«Un percorso completamente fallimentare e da riformare profondamente», come scrive Vitaliano Ferrajolo, presidente della LPH (Associazione di Tutela dei Diritti delle Persone con Disabilità), ovvero, per tradurre lo stesso concetto con altra formula, tutto quello che non deve fare un ospedale nei confronti di una persona non autosufficiente con grave disabilità, ma anche nei confronti di persone con problemi psichiatrici. Nel caso specifico si parla dell’Ospedale Spaziani di Frosinone, ma abbiamo purtroppo la certezza che quanto denunciato riguardi anche tante altre strutture sanitarie del nostro Paese, nonostante si stiano fortunatamente diffondendo – anche se con troppa lentezza – meritorie iniziative come il progetto DAMA (“Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”).
Nel presentare dunque un proprio esposto nei confronti dello Spaziani di Frosinone (disponibile integralmente a questo link), Ferrajolo vi scrive tra l’altro che « nel momento in cui l’Ospedale si fa carico della presa in carico del paziente con disabilità che emergono colpose gravissime carenze organizzative nella gestione della persona, specialmente per coloro che fino a quel momento erano affidate alle competenze assistenziali di un caregiver familiare di cui ci si deve privare per motivi insussistenti, visto che il personale sanitario surrogante non può, non sa e non vuole adottare. Ritengo che sia un paradosso che un luogo deputato alla cura delle persone rappresenti, invece, un luogo in cui si debba temere, e nemmeno tanto ipoteticamente, danni gravi “collaterali” al motivo per cui si inizia il calvario di disumanizzazione delle procedure, a partire dalla propria “deposizione” su una barella ospedaliera, su cui si sa quando ci si adagia, ma nessuno sa quante ore o giorni ci si rimarrà, immobili, nella stessa posizione, senza che nessun operatore sanitario si prenda cura nel gestire le posture per chi autonomamente non può cambiarle o delle altre esigenze fisiologiche».
«Nessuno sa chi sei e che problematica hai – prosegue il testo dell’esposto -, nonostante ormai le banche dati sanitarie siano a conoscenza di ogni “pelo” della nostra situazione sanitaria. Ogni volta che si accede al triage, al di là della descrizione del problema contingente, si deve sempre rispondere a questioni che dovrebbero essere ormai consolidate in banca dati, come la condizione di disabilità, le necessità assistenziali o i farmaci a cui si è allergici, più volte precedentemente enunciati, ma è proprio sui bisogni primari che nulla viene chiesto». «Nonostante ciò – sottolinea -, se non fossi stato vigile ed accorto a chiedere lumi sui farmaci che mi stessero diluendo in flebo, mi avrebbero somministrato un antibiotico nocivo alla mia salute!».
«Le questioni da affrontare – scrive ancora Ferrajolo – riguardano più aspetti del funzionamento di un Pronto Soccorso, non tanto sugli strumenti, quanto, e questo è peggio, sulla riorganizzazione delle procedure e del funzionigramma, che non ha un costo, ma sottende solo alla volontà di efficientare la struttura. Basterebbero disposizioni semplici, ma note, per seguire protocolli/prassi condivisi, elaborati costituendo un tavolo di concertazione tra operatori sanitari, rappresentanti sindacali, associazioni di rappresentanza dei cittadini, e soprattutto di associazioni di tutela di persone disabili. La sensazione, invece, è che tutto debba essere lasciato alla deriva senza un “governo” fermo, allo spontaneismo contingente, al buon cuore di un operatore che decide della tua sorte, e con un dirigente fantasma che nella concretezza professa la filosofia del “mal comune, mezzo gaudio” o del “tutti colpevoli, nessun colpevole”, così da sentirsi in pace con la propria coscienza (?)».
Triage, barelle, assistenza materiale, vitto e somministrazione, medicinali e somministrazione, prassi operative, diritti e riconoscimento del ruolo del caregiver, personale che rifiuta di essere individuato, incertezza sui tempi di dimissione o trasferimento in reparto, dimissioni, direzione sanitaria fantasma: nessuno di questi aspetti viene trascurato da Ferrajolo, per parlare, come detto inizialmente, di «un percorso completamente fallimentare e da riformare profondamente».
«Come associazione – conclude – offriamo disponibilità a lavorare ad un progetto di umanizzazione innovativo, in team con coloro che operano con le stesse nostre finalità».
E anche noi, insieme a Ferrajolo, ci auguriamo che il suo documento possa produrre effetti all’insegna di un reale cambiamento, ma non mancheremo naturalmente di seguire gli sviluppi della situazione. (S.B.)
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