«Si tratta di garantire che il progetto educativo e di vita voluto dalle famiglie per i loro figli nel “durante loro” continui anche dopo la loro morte, grazie appunto a un “testamento pedagogico” depositato in tribunale, che espliciti le volontà delle famiglie stesse»: così il compianto Nicola Cuomo, docente di Pedagogia Speciale all’Università di Bologna, scomparso proprio all’inizio di questo mese, aveva spiegato ai nostri Lettori in che cosa consistesse il testamento pedagogico, sua eredità giuridica e culturale, che sta continuando il proprio percorso, come è accaduto il 28 maggio, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, con un nuovo incontro sul tema Il testamento pedagogico: un percorso vita per orientare l’amministrazione di sostegno.
Come già in un precedente convegno alla fine dello scorso anno, vi sono intervenuti Paolo Cendon dell’Università di Trieste, “padre” della Legge 6/04 sull’amministrazione di sostegno, Sergio Trentanovi, che da molti anni l’ha praticata da Giudice, Luca Ramponi, giudice tutelare del Tribunale di Reggio Emilia, Laura Andrao, avvocato, Alice Imola, dottore di ricerca in Pedagogia Speciale all’Università di Bologna, Elisabetta Bacciaglia, psicologa clinica e Marinella Alberici, componente del Direttivo dell’Associazione di Promozione Sociale De@Esi, oltreché membro della prima famiglia in Italia che ha usufruito del testamento pedagogico.
Per approfondire meglio il tema, ne parliamo con Alice Imola, già preziosa collaboratrice di Nicola Cuomo.
Qual è stato finora il percorso del testamento pedagogico?
«Quello del 28 maggio è stato il quarto appuntamento sul testamento pedagogico, l’atto giuridico ideato e lasciatoci in eredità dal professor Cuomo e voluto dalle famiglie per garantire ai ragazzi con deficit supporti che continuino anche “dopo” la vita dei genitori.
Dopo un incontro nel giugno dello scorso anno, sono seguiti due laboratori il 22 gennaio e l’11 marzo di quest’anno, condotti con modalità molto pratiche, per far nascere un confronto diretto tra famiglie e professionisti dell’area giuridica, pedagogica e psicologica.
L’analisi di documenti e sentenze, attraverso dibattiti e confronti dinamici, ha fatto emergere i rischi più frequenti che possono nascere dal non mettere in atto a pieno i potenziali della Legge 6/04 sull’amministrazione di sostegno, conseguenze dell’utilizzare nella prassi le definizioni avanzate contenute in quella stessa Legge, alla guisa del superato istituto dell’interdizione, determinando così una profonda spaccatura tra il dichiarato e l’agito.
Ebbene, per contrastare tali rischi, è nato appunto il progetto del testamento pedagogico che, come spiegava il professor Cuomo, “è l’atto formale che garantisce alla famiglia nel ‘dopo’ una dimensione di vita per i propri figli che prosegua il progetto di sviluppo cognitivo ed affettivo intrapreso dall’infanzia/adolescenza, allo scopo di garantire alla persona con deficit il proseguo di una vita autonoma ed indipendente, con l’emozione di conoscere ed il desiderio di esistere”.
L’area della Pedagogia Speciale entra quindi quale ulteriore chiave concettuale complementare a quelle di riferimento solito della giurisprudenza che prevalentemente, nella tradizione, si confronta con l’area medico-psichiatrica».
Un importante allargamento delle prospettive, quindi…
«Decisamente sì, perché la Pedagogia Speciale, da parte delle Scienze Umane, aggiunge e propone altri punti di vista e buone pratiche e, nella sua specificità relativa al superamento degli handicap che i deficit propongono, offre percorsi e possibilità di intervento che vanno ad essere complementari alla legge, orientandone i giudizi e i percorsi che da questi ne scaturiscono.
Il testamento pedagogico vuole essere un atto che sancisce per il “dopo di noi” il voler proseguire un percorso che non si curi solamente della parte economico-amministrativa della persona con deficit, ma che supporti il continuo potenziamento dell’intenzionalità, delle capacità decisionali, dei desideri, contrastando quindi un destino spesso già scritto che conduce le persone con deficit verso il ricovero in apposite strutture.
In questa dimensione il progetto si trova in linea con gli obiettivi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dove si legge – all’articolo 19, comma a – che le persone con disabilità devono avere la possibilità “di scegliere, sulla base di eguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere”, senza essere obbligate ad una particolare sistemazione abitativa, e che (comma b) devono avere “accesso ad una serie di servizi di sostegno domiciliare, residenziale o di comunità, compresa l’assistenza personale necessaria per permettere loro di vivere all’interno della comunità e di inserirvisi e impedire che esse siano isolate o vittime di segregazione”».
Se non ricordiamo male, tali obiettivi si trovano esattamente così anche in una Dichiarazione Scritta «sulla promozione della deistituzionalizzazione dei disabili nell’Unione Europea», lanciata un anno fa da tredici Parlamentari Europei…
«Esattamente. Quell’iniziativa è stata un atto di indirizzo di grande rilevanza, nel quale veniva posto in evidenza che “in tutta l’Unione europea vi sono centinaia di migliaia di minori, disabili, persone affette da problemi di salute mentale, anziani e persone senza fissa dimora che vivono segregati all’interno di istituti e subiscono per tutta la vita le conseguenze dell’istituzionalizzazione”».