“Che cos’è un Manrico”, piccola perla che ha dentro la vita

di Claudio Arrigoni*
«“Che cos’è un Manrico” - scrive Claudio Arrigoni, parlando del documentario di Antonio Morabito uscito in questi giorni al cinema, che racconta il viaggio di Manrico, trentenne con la distrofia muscolare, e di Stefano che lo assiste, in una Roma calda e assolata - è davvero una piccola perla da non perdere, che tra dialoghi straordinari nella loro ordinarietà, ha dentro la vita»
Scena tratta da "Che cos'è un Manrico"
Una scena del documentario di Antonio Morabito “Che cos’è un Manrico”

«Il mio lavoro è fare il disabile. È un lavoro duro, eh, 24 ore su 24, non ci sono Natale o Pasqua…». Diceva così, Manrico. Un gigante. Giocava a wheelchair hockey (hockey in carrozzina elettrica), uno degli sport paralimpici più belli, vedere per credere. Infanzia di quelle mica facili, con un papà che se ne va presto e una mamma con sclerosi multipla persa poi quando era adolescente. Tutto questo con la distrofia muscolare ad accompagnarlo dalla nascita e un’ironia straordinaria.
Che cos’è un Manrico è un documentario di Antonio Morabito che racconta di lui attraverso di lui. C’è lui e tutta la sua bellezza e il suo disincanto nel vedere il mondo, che fanno innamorare. E lo rendono immortale nel ricordo, lui che da pochi mesi è morto, dopo l’ennesimo ricovero.

Che cos’è un Manrico è uscito in questi giorni nei cinema, con l’anteprima al Cinema Adriano di Roma e altre date in giro per l’Italia fino a maggio e davvero chi potrà non dovrà perderlo. Racconta una settimana d’estate a Roma (caldo, sole, turisti) di Manrico, che a trent’anni muove solo testa e pollici, e Stefano, l’operatore che lo assiste.
Chi ha visto lo splendido film francese Quasi amici ritroverà ironia e delicatezza, situazioni divertenti e complicate, sorrisi e pianti. Solo che non ci sono attori, ma persone reali, vere, senza qualcuno che faccia da tramite alle loro emozioni e parole. E Che cos’è un Manrico nacque proprio in parallelo con Quasi amici, quando ancora il film francese in Italia non era arrivato. Poi cinque anni stranamente in qualche cassetto, fino a quando l’Istituto Luce è riuscito a toglierlo da lì.
Antonio Morabito è stato regista e operatore, ma soprattutto testimone, mettendosi da parte: «Conoscevo Stefano – racconta – l’operatore della Cooperativa Oltre che seguiva Manrico. Me lo presentò. Manrico voleva fare un film. Gli dissi: “Parla tu direttamente, se te la senti di metterti in gioco, e vediamo che succede”. Ne è venuta fuori una cosa dissacrante e sarcastica, con due linguacce come Stefano e Manrico».

Non è un film sulla distrofia o la disabilità. Commedia e dramma, è una piccola perla davvero, con protagonista una persona con distrofia e chi gli è vicino per aiutarlo. È un viaggio dei due amici tra strade piene di buche, gelaterie, ascensori complicati, partite di wheelchair hockey, canzoni, fantasie e ricordi sessuali, traffico, nonne, social network, battute, confessioni (fondamentali o eventuali). C’è dentro la vita. Ci sono dialoghi straordinari nella loro ordinarietà.
Manrico a Stefano: «Faccio un giorno in piedi e un giorno a letto», Stefano: «Ma come ti prende a stare letto tutto il giorno?», Manrico: «Me rompo il c…o». Non battute scritte e pensate, ma chiacchiere fra due under 30 diversi e uguali.
Chi ha conosciuto Manrico non se lo toglie dalla testa. «Era anche un atleta, uno dei primi giocatori in Italia della disciplina del wheelchair hockey, medaglia di bronzo con l’Italia agli Europei di Roma 2005, il primo romano a giocare in Nazionale»: a dirlo è Andrea Venuto, oggi giornalista e a suo tempo anche sportivo. Una quindicina di anni fa era compagno di squadra di Manrico nei Thunder Roma, una delle squadre “storiche” del wheelchair hockey in Italia, e poi lo ha voluto ad Albano Laziale quando allenava là. Sport praticato sulle carrozzine elettriche usate dalle persone distrofiche, permette anche a chi non può usare una mazza, come Manrico, di giocare: si usa una attrezzo, fissato sul davanti della carrozzina, per colpire la pallina e i giocatori possono essere mazze e sticker, com’era appunto Manrico.

Manrico è morto prima dell’uscita del film. Ricorda Morabito: «Ci teneva a vedere il film in sala. Potevamo uscire qualche tempo prima, ma volevamo aspettare che lui uscisse dall’ospedale». Non ce l’ha fatta, ma tutte le volte che verrà proiettato, sarà negli occhi, nella testa e nel cuore di chi lo vedrà e che magari lo ha conosciuto.
Dopo la sua scomparsa, la produzione (Ilapalma) e la distribuzione hanno deciso di devolvere parte dell’incasso delle proiezioni alla Cooperativa Sociale Oltre, che seguiva Manrico, per l’acquisto di un pulmino.

Riflessioni già apparse in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Manrico, Roma, la distrofia. Un film da non perdere” e viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

«Superando.it» ha anticipato, qualche settimana fa, l’anteprima romana di Che cos’è un Manrico, con un’ampia presentazione del documentario di Antonio Morabito, intitolata Un Don Chisciotte con distrofia e Sancho Panza che lo assiste.

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