Anch’io posso contribuire a far crescere la comunità

Intervista di Alessandra Piva a Gianmario Piredda*
Quarantanovenne sassarese, Gianmario Piredda ha l’atassia di Friedreich, una patologia degenerativa, ma negli anni ha imparato che con la volontà si può raggiungere qualsiasi risultato. Qualche mese fa ha conseguito la Laurea Magistrale in Comunicazione e Pubbliche Amministrazioni, con una tesi sul tema “Tecnologie dell’informazione e della comunicazione come opportunità per l’inclusione dei disabili - Il Digital divide e il ruolo delle tecnologie assistive”. «Credo fortemente - dice - di poter dare anch’io il mio contributo alla crescita della comunità»
Gianmario Piredda
Gianmario Piredda durante la dicussione della propria tesi di laurea

49 anni, di Sassari, Gianmario Piredda ha l’atassia di Friedreich, una patologia degenerativa, ma negli anni ha imparato che con la volontà si può raggiungere qualsiasi risultato.
Qualche mese fa, esattamente il 17 ottobre scorso, ha conseguito la Laurea Magistrale in Comunicazione e Pubbliche Amministrazioni con una tesi sul tema Tecnologie dell’informazione e della comunicazione come opportunità per l’inclusione dei disabili – Il Digital divide e il ruolo delle tecnologie assistive.

Gianmario, com’è la tua vita quotidiana?
«Vivo con i miei genitori, ma sono autonomo. Ho un assistente personale che mi supporta in caso di necessità e per gli spostamenti. Mi muovo in carrozzina per i lunghi tragitti, ma riesco ancora a fare qualche passo. Sono un volontario legato alla Sezione UILDM di Sassari e collaboro nelle attività che la UILDM propone nel territorio».

Quando hai deciso di iscriverti all’università?
«Mi sono diplomato a 19 anni. Sapevo già di avere questa malattia, che ha colpito anche mia sorella. Fino ai trent’anni ho condotto una vita normale, poi le mie condizioni si sono aggravate, anche se sono sempre riuscito a tenere la situazione sotto controllo grazie alla fisioterapia. Nel 2012 ho deciso di iscrivermi all’università perché era il mio sogno da tanto tempo. Non l’ho fatto prima perché avevo deciso di dare priorità alla fisioterapia, per mantenere in buono stato il mio tono muscolare e le mie condizioni fisiche».

Hai scelto Scienze della Comunicazione.
«Sì, mi piace il mondo del giornalismo. Amo scrivere e mettere su carta i miei pensieri. Se non avessi questa malattia avrei voluto fare l’inviato di guerra».

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione come opportunità di inclusione delle persone con disabilità. Perché hai scelto questo argomento per il tuo lavoro di tesi?
«Ormai da qualche anno la tecnologia ha uno spazio sempre più ampio nelle nostre vite. Ritengo, in particolare, che alcuni prodotti tecnologici e i risultati in questo àmbito possano essere molto utili alle persone con disabilità. La disabilità è una questione complessa e multisfaccettata, ma con lo sviluppo di nuove tecnologie assistive abbiamo semplificato alcuni aspetti, riuscendo a superare alcune delle barriere fisiche e mentali presenti nelle nostre vite. C’è ancora molto da fare, soprattutto per superare le barriere del pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità. Il pregiudizio è difficile da sradicare».

Ma in che modo, concretamente, la tecnologia può facilita l’inclusione?
«A livello legislativo in Italia abbiamo cominciato a parlare di accessibilità tecnologica con la cosiddetta “Legge Stanca” del 2004 [Legge 4/04, N.d.R.], che favorisce l’accesso delle persone con disabilità agli strumenti informatici e rappresenta un importante riconoscimento per la democrazia digitale e il superamento del digital divide, ossia il divario digitale tra chi ha accesso alle tecnologie e chi no.
La tecnologia rende accessibile un mondo che altrimenti non sarebbe alla nostra portata. Noi riusciamo a fare cose che prima non riuscivamo a fare. Per esempio, grazie all’uso del PC, dei puntatori ottici, dei sintetizzatori vocali riusciamo a esprimere il nostro pensiero, a dare voce a chi non ha voce, a essere a livello delle altre persone».

Ci sono anche dei rischi?
«La tecnologia è utile perché è a supporto della persona, ma non è la risposta, o per lo meno non l’unica. L’Italia è il terzo paese al mondo per numero di telefoni cellulari, ma se non sappiamo utilizzarli bene, navigare correttamente nella rete o distinguere le notizie vere dalle quelle false, non servono a nulla. C’è molto da lavorare nell’approccio alle tecnologie. C’è bisogno di alfabetizzare e creare una cultura per il loro utilizzo corretto. È una questione che riguarda tutti, persone con disabilità e non».

Al termine di questo percorso a chi sei grato?
«A me stesso, per il tempo speso e l’impegno che ci ho messo. Nonostante la malattia sono sempre andato a lezione e ho partecipato a tutti i momenti formativi legati al mio percorso di studi. Ho preso due lauree perché credo fortemente che anch’io posso dare il mio contributo alla crescita della comunità».

Il presente servizio riprende, per gentile concessione, un testo già apparso nel sito della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con alcuni riadattamenti al diverso contenitore.

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