Capelli rossi, occhi verdi e pelle diafana. Sembra la perfetta descrizione di una ragazza irlandese, eppure è nata e vive in Italia da sempre. Infatti Paola Morricone vive a Roseto degli Abruzzi (Teramo), con i genitori e il suo Kiro, uno yorkshire terrier di pochi mesi. Ha compiuto 30 anni il 14 aprile. Il suo colore preferito è il verde, il verde è speranza e lei è portatrice di speranza e di sorriso.
Ma il verde non è l’unico colore della sua vita, tinte forti, infatti, si sono alternate nei suoi anni. Una giovane donna che oggi ci racconta come il dolore e la sofferenza, uniti all’amore e alla fede, abbiamo fatto della sua vita una sorta di “capolavoro”. Esattamente come ci ricorda l’indimenticabile papa Giovanni Paolo II.
Paola, durante la tua adolescenza hai cominciato ad avere i primi problemi di salute. Cosa è successo?
«Ho iniziato ad avvertire dei problemi a 14 anni. Frequentavo la scuola di ragioneria, ma avevo serie difficoltà nello studio. Nonostante mi impegnassi molto, non ricordavo nulla, gli insegnanti credevano che non studiassi e così portavo sempre brutti voti a casa. Questi vuoti di memoria mi prendevano anche quando andavo a messa, infatti non ricordavo nemmeno le letture appena ascoltate. Fu così che, spaventatissima per quello che stavo vivendo, raccontai tutto a mia madre. Lei pensò si trattasse solo di stress, ma passati alcuni giorni, un mattino mi svegliai con la mano sinistra completamente “addormentata”. Cominciai anche ad avere terribili mal di testa, non sopportavo né i rumori né la luce. Ed è qui che iniziò il mio calvario per gli ospedali. Tanti medici mi visitarono, ma nessuno riusciva a capire cosa avessi. Feci anche delle cure sbagliate, che mi portarono a camminare con le stampelle. I disturbi aumentavano e arrivai ad avere anche perdite di urine senza accorgermene».
Quando hai avuto finalmente la diagnosi giusta?
«Quando arrivai in una struttura di Milano, avevo 23 anni più o meno. Ricordo che la dottoressa che mi visitò usò una metafora eloquente, mi disse che avevo “una mente da novantenne intrappolata in un corpo da ventenne”. La mia malattia finalmente ebbe un nome: sclerosi multipla. La mia fu una reazione piuttosto strana, non versai neanche una lacrima e chiesi subito al dottore in che modo potevo combatterla».
Sclerosi multipla. Questo il nome del “nemico” che viveva dentro di te. Dopo la prima reazione come hai affrontato gli anni a venire?
«Ho vissuto molti momenti di sconforto, come è normale che sia, ma posso dire che mi ha reso una persona di carattere, che di fronte alle avversità si rimbocca le maniche mostrando il sorriso, l’unica arma che nessuno riuscirà mai a togliermi. Per questo mi hanno anche chiamata la “guerriera col sorriso”».
Che ruolo ha avuto la fede in tutto questo?
«Molto importante. Sono entrata nel cammino neocatecumenale dove sono rimasta per quasi dieci anni. Poi mi sono allontanata, perché ho capito che avevo bisogno di cercare altre strade, di ritrovare la fede che per un po’ avevo perso, ma continuando ad andare a messa sento di aver ritrovato la pace interiore dentro di me».
Dopo tutti questi anni, però, è successo un fatto straordinario. Ce lo racconti?
«Assolutamente sì. È successo che in uno dei miei ricoveri in ospedale a Milano, dovevo scegliere se fare la biopsia muscolare o la rachicentesi, due esami molto dolorosi. Mi avevano fatto delle lastre e fu allora che entrò il primario, chiedendomi se ero religiosa, perché nelle lastre si vedevano soltanto cicatrici! Un fatto ancora oggi inspiegabile. Mia madre ha pregato tanto Padre Pio e credo proprio che sia opera sua. Infatti oggi sto bene, anche se mi è rimasto un lieve deficit di forza muscolare».
La sclerosi multipla non è stata l’unica prova difficile della tua vita. Hai dovuto affrontare una prova ulteriore che hai felicemente vinto.
«Sì. Nel gennaio scorso mi sono operata a un tumore della tiroide. Un’operazione molto delicata, che però ho affrontato con una tranquillità e una serenità che lasciavano gli altri molto perplessi. Erano tutti molto preoccupati per me, sapendo quello che già avevo passato, eppure io cercavo di tranquillizzare tutti. Sono più che sicura che la fede anche questa volta mi abbia aiutato tanto. Tutti mi sono stati molto vicini, anche il mio nipotino di soli 6 anni, con il quale ho un bellissimo rapporto. Ringrazio i miei genitori, ma soprattutto mia madre che mi ha sempre sostenuto e non mi ha mai tenuto all’oscuro di niente».
So che hai sempre avuto un cane, quanto è stato importante per te la sua vicinanza?
«Quando mi ammalai la prima volta, nella mia famiglia arrivò Trudy, un cucciolo tipo yorkshire. Nonostante mia madre abbia sempre avuto paura dei cani, per il mio amore ha superato anche questo. Purtroppo Trudy è morto a maggio. Per me è stato come un figlio, vivevamo in simbiosi. Parlare di lui mi emoziona ancora adesso, lo sento sempre vicino a me. Dopo un mese dalla sua scomparsa è arrivato Kiro, che ha dei gesti identici a Trudy e la cosa che mi rende felice è che di Kiro è suo nipote».
Di cosa ti occupi attualmente?
«Sono volontaria attiva da due anni dell’associazione PROS ONLUS (Pubblica Assistenza e Protezione Sociale) di Pineto (Teramo), che fa parte dell’organizzazione nazionale ANPAS (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze). Ci occupiamo di assistenza sanitaria, servizio 118, protezione civile, assistenza ai disabili e attività di educazione e prevenzione ambientale nell’area marina protetta di Torre del Cerrano. Io sono responsabile delle assistenze e delle manifestazioni e quindi organizzo attività al suo interno.
Il volontariato mi dà grandi soddisfazioni, aiutare il prossimo fa bene a se stessi e si formano anche belle amicizie, perché si hanno gli stessi ideali. Proprio come una grande famiglia. Da diversi anni sono volontaria anche per la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e con la Sezione di Teramo di tale Associazione ci occupiamo di promuovere la ricerca scientifica e di favorire l’integrazione delle persone disabili. Molti sono i progetti realizzati e molti sono ancora da realizzare».
So che hai anche collaborato a un musical, di cosa si tratta?
«Sì, è andata in scena in agosto a Pineto una versione di Sister Act. Siamo un gruppo molto unito, con ragazzi di tutte le età. Ci chiamiamo “I giovani suonati”, sarà per questo che siamo un po’ pazzi?».