Le disabilità in Italia costituiscono ancora largamente un ostacolo insormontabile ad accedere alle tappe fondamentali di una vita considerata normale, opportunità sancite come diritti dalla Costituzione: l’accessibilità alle cure, alle terapie e alle tecnologie migliori presenti sul mercato. Nonché il diritto alla mobilità, all’istruzione e al lavoro.
Tra le persone fragili che soffrono particolarmente questa situazione difficile e di emergenza ci sono gli invalidi civili. Nel nostro Paese non disponiamo attualmente di un quadro giuridico forte in grado di proteggere, promuovere e assicurare la totalità dei diritti a chi, nella vita, si ammala di una malattia rara, di cancro, oppure rimane vittima di un incidente stradale.
Ma chi sono i “cittadini fragili”? Fra questi, sicuramente, ci sono le persone con disabilità, che necessitano di una maggiore presa in carico e di un’attenzione maggiore e che possono presentare condizioni di rischio, legate a fattori sociali, culturali, politici ed economici e alle evoluzioni tecnologiche.
Lo stato di diritto e la democrazia si costruiscono non solo sui diritti, ma vanno declinati intorno agli inderogabili doveri di solidarietà; voglio dire che se anche riuscissimo a rendere esigibile l’intera normativa in materia di disabilità, anche se le barriere architettoniche venissero rimosse, anche se i posti di lavoro riservati alle persone con disabilità venissero coperti, rimarrebbe comunque aperta un’enorme questione di diseguaglianza.
La ragione sta nel fatto che le criticità che le disabilità pongono travalicano la dimensione dell’assetto normativo e affondano, invece, le loro radici nella dimensione materiale. Alzarsi, muoversi, viaggiare, andare a scuola o al teatro: per rendere possibile tutto questo è necessaria certamente l’esigibilità delle Leggi in materia di disabilità, ma occorrerebbe anche mettere in atto le affermazioni, solenni, della Corte Costituzionale che, in materia di diritti inviolabili della persona, ci ricorda che non è l’esercizio dei diritti che deve conformarsi alla scarsità delle risorse, ma sono i bilanci a doversi predisporre e adeguare per la completa soddisfazione dei diritti.
Insisto molto su questo tema e cioè sul fatto che il mondo della disabilità dev’essere visto come una risorsa, non più come un costo: se fornissimo soluzioni utili, innovative, potremmo aprire un mercato alle imprese come quella del turismo accessibile, del commercio elettronico accessibile, della residenzialità accessibile, della digitalizzazione. Il futuro dev’essere in un mondo che comprenda tutti, senza esclusioni. È un fatto di civiltà, che qualifica una società, un Paese.
Sono profondamente convinto della necessità di dover raggiungere il cuore e la coscienza di chi ha il potere di rendere inclusiva la nostra società: un’educazione inclusiva può prevenire le discriminazioni e i soprusi e può proteggere e garantire alle persone in situazione di maggiore svantaggio le pari opportunità di formazione e una partecipazione piena alla vita della propria comunità.
Ecco, dunque, il senso del dovere di solidarietà contenuto nell’Articolo 2 della nostra Costituzione [“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, N.d.R.]. Davanti alle inevitabili diseguaglianze nell’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti ad ogni persona, la Repubblica e i suoi cittadini si vincolano ad adempiere ai loro doveri di solidarietà civile, sociale ed economica.
È questa la chiave di volta per superare lo stato di diseguaglianza di chi nasce o vive in condizioni di soggezione personale, sociale ed economica: siamo tutti vincolati, al fine di trasformare le fragilità in forza, per contribuire in maniera solidale al superamento delle difficoltà di chi ha bisogno.
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