Non è facile descrivere Oriana, perché la sua malattia le ha tolto tanto tanto, la normalità di una vita. I suoi interessi risalgono alla sua prima gioventù, poi la malattia l’ha come anestetizzata. Non provava più passione per quasi niente. C’era una trasmissione però che non perdeva mai, Cartabianca di Bianca Berlinguer, perché amava Mauro Corona [scrittore e alpinista che aveva una rubrica nella trasmissione, N.d.R.]. Intorno ai 15/20 anni ascoltava Battisti, Mina, Cocciante, De André e Battiato. Imparavo da lei ad apprezzare la musica italiana. Il suo preferito era Fabrizio De André. Rimini la sua canzone del cuore. Anche Via Del Campo. Altre canzoni molto amate erano Così Celeste di Zucchero e La voce del silenzio di Massimo Ranieri. Quest’ultima mi chiedeva sempre di ascoltarla dal mio cellulare, e le uscivano le lacrime.
Era molto brava a disegnare, ma con i farmaci che prendeva era sempre più difficile coltivare questa passione. Così abbandonava ogni tentativo. Ci teneva ad avere i capelli in ordine, soldi permettendo, andava spesso dalla parrucchiera, altrimenti si “accontentava” della mia piega. Ci teneva anche a vestirsi bene, ogni volta che l’accompagnavo e sceglieva qualcosa di nuovo lo metteva subito ed era felicissima. Non ha mai accettato la sua malattia, non ne era consapevole.
I suoi problemi iniziarono intorno ai 17 anni, gli accertamenti portarono ad una diagnosi di personalità borderline, e venne presa in cura da uno psichiatra. Da allora ci sono stati due episodi di tentato suicidio. Il primo avvenne quando aveva 18 anni, ed era già stata presa in carico dai servizi, il secondo quando ne aveva 25, dando luogo a una serie di ricoveri in psichiatria.
In quel periodo la vita di tutta la famiglia era un inferno, io sono più piccola di lei, ma nessuno è intervenuto in nostro aiuto, nemmeno quando io ero minorenne.
La vita proseguiva con grande difficoltà per tutti, e quando la sua patologia la fece diventare molto violenta nei confronti di nostra madre, si aprirono le porte di una struttura a Chieti, in Abruzzo. Era il 2009 e lei aveva 45 anni.
Poiché era lontana da casa (noi abitiamo nelle Marche, a Magliano di Tenna, in provincia di Fermo), vi rimase malvolentieri fino al 2012, quando riuscimmo a farla entrare in una SRR (Struttura riabilitativa residenziale) a Fermo, dove riuscì ad instaurare dei bei rapporti e a stare bene, svolgendo delle attività che la tenevano impegnata, anche se non venne predisposto il “progetto di vita” [il riferimento è ai “Progetti individuali per le persone disabili”, disciplinati dall’articolo 14 della Legge 328/00, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, N.d.R.].
Alla fine del 2016 ci venne detto che da lì a poco avrebbe dovuto lasciare la struttura riabilitativa, e quindi ci venne proposto l’inserimento in un gruppo appartamento insieme con altre tre donne, anche loro dimissionarie dalla struttura riabilitativa. In quell’occasione ci venne proposto di nominare un amministratore di sostegno deputato alla gestione economica dell’appartamento e delle utenze. Non ci venne spiegato quasi nulla di questo istituto di tutela, né venne preso in considerazione che a svolgere tale compito potesse essere un familiare. Ci spiegarono invece che un unico amministratore per tutte e quattro le donne con disabilità era indispensabile per far quadrare i conti della gestione complessiva. Noi accettammo, Oriana ne era contenta. Quindi a maggio 2017 venne nominato un amministratore di sostegno esterno, mentre già non si parlava più del gruppo appartamento, ma si iniziava a parlare di case di riposo.
Due mesi dopo la nomina di un amministratore di sostegno esterno, nel luglio 2017, quando ormai era definitivamente sfumata la possibilità del gruppo appartamento, io subentro nell’amministrazione di sostegno con una nomina definitiva. Nel 2019 ci venne comunicato che entro breve Oriana avrebbe dovuto lasciare la una struttura riabilitativa residenziale e quindi ci venne proposta la prima casa di riposo.
Quando io e mia mamma andammo a visitarla, su richiesta dell’assistente sociale, ci siamo avvicinate alla finestra senza dire niente e abbiamo guardato sotto. Solo una volta rientrate in auto, sulla via del ritorno, con la chiara decisione che Oriana non avrebbe messo piede in quella struttura, ho chiesto a mia mamma perché avesse guardato sotto la finestra, e lei, in lacrime, mi ha risposto che aveva paura che Oriana, rinchiusa in quel luogo, avrebbe potuto buttarsi da lì, esattamente il mio stesso timore.
Questo è solo un avvenimento dei tanti pieni di dolore in questa vicenda. Quando ho fatto presente alla Giudice Tutelare che quello era un posto terribile e opprimente, con persone alla fine della loro esistenza, quindi non adatto a mia sorella cinquantacinquenne, visti soprattutto i precedenti tentativi di suicidio, la Giudice Tutelare mi ha risposto che mia sorella avrebbe potuto ripetere quel tentativo in qualsiasi posto! Eh no, se l’avessero ospitata in un luogo sereno, lei non avrebbe avuto nessun motivo per pensare di farla finita, visto che, per stare bene, aveva anche smesso di fumare.
Rifiutammo con decisione il trasferimento. Inizia così il percorso più difficile, con l’assistente sociale e la Giudice Tutelare da una parte sordi ad ogni appello di mia sorella, e dall’altra alle mie infinite PEC [Posta Elettronica Certificata, N.d.R.] in cui facevo loro notare la volontà contraria di Oriana e soprattutto come ciò che veniva proposto fosse contrario alle norme regionali e ai percorsi previsti dal Ministero della Salute per la sua patologia. Niente da fare, per la Giudice Tutelare non esisteva una soluzione alternativa alla casa di riposo, i cui ospiti avevano in media trent’anni in più di mia sorella ed erano al termine della loro esistenza.
Al nostro rifiuto Oriana venne comunque dimessa dalla struttura riabilitativa, e tornò a casa con noi, dove rimase per tredici mesi. Durante questo periodo continuai a rifiutare l’ingresso nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistite), che qui nelle Marche sono situate all’interno delle case di riposo… tutti insieme allegramente.
In quel periodo la Giudice Tutelare, in ragione dei miei ripetuti rifiuti a trasferire Oriana in una casa di riposo, ha minacciato costantemente di revocarmi l’amministrazione di sostegno. A fine 2019 decido di rivolgermi ad un legale, gli racconto tutta la storia, ma questo avvocato mi dice che prima di intraprendere un’azione devo presentare una richiesta di autorizzazione alla Giudice Tutelare. Pertanto procedo con la richiesta alla Giudice Tutelare e, non avendo ricevuto da lei alcuna risposta, presumo che vada tutto bene. Nel frattempo scoppia la pandemia da Covid. A fine marzo 2020, in pieno lockdown, vengo richiamata dalla Giudice Tutelare per un’udienza urgente ai primi di aprile. Rispondo facendo presente che siamo tutti barricati in casa e fuori c’è una pandemia mondiale. L’udienza viene rinviata a giugno, con l’ennesima minaccia di togliermi l’amministrazione di sostegno se non procedo all’inserimento di Oriana nella RSA.
A questo punto cedo e Oriana, con grande dignità, accetta il trasferimento. Io le prometto che continuerò a lottare per lei. L’avvocato nel frattempo è sparito, senza aver fatto niente di niente. Solo con la richiesta degli atti, dopo la perdita di mia sorella, sono venuta a conoscenza che la mia richiesta di avere un legale era stata rigettata dalla Giudice Tutelare con la motivazione che non ve ne era necessità, ma non me lo aveva comunicato, né via raccomandata né via PEC. Ho anche scoperto l’esistenza di un carteggio tra l’assistente sociale del Dipartimento di Salute Mentale e la Giudice Tutelare in cui venivo descritta come «un soggetto disturbante». Eh, certo! Mia sorella, dopo il suo ingresso nella casa di riposo, è stata completamente abbandonata dal Dipartimento di Salute Mentale, e oltre a stare male (si lamentava quotidianamente, voleva uscire), non era neanche seguita come era necessario. Infatti lei era anche diabetica e non le veniva fatta la rilevazione della glicemia. Di tutto questo ovviamente mi lamentavo sia con il Dipartimento di Salute Mentale che con la RSA via PEC, senza tuttavia mai ricevere alcuna risposta da parte del Dipartimento, mentre dalla RSA mi veniva risposto che andava bene così…
A fine novembre mia sorella nota dei facchini portare nella struttura ospitante un notevole numero di letti, e successivamente l’ingresso di tanti anziani provenienti da altre strutture. Lei era preoccupata per la diffusione del Covid.
A inizio dicembre un focolaio scoppiato all’interno della struttura ha portato via diverse vite, forse una trentina, i numeri giusti non li sappiamo, è stato tutto messo a tacere. Quando Oriana ha iniziato a stare male, ho provato in ogni momento a parlare con qualcuno che mi desse notizie. Non ci sono riuscita. Si sono fatti negare sempre! Ho avuto la conferma della sua positività al Covid da un dottore della squadra dell’USCA [Unità Speciali di Continuità Assistenziale, N.d.R.], quindi da personale esterno alla struttura, inviato dall’ospedale per prendere in mano una situazione ormai fuori controllo.
Oriana è stata subito ricoverata in ospedale, dove è venuta a mancare il 29 dicembre 2020, senza aver potuto più rivedere nessuno dei familiari, senza aver potuto conoscere mio figlio, che sarebbe arrivato due mesi dopo. Se ne è andata da sola, perfettamente lucida e consapevole di quello che stava succedendo. Mi ha chiamato un’ultima volta per salutarmi, per parlare del nipote che non ha potuto conoscere. Mi ha detto che stava morendo e mi voleva sentire per l’ultima volta.
Io non trovo pace. Sono diventata mamma nel momento più atroce della mia vita. Il mio bimbo è nato di 34 settimane e i dottori hanno ipotizzato che la nascita prematura sia dovuta al grande dolore provato. Non ho provato solo dolore, ma anche tanta tanta rabbia, di quella che non fa più vivere.
Questo è quanto accaduto a mia sorella Oriana, penso che la scelta di sistemarla in casa di riposo over 65, reiteratamente proposta dal Dipartimento di Salute Mentale, fosse dettata da una questione economica. Inviare Oriana in una struttura riabilitativa psichiatrica sarebbe stato per il Dipartimento un costo che non era più disponibile a sostenere. Nella casa di riposo la retta mensile era a carico di Oriana (che aveva la sola pensione di invalidità) e della famiglia (mio padre e mia mamma vivevano con la sola pensione di operaio di mio padre, mentre mamma non aveva niente). Nessuno controlla se una minore spesa significa un servizio non erogato. Facile risparmiare non erogando servizi indispensabili… Con un altro avvocato ho intrapreso un’azione legale per fare luce su quanto accaduto.
Oriana meritava una vita diversa.
Ringraziamo Simona Lancioni e l’Associazione Diritti alla Follia per la collaborazione.
Sul tema dell amministrazione di sostegno e sulle “distorsioni” nell’applicazione di tale istituto, suggeriamo la lettura, sulle nostre pagine, del contributo di Simona Lancioni intitolato Amministrazione di sostegno: quando “la tutela diventa ragnatela” (a questo link) e dell’elenco di contributi presenti nella colonnina a fianco dello stesso (Articoli correlati).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.