Un consiglio per aumentare la conoscenza delle “famiglie con disabilità”

Continuiamo a dare spazio ad altre opinioni sugli articoli pubblicati di recente dalla giornalista Concita De Gregorio e sulle prese di posizione da essi suscitate. Questa volta ben volentieri raccogliamo il contributo di Giorgio Genta, nostro collaboratore “storico” e “vecchio caregiver”, come egli stesso si definisce, che si rivolge direttamente alla giornalista, consigliandole tra l’altro, e fuor di modestia, di leggere i tanti testi da lui prodotti, «per aumentare le proprie conoscenze sulle dinamiche relazionali delle “famiglie con disabilità”, delle cerebrolesioni e delle malattie rare»

Mulo che trasporta dei computer, affiancato da due uomini

Il mulo da soma ovvero. come sottolineato in diverse occasioni da Giorgio Genta, l’animale più rappresentativo della categoria dei caregiver familiari che assistono persone con grave disabilità

Continuiamo a dare spazio ad altre riflessioni sugli articoli pubblicati recentemente dalla giornalista Concita De Gregorio (Il valore di un selfie e La morte del contesto) e sulle tante prese di posizione da essi suscitate (nella colonnina a fianco degli Articoli correlati i link ai testi già pubblicati).
Questa volta ben volentieri pubblichiamo il contributo di Giorgio Genta, nostro collaboratore “storico” e “vecchio caregiver”, come egli stesso si definisce puntualmente, che si rivolge direttamente alla giornalista, senza rinunciare al taglio dei suoi interventi, sempre intriso anche di una giusta dose di ironia.

Cara Concita, spero potrai perdonarmi se ti do del  “tu”, ma sono un povero vecchio ignorante di quasi 80 anni (77 per l’esattezza) con alcuni problemi di carattere fisico (articolazioni degli arti inferiori, rizoartrosi nella mano destra) e svariati deficit intellettivi (Alzheimer?).
Non sono né un ortopedico né un neuropsichiatra, pur tuttavia di neuropsichiatri infantili e di ortopedici ho avuto il piacere (dubbio?) di conoscerne parecchi, molti anni fa.
Qualche decennio dopo sono stato ospite (gradito?) per cinquanta giorni in un reparto psichiatrico. La diagnosi? In termini tecnici “depressione ansiosa”, in termini pratici, terra-terra, non riuscivo più a dormire, forse, o almeno così io credo, grazie a una trentina d’anni (diciamo diecimila giorni o meglio 10.000 notti), passati in assistenza alla mia figlia minore affetta da una malattia genetica rara.

Mia moglie e mia figlia maggiore hanno “lavorato” molto più di me e ne sarò loro eternamente grato.
Per il “lavorato” di cui sopra intendo, per mia moglie, fare la madre prima di una bimba con disabilità, poi di una ragazza con disabilità, quindi di una giovane donna con disabilità. E farlo con molto, molto amore.
La figlia maggiore è una sibling* (sempre), una rianimatrice (talvolta se costretta dalla necessità a casa, mai per professione), una laureata in disciplina sanitaria, con sulla schiena, dove si portano i pesi o almeno si portavano ina volta, due specializzazioni di carattere ospedaliero, nonché madre di due bellissimi figli.

Io sono solo un vecchio caregiver con molti brutti vizi e uno, che credo sia il peggiore, di scrivere talvolta di disabilità e in particolare di cerebrolesioni.
Se ti capita di non saper cosa fare (credo ti capiti assai raramente, visti i tuoi impegni professionali), puoi battere il mio nome e cognome sulla “ricerca avanzata” di Superando e aumentare, scusa la mia immodestia, le tue conoscenze sulle dinamiche relazionali delle “famiglie con disabilità”, delle cerebrolesioni e delle malattie rare.

*Sorella di una persona con disabilità.

Per Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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