Succede che un uomo stermina la sua famiglia [se ne legga già sulle nostre pagine, N.d.R.]. Succede che suo figlio era una persona con disabilità. Succede che stampa, TV e mezzi di comunicazione, tutti insieme più i commentatori e le commentatrici da social, ricostruiscono la vicenda attribuendo senz’altro i motivi di questo folle gesto alla disperazione del padre causata dalla sofferenza del figlio con disabilità.
Il figlio con disabilità aveva un nome, Massimo. Massimo aveva la distrofia muscolare, viveva la sua vita su una sedia a rotelle, era laureato, giocava a hockey e aveva un sacco di amici.
Massimo non era la sua disabilità, era un uomo con le sue idee, i suoi interessi e la sua vita da vivere da seduto, con l’aiuto delle persone che rendevano possibile tutto ciò che faceva.
Gli amici e le amiche di Massimo, chi lo conosceva, ma anche chi – come me – non lo conosceva, ma condivide con lui la prospettiva seduta, provano una grande rabbia e molto molto dolore nel prendere atto della descrizione stereotipata e scorretta che i media hanno dato di lui e di tutta la vicenda.
In alcun modo, alcuno, è possibile derubricare un omicidio plurimo, una strage, ad un atto di disperazione o addirittura di amore disperato per «le condizioni del figlio disabile».
Lo diciamo con forza: Basta! Basta descriverci come sofferenti, basta ricondurre le nostre vite unicamente alla disabilità, basta privarci di identità per concentrarvi solo su ciò che secondo voi non siamo. Basta, non ne possiamo più di questo sguardo e di questo linguaggio che mortifica le nostre esistenze.
Chi è sbagliato siete voi che non sapete osservare e guardare, andare oltre, trovare nuovi vocaboli per nuovi punti di vista. Ma la misura è colma, con i servizi su questo terribile fatto di cronaca si è toccato il fondo e noi abbiamo il dovere di dirlo, di dirvelo, cosa pensiamo.
Lo dobbiamo a Massimo, che avrebbe voluto vivere e lo dobbiamo a noi tutte e tutti che cerchiamo di portare avanti le nostre vite non “nonostante la disabilità”, ma “nonostante i vostri sguardi e le vostre parole stigmatizzanti”.
Attivista con disabilità, vicepresidente della UILDM di Sassari (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), e componente del Gruppo di lavoro impegnato nella stesura della “Carta di Olbia”, protocollo deontologico per promuovere una rappresentazione corretta e rispettosa delle persone con disabilità nei media (se ne legga a questo link).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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