Claudia Maltese vive a Palermo, è un’aspirante antropologa, una sognatrice di vite alternative, una lettrice appassionatam oltreché l’ideatrice del blog A clacca piace leggere…, nel quale dispensa «consigli di lettura (non richiesti)».
Gresa Fazliu vive in Trentino, ma nel suo cuore ci sono due Paesi: il Kosovo, dove è nata, e l’Italia, dove è cresciuta; è «sociologa sulla carta e nell’animo», ed «ama scrivere di tutto».
Sono loro le due attiviste con disabilità autrici di Decostruzione antiabilista. Percorsi di autoeducazione personale e collettiva, un breve (64 pagine) ma prezioso volumetto, recentemente dato alle stampe dalla casa editrice Eris.
L’opera affronta l’abilismo, la discriminazione sistemica sulla base della disabilità – o meglio, della sua decostruzione –, con sguardo femminile. Per sviluppare il tema, Maltese e Fazliu partono da sé, dalle proprie esperienze di vita, descrivendo il percorso che le ha portate dapprima a riconoscere come discriminatori aspetti inizialmente non percepiti come tali, quindi analizzando i meccanismi di funzionamento dell’abilismo allo scopo di smontarli, e infine mostrandone la matrice relazionale, giacché la disabilità non è una caratteristica delle persone con disabilità, ma la risultante della loro interazione con un mondo che non prevede la loro presenza e tende a invisibilizzarle, inferiorizzarle e marginalizzarle.
Con un linguaggio semplice, lineare, diretto, critico e talvolta ironico la narrazione affronta questioni terminologiche («Le parole sono importanti»), della rappresentanza e auto-rappresentanza («Siamo una categoria, ma non ancora una comunità; Posso rappresentarti? No grazie, faccio da solə*»), delle ricadute dell’approccio che ha inteso la disabilità in termini esclusivamente sanitari («Adattiamo la società ai nostri corpi invece che adattare i nostri corpi alla società»), della funzione dei social media («Mettiamo i mostri in mostra!; Uno spazio privo di barriere, uno spazio sicuro»), della prospettiva intersezionale, e transfemminista in particolare, nonché di violenza di genere («Lotte intersezionali ma non troppo, che poi diventa un accollo; Quando dite tutte le donne, intendete davvero tutte le donne?»), della rappresentazione delle soggettività disabili («L’inspiration porn e la creazione del supercrip»), delle fasi della crescita («Crescere senza sentirsi (ancora più) sbagliatз; Formarsi in un sistema educativo abilista»), di abilismo interiorizzato e rapporti familiari («Il momento in cui interiorizzi l’abilismo»), di genitorialità («E se volessi avere un bambinə?»).
È interessante notare come le due donne assumano le realtà femministe come riferimento per portare avanti le loro rivendicazioni, caldeggiando, giustamente, che esse prestino attenzione e includano nelle proprie lotte anche il contrasto alle discriminazioni multiple che colpiscono le donne con disabilità (essendo queste discriminate sia per il genere che per la disabilità), ma non vi è un’analoga richiesta nei confronti dell’associazionismo delle persone con disabilità. Quest’ultimo è il grande assente dell’opera. Nel percorso di autoconsapevolezza delle protagoniste, infatti, sono stati determinanti l’uso dei social e i gruppi informali di persone con disabilità, non le loro Associazioni, né le Federazioni. Potrebbe significare che l’associazionismo delle persone con disabilità non ha sufficiente visibilità, o non risponde alle esigenze delle nuove generazioni di persone con disabilità. Oppure potrebbe significare che le giovani donne con disabilità attribuiscono maggior peso al loro essere donne che al loro essere persone con disabilità.
Nel complesso quello che emerge dall’opera è un quadro nitido. C’è in essa la freschezza di chi ha accettato di mettersi in gioco e l’entusiasmo di chi pensa che costruire un mondo più giusto sia possibile. Anche la scelta della brevità è invitante, un tomo più corposo, infatti, potrebbe scoraggiare, soprattutto chi pensa che la disabilità non lə riguardi. Ma questo inizi a leggerlo e non smetti sino a quando non vedi come va a finire.
Per dar conto dello stile utilizzato concludiamo con qualche citazione. Abbiamo scelto due brani che trattano dei “corpi non conformi”, un tema fondamentale.
«È importante per noi esserci nelle battaglie e ancora di più nel confronto all’interno degli ambienti transfemministi. Non volgiamo essere escluse anche da chi si dice inclusivə e plurale e da chi dice di lottare per l’accettazione e la rappresentazione dei corpi non conformi. Instagram è strapieno di modelle curvy i cui corpi seguono gli standard del momento, o di gente assolutamente normale che ci riempie di discorsi motivazionali sull’accettazione, con fotografie a fianchi perfetti seganti da smagliature riempite di glitter. Questa grande ondata social di femminismo prêt-à-porter però esclude i nostri corpi, quelli storti, troppo piccoli o troppo grandi, quelli che si muovono o funzionano in modo strano, quelli che sul web o nelle riviste patinate, semplicemente, stanno male. Quelli che non vedete mai e se li vedete non vi fermate a guardare, quelli che – insegnate allз vostrз figlз – non si indicano con il dito» (pagina 54; grassetti nostri in questa e nella successiva citazione).
«La scuola deve educare alle differenze e questo dobbiamo pretenderlo anche quando non stiamo parlando necessariamente di genere, sesso e orientamento sessuale. La scuola deve insegnare allз bembinз che le differenze esistono e che si può far parte di quella categoria, che il diverso non sempre è l’altro, possiamo anche essere noi. Serve che lз bembinз con disabilità con corpi e abilità non conformi siano guidatз nella crescita e nella scoperta di sé e serve che le guide siano competenti e preparate. Serve davvero capire queste cose e serve farlo tuttз insieme, a prescindere da quali siano i nostri corpi e le nostre abilità. Accanto all’educazione sentimentale e sessuale, quando si parla di corpi non conformi, devono esserci – e devono essere tangibili, osservabili, conoscibili – anche i nostri corpi, quelli che crescono scegliendo strade poco battute ma mai deserte» (pagine 39-40). (Simona Lancioni)
*Nel presente testo si fa uso dello schwa (ə) per il singolare e dello schwa lungo (з) per il plurale in luogo delle desinenze femminili e maschili comunemente utilizzate quando ci si riferisce alle persone. Si tratta di un tentativo sperimentale finalizzato a promuovere l’impiego di un linguaggio inclusivo dei generi femminile, maschile e non binario (per approfondire si legga a questo link il testo Un linguaggio accessibile e inclusivo delle differenze tra i generi).
Claudia Maltese e Gresa Fazliu, Decostruzione anti-abilista. Percorsi di autoeducazione personale e collettiva, Torino, Eris, 2023 (collana “BookBlock” n. 23, 6,90 euro, 64 pagine).
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
Articoli Correlati
- C'è un Piano sulla Disabilità nel Kosovo, lo Stato più giovane del mondo Presentiamo un'intervista in esclusiva al nostro sito con Habit Hajredini, tecnico del Governo del Kosovo esperto nei diritti umani e una delle principali personalità coinvolte nella stesura del PAD, il…
- Il Kosovo, la disabilità e la Cooperazione allo Sviluppo italiana A proposito del Piano d’Azione per la Disabilità in Kosovo, recentemente presentato in bozza a Prishtina, presentiamo in esclusiva ai lettori del nostro sito un'intervista a Elisabetta Belloni, direttore generale…
- La disabilità e il Kosovo Da anni titolare di un progetto a vantaggio delle persone con disabilità nel Kosovo, la CICa (Comunità Internazionale di Capodarco) potrà presto ampliare considerevolmente la propria capacità di intervento in…