Manifestazione da sempre seguita anche sulle nostre pagine, il Festival della Cooperazione Internazionale, promosso dalla RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), in collaborazione con l’Associazione La coda di Ulisse di Massafra (Taranto), vivrà la propria settima edizione dal 18 al 22 ottobre prossimi, con iniziative in alcuni Comuni della Puglia e anche, per la prima volta, con alcuni eventi collaterali al di fuori della Puglia.
La RIDS, lo ricordiamo, è l’alleanza strategica avviata nel 2011 da due organizzazioni non governative, l’AIFO (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) ed EducAid, insieme a due organizzazioni di persone con disabilità, quali DPI Italia (Disabled Peoples’ International) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), alle quali si è aggiunto successivamente l’OVCI-La Nostra Famiglia (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale), con l’obiettivo di occuparsi di cooperazione allo sviluppo delle persone con disabilità in àmbito internazionale.
Per presentare la nuova edizione della manifestazione, cediamo la parola al coordinatore di essa Francesco Colizzi.
Vogliamo continuare a credere e sperare attivamente che il Mare Mediterraneo possa diventare “il mare tra le terre del ben-vivere”. Rivolti verso tale orizzonte, nelle precedenti edizioni del Festival abbiamo sommessamente indicato la necessità di trarre lezioni di cambiamento dalla pandemia, la concreta possibilità di perseguire l’arte di vivere insieme e la diffusa “r-esistenza” di energie mediterranee costruttrici di pace. Ma la nostra visione non ci ottunde l’esame di realtà.
La settima edizione di quest’anno trova le nostre comunità mediterranee piuttosto rassegnate a convivere con il virus SARS-COV 2, che ormai fa molto meno paura, con i furori bellici che proseguono senza sosta poco al di sopra delle sponde del Mar Nero e con le tragedie ricorrenti dei migranti nelle acque di un mare reso loro ostile da visioni lesive dei diritti umani e da incompetenze nazionali ed internazionali.
In un contesto così lacerato e attraversato da un’angoscia di morte, cosa sta accadendo alle città e alle comunità del Mediterraneo? Stanno soccombendo a un desiderio egoistico di chiusura su se stesse e di sfruttamento delle proprie risorse sulla spinta degli interessi privatistici più forti? Oppure riescono ancora a coltivare la consapevolezza che il ben-vivere richiede l’assunzione di responsabilità collettive verso gli ecosistemi naturali ed urbani, l’apertura all’inclusione e al meticciato di popoli e culture in movimento, il dialogo profondo tra le grandi religioni e le diverse forme di spiritualità fiorite lungo i millenni sulle sponde delle terre separate ma anche unite dal Mediterraneo? Sono domande di estrema e non contingente importanza per tutti noi.
Per questo la RIDS, la Rete Italiana Disabilità e Sviluppo che insieme a La coda di Ulisse promuove il Festival, quest’anno si propone di approfondire nei suoi diversi aspetti l’Obiettivo 11 [“Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, N.d.R.] dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, in relazione alla complessiva struttura strategica di un impegno mondiale che è entrato nella seconda metà del suo arco temporale.
A livello planetario le città, che oggi ospitano circa la metà della popolazione, occupano solo il 3% del territorio della Terra. Nonostante questa esigua estensione, sono responsabili del 60% del consumo di energia e risorse, e del 70% delle emissioni di carbonio nell’atmosfera. Dunque la rapida urbanizzazione, soprattutto nei Paesi in Via di Sviluppo, esercita una forte pressione sull’ambiente e sulla salute.
Eppure le città nella storia umana hanno rappresentato dei centri focali di cambiamento e sono crocevia di idee, persone, commerci, culture, produttività e molto altro. Si può dunque immaginare e realizzare un futuro in cui le città offrano l’opportunità di una vita dignitosa e libera a tutti. Tuttavia, la mancanza di un’adeguata struttura di governance e di controllo riduce la possibilità di uno sviluppo urbano sostenibile a lungo termine.
Rendere le città sostenibili significa creare opportunità di crescita economica, alloggi sicuri e convenienti, servizi di base accessibili a tutti, sostenendo società resilienti ed economie efficienti. Tutto ciò implica che nei diversi insediamenti umani si realizzino investimenti mirati nel trasporto pubblico, si creino spazi pubblici verdi, si attui una gestione diversificata e senza sprechi delle risorse energetiche e si coinvolgano sempre più gli abitanti in modo partecipativo e inclusivo.
Molte città del Mediterraneo, specialmente quelle costiere, sono ormai diventate delle città turistiche, nelle quali il numero di visitatori stranieri supera di gran lunga quello degli abitanti. Poiché il turismo sembra essere diventato un obbligo sociale, nonostante gli oneri che tale industria riversa sull’ambiente e sulle comunità (alterazione della tipologia dei servizi, della funzione di alcuni edifici, del paesaggio fisico e perfino di quello umano), questo è un argomento cruciale, se vogliamo parlare di città e comunità sostenibili ed inclusive.
Esiste infatti una soglia di flusso sotto la quale i turisti usufruiscono di servizi e prestazioni pensati per i residenti, mentre oltre tale soglia sono i residenti ad usufruire progressivamente dei servizi pensati per i turisti (costi compresi). Occorre scongiurare il rischio, già attuale, che le città turistiche diventino invivibili, non sostenibili né inclusive, come luogo di residenza e di vita per l’autoctono, che può permettersela sempre meno in termini economici e sempre più ne è espulso nella dimensione relazionale.
Quest’anno il Festival continuerà a tendere il filo dell’educazione alla pace e alla nonviolenza con una mostra audiovisiva itinerante sui protagonisti di pace del Novecento e con la presentazione di alcuni libri che raccontano storie di esuli e rifugiati in fuga dalle guerre. Resterà attivo il focus sulla condizione dei migranti attraverso mostre fotografiche, dibattiti e riflessioni offerte dalla rivista «Transculturale». Verrà ulteriormente sviluppato, assieme al locale Centro Servizi per il Volontariato (CSV), il tema del volontariato e del dono attraverso un convegno e la presentazione del testo di Philippe Chanial Le nostre generose reciprocità. Si parlerà di salute globale e della forte tendenza alla sua privatizzazione, ma anche delle comunità urbane inclusive delle persone con disabilità e degli anziani con demenza e disturbi comportamentali.
Il tema centrale sarà discusso e variamente articolato nei quattro webinar previsti (Le città sostenibili e l’economia civile, Le città turistiche sostenibili ed inclusive, Esperienze di emancipazione in Tunisia e Palestina, Una scuola mediterranea di cooperazione inclusiva tra Italia, Croazia, Tunisia e Marocco), in alcuni convegni condivisi con il MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e con Libera (Sperare con tutti nel Mediterraneo, Lottare per un ambiente sostenibile: in memoria di Renata Fonte), nel dibattito sul “patriottismo sociale” proposto da Gianluca Budano.
Una particolare attenzione, infine, sarà rivolta alla città madre del Festival, Ostuni (Brindisi), con la mostra fotografica La città bianca e lo sguardo di Marcello, in memoria del fotoreporter Marcello Carrozzo, e con la proposta di intitolare un giardinetto pubblico a Madeleine e Raoul Follereau allo scopo di renderlo un luogo didattico-educativo.
Le cinque giornate del Festival (18-22 ottobre), previste in vari Comuni della Puglia (tra i quali quelli in cui è presente l’AIFO organizzata, Ostuni, Francavilla Fontana e Lucera) e le iniziative collaterali per la prima volta in alcuni Comuni fuori della Puglia, punteranno dunque il loro sguardo amorevole e critico sulle città e sulle comunità del Mediterraneo. Le lenti utilizzate saranno quelle fornite dall’approccio e dalle esperienze dell’economia civile e dell’urbanistica inclusiva, assieme a quelle di un’etica del dialogo interreligioso e transculturale e di una cooperazione internazionale innovativa nell’area del Mediterraneo.
Il “mare tra le terre” non dovrebbe più essere identificato come Mare nostrum, secondo l’originaria accezione romana ripresa anche in epoca contemporanea con toni nazionalistici. Esso non dovrebbe essere proprietà di nessuno, ma se proprio dobbiamo attribuirne un’appartenenza, allora che sia un Mare omnium, che siano acque di chi le solca per tessere l’arte della convivenza civile e di chi le attraversa spinto da un’attesa di futuro.
Coordinatore del Festival della Cooperazione Internazionale.
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