Assegni di cura o “gratta e vinci”?

di Mario Caldora*
«Uno degli strumenti potenzialmente più adeguati a garantire buoni servizi alle persone con disabilità gravissima - scrive Mario Caldora, riferendosi alla realtà della Regione Campania e nello specifico della città di Napoli - potrebbe essere l’“assegno di cura”, ma purtroppo la positività di tale strumento rischia di essere vanificata, in quanto finisce per addossare alla persona con disabilità o alla sua famiglia un insostenibile e troppo lungo onere di anticipazione delle spese necessarie»

Ombra di caregiver e disabileDa anni sosteniamo la centralità dei servizi alla persona e in particolare l’inadeguatezza o la totale negazione di quelli rivolti alle persone con disabilità gravissima. I disabili – quelli più fortunati, perché non gravissimi – hanno l’esigenza di alzarsi ogni mattina dal letto, poi lavarsi e uscire. Queste attività, che per noi sono naturali e semplici, per loro si traducono – se negate – in veri e propri “arresti domiciliari” senza aver commesso alcun reato.
Non ci interessa in questa sede analizzare di chi siano le colpe o la responsabilità di questa situazione drammatica e paradossale che sottrae a molte persone con disabilità la possibilità di vivere una vita decente; quello che ci preme mettere in luce è che Istituzioni, associazioni e organi d’informazione hanno a nostro avviso il compito di diffondere e promuovere, anche nella nostra città [Napoli, N.d.R.], la cultura del diritto ad ottenere servizi di aiuto alla persona certi e duraturi nel tempo, perché, se un disservizio può rendere a noi la vita difficile, la sospensione/negazione di quei pochi e già inadeguati servizi alle persone con disabilità la può rendere addirittura impossibile.

Negli anni passati assistevamo passivi e impotenti ai dibattiti che si svolgevano sulla stampa, a quelle passerelle mediatiche dalle quali si “beccavano” coloro che amministrano il potere politico o che lo utilizzano per creare lavoro e consenso, due facce della stessa medaglia; ma il parere del vero protagonista – l’utente – è stato ed è drammaticamente ancora assente.
La mancanza di una politica integrata e contraddistinta da obiettivi chiari e risorse certe – abbinata al criterio perverso di privilegiare la problematica degli operatori (precari e retribuiti sempre con grandi ritardi) – ha contribuito ad anteporre il problema dei lavoratori stessi a quello degli assistiti, abbassando la soglia della qualità dei servizi dedicati alla persona già di per sé abbastanza inadeguati o scadenti.

Uno degli strumenti oggi potenzialmente più adeguati alla circostanza potrebbe essere l’“assegno di cura”, ma purtroppo riteniamo sia malgestito, incerto e senza alcuna garanzia di consegna.
La Regione Campania ha istituito il Fondo Sociale per la Non Autosufficienza al fine di assicurare alle persone non autosufficienti l’esigibilità delle prestazioni sociali e sanitarie integrate, nonché per tutelare i familiari che le assistono, individuando gli “assegni di cura” come una delle prestazioni erogabili. In sintesi, l’UVI (Unità di Valutazione Integrata), organismo collegiale che integra ASL e Comune, attribuisce alla persona con disabilità una valutazione che ne determina l’“assistenza tutelare”, ovvero il numero di ore settimanali erogabili a domicilio dagli Operatori Socio Sanitari (OSS) e l’entità dell’“assegno economico mensile”.
Quello che più sconcerta è che, pur essendo riconosciute nello stesso momento ed essendo addirittura rigorosamente complementari, le “cure tutelari” (“assistenza domiciliare” e “assegno di cura”) seguono due percorsi diversi. Infatti, l’assistenza tutelare fornita dagli assistenti alla persona (nel nostro caso specifico tre ore alla settimana, che per un disabile gravissimo senza alcuna autosufficienza risultano essere solo una presa in giro, oltre a costituire un inutile spreco di risorse per la collettività) parte immediatamente al riconoscimento del diritto, mentre il beneficio economico (che serve per retribuire la seconda e la terza persona scelte dalla famiglia e che si devono alternare per assistere veramente la persona con disabilità), pur partendo dallo stesso momento in cui inizia l’assistenza domiciliare, non si sa se e quando verrà corrisposto.
La positività dell’istituzione, quindi, rischia di essere vanificata, in quanto finisce per addossare alla persona con disabilità o alla sua famiglia un insostenibile onere di anticipazione, per i tempi troppo lunghi dei relativi oneri economici.
Occorre dunque immaginare uno snellimento delle procedure affinché sia garantito alla famiglia della persona con disabilità di non dover anticipare ingenti somme e di non dover affrontare oneri accessori che hanno già costretto molti, proprio per la difficoltà di esporsi economicamente e a tempo indeterminato, a rinunciare al servizio solo dopo pochi mesi.
Questo vuol dire che per molte famiglie l’“assegno di cura” si può rivelare un boomerang perché, non ricevendo per tempo i rimborsi, vengono a trovarsi praticamente indebitate.

Come al solito, e come abbiamo sempre denunciato, pur riconoscendo che il lavoro è un giusto diritto per gli operatori delle Cooperative, il diritto della persona con disabilità passa in secondo piano quando deve competere con il diritto al lavoro di coloro che dovrebbero “accudirlo” e che finisce per prevalere. Ma questo dipende dalla maggiore forza contrattuale e capacità di penetrazione nel Sistema delle Cooperative Sociali oppure dalla scarsa attenzione dei Servizi Sociali e delle Associazioni di persone con disabilità? O da entrambe le cause?

Più volte abbiamo denunciato le gravi carenze di una reale partecipazione nell’àmbito della programmazione e della concertazione, sugli interventi dell’Amministrazione in merito alle politiche della disabilità. Anche in occasione dell’elaborazione del Piano Sociale di Zona, che stabilisce le linee programmatiche per il triennio, la Consulta della Disabilità non ha potuto formulare i commenti e le proprie osservazioni per l’impossibilità di essere convocata e quindi di svolgere la sua funzione istituzionale.
Noi siamo convinti che una nuova stagione per il welfare sia possibile solo attraverso la riattivazione di quei momenti di confronto che con le precedenti Amministrazioni avevano portato al superamento delle incomprensioni e della litigiosità, per lasciare spazio ad occasioni di progettualità condivisa e programmata, con risultati e potenzialità di cui oggi i cittadini più svantaggiati della nostra città [Napoli, N.d.R.] non possono più disporre. E con il termine “svantaggiati” non ci riferiamo solamente agli anziani non autosufficienti che vengono “accontentati” con le gite turistiche fuori porta, ma anche a tutte quelle Persone allettate vergognosamente dimenticate e abbandonate al loro destino insieme alle loro disperate famiglie, quelle persone con disabilità gravissima che – proprio a causa della negazione dei servizi – vivono irrimediabilmente e inesorabilmente, lo ribadiamo, gli “arresti domiciliari” senza aver commesso alcun reato.

Comitato per il Diritto all’Assistenza Cinzia Fico di Napoli (mariocaldora@libero.it).

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