività ad alto rischio, mentre sono addirittura in aumento le vittime nell’industria pesante (meccanica e metallurgia), in agricoltura e le denunce di malattie professionali. In particolare, nei settori della meccanica e della metallurgia, le morti sul lavoro sono cresciute rispettivamente del 27,3% e del 19%. Sono settori, per altro, che hanno un peso molto rilevante nell’ambito dell’industria, un ramo di attività particolarmente colpita dalla pesante crisi economica e che nel corso del 2011 ha fatto registrare un ulteriore calo lavorativo sia in termini di occupati (-0,6%) che di Unità di Lavoro Anno equivalenti (-0,4%). Situazione pressoché analoga quella dell’agricoltura, dove si registra una crescita del 2,7% dei casi mortali, pur in presenza di un calo dell’1,9% degli occupati e di ben il 2,8% delle Unità di Lavoro Anno».
«Anche a livello di genere – sottolinea poi Bettoni -, a fronte di una riduzione degli infortuni per entrambi i sessi (-7,0% per i maschi e -5,6% per le femmine), si registra una recrudescenza della mortalità per le donne lavoratrici: tra il 2010 e il 2011, infatti, la componente femminile ha fatto registrare un incremento del 15% dei casi mortali, passati da 78 a 90 unità. E infine, pur se quelli diffusi dall’INAIL sono dati ufficiali e assolutamente attendibili, va detto che le statistiche dell’Istituto per loro natura non possono tenere conto di possibili situazioni di mancata denuncia da parte di datori di lavoro senza scrupoli o di altri fenomeni, come il “lavoro nero”, che tendono ad acutizzarsi proprio nei periodi di crisi».
Particolarmente rilevante, poi, l’evidenza data dal Presidente dell’ANMIL ai dati riguardanti la disabilità conseguente a un infortunio sul lavoro o a una malattia professionale. «Parlando di “grandi numeri” – dichiara infatti Bettoni – non si possono dimenticare i circa 720.000 disabili che, a seguito di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, hanno riportato nel corso della loro vita lavorativa un’invalidità per la quale percepiscono una rendita il cui importo medio ammonta a circa 4.000 euro l’anno (poco più di 300 euro al mese). Un esercito di lavoratori ed ex lavoratori che, nell’adempimento del proprio dovere, hanno subito una grave menomazione, come può essere una tetraplegia o l’amputazione di un arto, o anche di minore gravità, ma che comunque si è rivelata sufficiente per estrometterli definitivamente dal mercato del lavoro. In questo senso va ribadito che riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo dei disabili rappresentano i temi sui quali si misura anche il livello di civiltà di un Paese e sui quali l’ANMIL ha da sempre centrato le proprie battaglie, per imporli con forza all’attenzione delle Istituzioni».
«A fronte di tutte queste considerazioni – è la conclusione – chiediamo oggi un’attenzione specifica su questo fenomeno, da parte del presidente del Consiglio Monti la cui esperienza nel mondo dell’economia non può fargli ignorare, in tempi di crisi, la voragine che provoca il costo degli infortuni, all’infuori di quello umano: oltre 35 miliardi di euro tra cure mediche e riabilitative, protesi, giornate lavorative perse e la grave difficoltà di reinserimento lavorativo che influisce sulla perdita di autonomia e ricade sulla spesa sociale». (M.d.M.)
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