La filosofia della convivenza

di Giorgio Genta
Si sofferma, Giorgio Genta, su «quell’indissolubile legame che unisce le persone con disabilità gravissima alle loro famiglie», «ma soprattutto - scrive - voglio parlare della filosofia che lo supporta, cioè di quell’insieme di pensieri che permette e regola tollerabilmente questo indissolubile legame, basato su tre semplici postulati: l’amore, la giustizia e la resistenza attiva (o resilienza)»
Copertina di Beltrame del 1916 della «Domenica del Corriere», dedicata a Enrico Toti
Copertina di Beltrame della «Domenica del Corriere» del 1916, dedicata all’eroe di guerra Enrico Toti. «Il Servizio Sanitario Nazionale e il sociale – scrive Giorgio Genta – costano troppo? Le persone con disabilità partecipano stoicamente alla riduzione dei costi, richiamando alla mente, nel centenario della prima guerra mondiale, quella famosa illustrazione di Enrico Toti che, disarmato, lancia la sua stampella contro il nemico!»

Vecchi sensali di matrimoni, avvocati divorzisti, prelati della Sacra Rota, nonché titolari di agenzie matrimoniali rivisitate in chiave modernista, dormite sonni tranquilli, anche dopo avere letto il titolo di questa nostra nota: non invaderemo, infatti, il vostro lucroso “terreno di caccia”, perché intendiamo specificatamente scrivere di quell’indissolubile legame che unisce le persone con disabilità gravissima alle loro famiglie.
Ma soprattutto vogliamo trattare della filosofia che lo supporta, cioè di quell’insieme di pensieri che permette e regola tollerabilmente questo indissolubile legame. Parleremo cioè di quella vera e propria filosofia del vivere il più armoniosamente possibile un rapporto fortemente sbilanciato, ove il “contraente involontario” – la persona con disabilità gravissima – tutto richiede e nulla dà o almeno questo parrebbe a un osservatore esterno.
Se tuttavia cotal osservatore fosse, per un improbabile caso, un attento ascoltatore e lettore di quello che le nostre famiglie e le loro associazioni dicono e scrivono da alcune decine di anni, allora saprebbe che nulla vi è di più falso: il rapporto resta sì fortemente sbilanciato, ma la persona con gravissima disabilità dà tantissimo.
Cosa può esservi, infatti, di più istruttivo ed eticamente sano del riscoprire la capacità di vivere con poco (spesso pochissimo, talvolta solo un po’ di ossigeno e di nutrizione enterale) in una cupa stagione nella quale nulla sembra bastare a chi razzola a piene mani nel bene comune? E che dire del “vivere fermi”, cioè senza alcuna autonomia motoria, mentre coloro che siedono sugli scranni dorati viaggiano in jet executive, aerei di stato o megayacht di amici compiacenti? Quale maggior virtuoso risparmio del riuscire a restar vivi con una miserrima pensione di invalidità, presto tassata come reddito, mentre altri si raddoppiano stipendi iperbolici e ignobili vitalizi irrevocabili?
Il Servizio Sanitario Nazionale e il sociale costano troppo ? Le persone con disabilità partecipano stoicamente alla riduzione dei costi, richiamando alla mente, nel centenario della prima guerra mondiale, quella famosa illustrazione – credo di Beltrame sulla «Domenica del Corriere» – di Enrico Toti che, disarmato, lancia la sua stampella contro il nemico!
Ma basta simbolismi e basta esempi. Anzi, chiediamo scusa: volevamo scrivere della filosofia della convivenza e ci siamo persi nella solita sparata antigovernativa. Rimediamo subito!

Il rapporto di miglior possibile convivenza tra la persona con disabilità e la sua famiglia, piccola o grande che sia, si basa su alcuni semplici postulati.
Indubbiamente il primo è l’amore, la compassione, il “principio passione”, come direbbe un teologo dei giorni nostri*. Dal “Dio-Amore” (Deus Caritas Est) all’amore parentale, genitoriale, di sorelle e fratelli. Dalla compassione – ovvero dal “patire insieme” -, dal sopportare congiuntamente dolori e privazioni, al condividere gli stessi sentimenti, lo stesso pathos.
Il perché ciò avvenga, cioè l’esistenza di tal forma d’amore, forse è scritto nel genoma umano. Esistono prove dell’accudimento di persone con disabilità da parte della famiglia o della tribù antecedenti all’invenzione della scrittura. È un postulato indimostrabile del quale basta semplicemente prendere atto. Così è.
Il secondo è la giustizia e a questo punto qualcuno, dubitando della mia forte laicità, potrebbe sospettarmi di compromissione ecclesiale. Lascio tuttavia ai Padri della Chiesa la conciliazione tra il Dio-Amore e il Dio-Giustizia. Noi la tenteremo nel ristretto terreno che ci riguarda, affermando cioè che la filosofia della convivenza tra la persona con disabilità e la sua famiglia è basata anche sulla giustizia, sia in senso di equità che di risarcimento. In altre parole, la persona con disabilità trova in famiglia un’effettiva parità di sentimenti e di opportunità create appositamente e ciò vale come costoso risarcimento delle ingiustizie esterne.
Terzo e ultimo postulato, elevato al rango di nuova virtù cardinale, è la resistenza attiva, la leggendaria resilienza, che permette di trarre energie dalle avversità. Senza di essa, i primi due restano bellissimi, ma vani.
A questo punto, chissà se passerà in Commissione Finanze quel provvedimento che intende tassare al 50% i beni immateriali di particolare pregio…

*“Il principio passione” è il titolo di un libro del teologo Vito Mancuso.

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