Con l’adesione di ENIL Italia (European Network on Independent Living) salgono a quindici gli Enti aderenti alla “Proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche sui casi di omicidio-suicidio attuati dai/dalle caregiver ai danni di sé stessi e della persona con disabilità di cui si curano”, avanzata nel febbraio scorso dal Centro Informare un’h e ripresa anche su queste pagine (a questo link).
Organizzazione particolarmente impegnata sui temi della Vita Indipendente della persona con disabilità, ENIL Italia propone anche tre riflessioni a firma di altrettanti propri esponenti, il presidente Germano Tosi e i soci Asya Bellia e Simone Riflesso. Le riprendiamo qui di seguito. (Simona Lancioni)
Con grande preoccupazione assistiamo all’aumento dei casi di omicidio-suicidio commessi da familiari che assistono i loro congiunti con disabilità grave [a tal proposito si legga il seguente approfondimento, N.d.R]. Notizie drammatiche che giungono dalle cronache televisive sui tragici eventi connessi al mondo della disabilità, indicata come l’unica causa scatenante la violenza estrema.
Sulle spalle dei caregiver o, più correttamente delle caregiver, perché nella maggioranza dei casi si tratta di donne e madri di famiglia, grava l’enorme responsabilità di doversi occupare dei loro cari.
Una vera e propria emergenza umanitaria che riguarda una percentuale quasi del 20% della popolazione italiana e che da molti anni attende una soluzione tramite un apposito provvedimento legislativo.
Si potrebbero citare un’infinità di storie personali, un impegno costante e amorevole di dedizione e cura che però a lungo andare logora e affossa la propria libertà, esaurisce risorse economiche e fisiche, e le relazioni, fino a trasformarsi in una schiavitù affettiva che può degenerare in episodi di violenza efferata.
Il Disegno di Legge sul riconoscimento del caregiver familiare (Disegno di Legge A.S n. 1461: Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare), in via di approvazione dal Parlamento, dovrà sostenere con strumenti concreti e duraturi tutti coloro che con cura e attenzione rivestono questo importante ruolo ancora non riconosciuto. Invece, quello che difficilmente emerge dalle cronache è la condizione delle persone con disabilità anch’esse succubi silenti e impossibilitate a difendersi, obbligate a non poter scegliere modi e tempi con i quali farsi assistere durante la loro vita.
Una visione distorta e abilista che trasforma le persone con disabilità da vittime a “colpevoli”, giustifica i crimini più efferati e lede i diritti fondamentali, come l’autodeterminazione, sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
A fronte di queste rilevazioni emerge la testimonianza puntuale di Simona Lancioni, responsabile del Centro Informare un H, che in un suo testo [lo si legga anche su queste pagine, N.d.R.] ha avanzato una Proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche relative a queste vicende per evidenziare tale contrapposizione.
La proposta può essere liberamente sottoscritta, e su questo argomento anche i nostri Soci [di ENIL Italia, N.d.R.] Asya Bellia e Simone Riflesso hanno voluto esporre i loro punti di vista, ripresi qui di seguito.
Germano Tosi, presidente di ENIL Italia (European Network on Independent Living)
Il 20 febbraio scorso, Simona Lancioni, responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), ha avanzato una Proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche sui casi di omicidio-suicidio attuati dai caregiver e dalle caregiver ai danni di sé stessi e della persona con disabilità di cui si curano (se ne legga a questo link).
Nel suo scritto Lancioni osserva come nelle comunicazioni pubbliche sui casi in questione si ponga l’accento principalmente sulla disperazione del/la caregiver familiare, talvolta dichiarando che avrebbe posto fine alla vita del familiare con disabilità nel timore che, non essendo più in grado di assisterlo, questi sarebbe finito in istituto. Al contrario, la prospettiva della vittima con disabilità è completamente assente, come se il mero fatto di avere una disabilità rendesse incapaci di decidere per sé stessi se si desidera vivere o morire.
Questo genere di narrazione, oltre a rafforzare l’idea che vivere in istituto sia peggio della morte, di fatto giustifica l’omicidio delle persone con disabilità. Da qui la citata proposta di regolamentare le comunicazioni pubbliche su tali vicende.
ENIL Italia è in linea di massima favorevole a tale proposta. Siamo d’accordo sulla necessità di riconoscimento giuridico della figura del caregiver familiare, che svolge un lavoro di cura spesso stressante, faticoso e mai remunerato. In egual misura è importante rimarcare il riferimento al diritto di autodeterminazione delle persone con disabilità, che devono poter scegliere tra l’assistenza fornita dal caregiver familiare e “supporti e servizi pubblici di assistenza”, compresa l’assistenza personale in forma autogestita e autodeterminata.
Questo è un aspetto sul quale occorre soffermarsi. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, all’articolo 19 sancisce il diritto delle stesse persone con disabilità a vivere nella collettività, con la stessa libertà di scelta degli individui non disabili. Tra gli obblighi degli Stati firmatari della Convenzione, vi è quello di assicurare che le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale. Sembrano essere questi i “servizi e supporti pubblici” cui fa riferimento Lancioni. Tutti questi servizi e supporti svincolano la figura del caregiver familiare da ogni obbligo di assistenza gratuita nei confronti del familiare con disabilità.
C’è però una fondamentale differenza tra l’assistenza personale e gli altri servizi elencati dall’articolo 19. L’assistente personale, in base al diritto di scelta e di eguaglianza, è selezionato/a dalla persona con disabilità e assunto/a con regolare contratto di lavoro. Egli (o ella) svolge le mansioni assegnategli dalla persona con disabilità, nei tempi e nei modi che questa preferisce. Per questo si parla di assistenza personale autogestita (ossia “gestita dalla persona disabile che la riceve”). È evidente, quindi, che l’assistenza personale autogestita garantisce il diritto all’autodeterminazione solo quando la persona con disabilità ha il pieno controllo su tutte le attività della propria vita. O lo garantirebbe, se i fondi pubblici erogati per coprire i costi di assistenza (stipendio, malattia, ferie pagate) fossero sufficienti. Altre forme di assistenza sono invece fornite nei tempi, nei modi e talvolta nei luoghi (si pensi a centri diurni o istituti residenziali) stabiliti dall’ente erogatore, senza alcun riguardo per le preferenze della persona disabile che ne fruisce.
Nel contesto attuale, come scrive Lancioni, le persone con disabilità (e la società tutta) hanno un debito di gratitudine nei confronti dei caregiver familiari. Se però questa gratitudine non scaturisce dal diritto di scelta, si trasforma in una forzatura ingiusta, una forma di violenza sistemica nei confronti sia dei caregiver stessi, sia delle persone con disabilità, che spesso non hanno altra opzione se non affidarsi all’assistenza fornita gratuitamente dai propri familiari.
La narrazione secondo cui la disperazione dei caregiver giustificherebbe l’omicidio dei familiari con disabilità non fa altro che avallare questa violenza sistemica da parte dello Stato.
Come sottolineato nella proposta di regolamentazione, la vita in istituto è comunque vita, per quanto priva di autodeterminazione, ma non deve essere l’unica alternativa possibile. Ancora più importante, l’alternativa alla vita in istituto non è la morte, ma una vita nella collettività con l’assistenza personale autogestita. Le persone con disabilità devono essere messe nella condizione di prendere tutte le decisioni in merito alla propria vita, sia dai propri caregiver, sia dallo Stato. Il diritto all’autodeterminazione delle persone con disabilità è particolarmente importante quando si tratta di decidere tra vivere o morire.
In un contesto di violenza sistemica e diritti negati (sia quelli delle persone con disabilità, sia quelli dei caregiver familiari) la proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche di cui si tratta è un contributo importante per la creazione di una società più equa.
Il nostro suggerimento, sulla base del diritto di scelta e di eguaglianza quali princìpi della Convenzione ONU, è quello di includere nella proposta anche il riferimento all’assistenza personale autogestita e autodeterminata fornita da persone assunte con regolare contratto di lavoro da parte della persona con disabilità richiedente o, se necessario, tramite chi la rappresenta legalmente.
Asya Bellia, socia di ENIL Italia
In merito alle ultime vicende di omicidi-suicidi da parte di caregiver familiari nei confronti di persone con disabilità, occorre aggiungere un tassello alle importantissime riflessioni già avanzate da più Attori dell’associazionismo che si occupano dei diritti delle persone con disabilità. Tra questi, il Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità Giampiero Griffo, la UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), la vicepresidente della UILDM di Sassari Francesca Arcadu, e la responsabile di Informare un’H – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli Simona Lancioni.
La notizia battuta dalle cronache nostrane riporta la tragedia di un disperato padre di famiglia che ha ucciso la moglie e i due figli, uno dei quali disabile, e poi si è tolto la vita. Un gesto estremo riconducibile, secondo molte testate giornalistiche, alla condizione di grave disabilità del figlio, combinata con la prospettiva di non potergli garantire un’adeguata assistenza in futuro. Come spesso succede, l’attenzione è rivolta alla figura genitoriale che compie la strage, alla sua trasformazione da persona rispettabile e benvoluta ad efferato omicida, quasi a volerne ammorbidire il racconto, cercando una plausibile giustificazione. Nei confronti delle vittime, al contrario, vengono spese ben poche parole, soprattutto sul figlio Massimo, di 43 anni, con la distrofia di Duchenne, trovato morto nel letto a fianco a sua madre.
La narrazione sbilanciata, a favore di un sensazionalismo e di una distorsione del dolore fine a se stessi, descrive le persone con disabilità come fardelli, deumanizzate e appiattite ad una dimensione di passività e abilismo. Un vulnus non isolato ma reiterato, da inquadrare in una modalità sistemica e di profilo politico che riproduce l’arcaico modello medico della disabilità (che però è stato superato dal cambio di paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità), riconducendo le istanze delle persone con disabilità ad un problema “da gestire” e a cui dover trovare una soluzione, e assumendo implicitamente che le stesse versino in una condizione di precarietà, angoscia e rassegnazione. La stessa violenza sistemica che priva le persone con gravi disabilità dei diritti di libertà e autodeterminazione, le costringe a dipendere dalla disponibilità delle famiglie, e le espone al rischio di abusi a cui risulta impossibile sottrarsi, soprattutto se donne.
Lancioni, attraverso i contenuti del Centro di documentazione Informare un’h di cui è responsabile, svolge un’attenta analisi e avanza una Proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche, aperta alla sottoscrizione di chiunque ne condivida finalità e contenuti, e atta a ribilanciare gli equilibri di questo genere di narrazioni e a prevenirne gli effetti distorsivi. Tale Proposta offre una descrizione precisa della condizione in cui vivono i/le caregiver familiari (coloro che «assumono gratuitamente significativi e continuativi impegni di assistenza nei confronti di congiunti/e non autosufficienti») vittime – insieme alle persone con disabilità – di una sistematica violazione dei diritti umani a causa dell’ancora inadeguato riconoscimento di questa figura e della mancanza di tutele da parte dell’ordinamento giuridico italiano.
Come specificato nella prefazione, la citata Proposta fa riferimento «al paradigma delineato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09), e in particolare al diritto alla vita (riconosciuto nell’articolo 10); alla dignità intrinseca e all’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e all’indipendenza delle persone con disabilità (articolo 3); al diritto della persona con disabilità a non essere mai sostituita nei processi decisionali, ma a ricevere, se necessario, appropriati supporti che rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona stessa (articolo 12)». A tal proposito, per completezza ed eguaglianza, è opportuno suggerire un’integrazione che faccia riferimento all’articolo 19 della stessa Convenzione ONU, che sancisce il diritto delle persone con disabilità a vivere nella collettività con la stessa libertà di scelta delle altre persone, sintetizzato nel principio del Nulla su di Noi senza di Noi.
L’autonomia individuale richiamata si completa con servizi di sostegno e budget economici personalizzati, per gestire l’assistenza personale necessaria a vivere in modo indipendente nella collettività. Il diritto naturale ad una vita adulta e dignitosa, indipendente che passa anche attraverso la scelta dell’assistenza personale autodeterminata e autogestita per diventare liberi cittadini.
Osservando che il ruolo del caregiver è fondamentale per garantire l’assistenza e il benessere dei congiunti con disabilità, l’obbligo affettivo e il sentimento strettamente correlato di gratitudine non devono essere intesi come uniche possibilità di sopravvivenza. La sostanziale differenza fra un caregiver familiare e un assistente personale sta tutta nel diritto di scelta. L’assistente personale regolarmente assunto grazie al finanziamento specifico per i progetti personalizzati non crea dipendenza affettiva alla persona con disabilità, se anche il diritto alla vita indipendente è esigibile e correttamente applicato. Analogamente, con l’effettivo riconoscimento istituzionale e le rispettive tutele, anche il caregiver familiare è liberato e alleggerito da quei legami di dipendenza.
Avanzo queste considerazioni nella speranza che questa visione sia utile per arricchire la Proposta affinché caregiver familiari e persone con disabilità possano unirsi, oltre che per contrastare stereotipi e pregiudizi che ancora dilagano attraverso questo genere di narrazioni, anche nel rivendicare il diritto delle persone con disabilità a una vita autodeterminata e dignitosa.
Simone Riflesso, socio di ENIL Italia
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.