In occasione della Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo scorso, l’UICI di Enna (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) ha scelto di evidenziare due tematiche che riguardano le donne: quella della violenza e quella della malattia, ossia del cancro che colpisce due parti del corpo sinonimo di femminilità, quali il seno e l’utero. Entrambi i temi riguardano l’identità della donna, la sua autostima e la sua capacità di essere nel mondo come persona che si autoafferma autodeterminandosi.
Dopo i saluti istituzionali, il presidente dell’UICI ennese Santino Di Gregorio ha posto l’accento sulla Giornata della Donna in relazione alle pari opportunità, questione che coinvolge anche le persone con disabilità, soprattutto nell’àmbito dell’inclusione sociale. Ha anche brevemente accennato alla conquista dei diritti sociali delle donne, all’incendio della fabbrica tessile a New York nel 1911 in cui morirono 123 operaie e al voto alle donne in Italia nel 1946. Si è quindi soffermato sui femminicidi, fenomeno troppe volte oggetto della cronaca quotidiana.
La dottoressa Marta Potenza, direttrice sanitaria dell’Ambulatorio Oculistico dell’UICI di Enna, ha sottolineato il dato del numero di donne con disabilità nel mondo e della necessità di assistenza oftalmica. Si è soffermata sull’aspetto psicologico della mancanza del contatto visivo, dello scoraggiamento legato alla perdita della vista in seguito a degenerazioni invalidanti, della necessità di imparare ad utilizzare altri sensi in un percorso di ricostruzione dell’autostima e di sostegno alla donna, accompagnandola perché possa realizzare le proprie ambizioni in totale autonomia personale e lavorativa, direzione nella quale l’UICI di Enna lavora.
Successivamente, la professoressa Gabriella Polizzi dell’Università di Enna Kore ha tenuto la relazione dal titolo La rappresentazione mediale della violenza contro le donne in Italia: un’analisi delle campagne governative di comunicazione sociale degli ultimi quindici anni, esaminando le modalità comunicative messe in atto in funzione della prevenzione della violenza sulle donne dal Governo italiano, focalizzando l’attenzione sulla rappresentazione delle vittime, dell’attore della violenza, del testimone della violenza.
Punto di partenza è stato il 2009, anno della Legge che tutela le vittime di stalking [Legge 38/09, N.d.R.], con un’analisi degli spot audiovisivi diffusi in TV (per un pubblico generalista: adulti e anziani) e su Internet (per un pubblico di giovani e adolescenti). Una prima osservazione è stata che generalmente vengono distinti tre tipi di violenza: fisica, economica e psicologica, mentre rimangono escluse altre forme di violenza. Inoltre la violenza viene trattata come un fenomeno indifferenziato e non si tiene conto dei micro-comportamenti come la svalutazione. Una strategia diversa è quella degli spot contro lo stalking che spiegano cos’è, elencandone i comportamenti che lo definiscono. Procedendo negli anni, la violenza è raccontata, quasi mai è vista mentre avviene, forse per non turbare il pubblico generalista, scelta che però rende la comunicazione meno efficace e troppo astratta. Le vittime sono quasi sempre giovani adulte, le adolescenti non sono mai protagoniste degli spot, così come non ci sono mai (tranne in un caso) minori. Gli attori di violenza sono uomini senza volto, mostrati dal busto fino al collo, di spalle, con il viso sfuocato. E ancora, la violenza riguarda solo la vittima, a chi la mette in atto non si dà alcuna responsabilità. Il numero 1522 è il filo conduttore di tutte le campagne, si invita a chiamare, ma questo è l’ultimo anello della catena: ci sono infatti passaggi intermedi che mancano, uno fra tutti la consapevolezza di essere vittime.
Un altro aspetto non trascurabile della narrazione è quello dei luoghi fisici e degli spazi sociali in cui avviene la violenza. La rappresentazione che se ne dà è astratta: fondale bianco, luogo vuoto e non identificato. Soltanto la casa è mostrata e quindi l’unica violenza è quella domestica, che è certo la più frequente, ma non la sola.
Alla donna si chiede di reagire: reagisci, liberati, sblocca il coraggio.
Durante il Covid, che ha determinato una convivenza forzata vittima/autore di violenza, la campagna ha coinvolto persone celebri e si è concentrata sulla possibilità di avere comunque protezione e sul non perdere la speranza. Un dato recente rilevante è quello che, dopo la vicenda di Giulia Cecchettin, molte madri hanno chiamato il 1522.
Un altro momento significativo della giornata promossa dall’UICI di Enna è stata la presentazione del libro di Giusi Antoci, Polvere d’oro. Una storia vera (ArchiType, 2023), che mostra la forza, il coraggio, la disperazione, la voglia di reagire, l’amore per la vita in tutte le sue forme e per tutti coloro che si incontrano, da parte di una donna che si ammala due volte di cancro (prima al seno e poi all’utero). Racconta di una rinascita e di una restituzione a se stessi, della riscoperta del valore del tempo, avendo fatto i conti ed essendosi misurati con un mondo altro rispetto a quello conosciuto: quello di chi sta bene e dà un po’ per scontato di poter fare tutto senza limitazioni. Poi arriva la malattia e il tuo mondo si capovolge, cominciano una serie di “non per ora”, “forse dopo”, “non so se posso/se potrò/quando potrò”, mentre il cancro lascia i segni sul corpo e sull’anima e ti catapulta in un mondo che si rivela pieno di pericolo, di dolore e di speranza, un mondo caotico in cui ognuno vuole consigliare o sconsigliare, in cui capisci che non si deve solo accettare di essere malati e comprendere cosa questo comporta, ma si deve anche spiegare, giustificare e ringraziare per l’interessamento.
Le parole narrano tutte le fasi e gli stati d’animo, scavano e mettono a nudo piccole euforie, scoraggiamento, rabbia, ricadute, rivalse (quel continuare a lavorare nonostante tutto e al di là di tutto), la paura (quella di non migliorare mai, di perdere i capelli); non temono di dichiarare l’ignoranza che tiene all’oscuro dai rischi e dalle possibili complicazioni. Per questo l’esortazione sincera e forte è alla prevenzione, a non trascurare i piccoli segnali che il nostro corpo ci manda. Reagire significa riavere la propria normalità per riprendere fiato, curare il proprio make up più di prima, alternare tre parrucche cambiandole come si fa con gli abiti. L’obiettivo è escludere la malattia dai propri pensieri, non pensarsi malati, considerare sano il proprio corpo ad eccezione di alcune cellule rese “pazze” dal male e per le quali si affrontano le cure.
È un libro di grande umanità, quello di Giusi Antoci, che sa guardare anche al dolore e alla sofferenza degli altri, alla forza che è richiesta a chi accompagna, stando accanto, ognuno con il suo modo di gestire la preoccupazione. Grazie all’Autrice per avere condiviso la sua storia, perché altre donne si sentano meno sole e più capite, per averlo fatto non per mettersi sotto i riflettori, ma per far conoscere tutto ciò che della malattia non si dice, senza nascondimenti o concessioni, senza finzioni o il bisogno di mostrarsi diverse da chi si è; grazie per avere raccontato la sua duplice esperienza con il cancro: da paziente e da caregiver con la sorella che si ammala a propria volta ed esce sconfitta dalla lotta contro la malattia; grazie per avere presentato il punto di vista del malato, sottolineando che occorre rispettarne l’equilibrio mentale oltre che curarne il corpo.
Giusi Antoci, che era presente, ha precisato che il libro è nato dall’invito di un Club Service di Gela (Caltanissetta) a raccontare e ha rimarcato l’importanza delle Associazioni che cercano di capire i bisogni della persona e si occupano di donne che hanno bisogno di rinascere e di ricominciare.
In seguito, la deputata Stefania Marino ha rimarcato che le donne sono sempre soggette a discriminazione (sociale, economica, politica) e che bisogna fare prevenzione nonostante i ridotti finanziamenti per la Sanità per cui la prenotazione degli esami è sempre troppo differita nel tempo, e ha riconosciuto che se non ci fossero le Associazioni le persone resterebbero sole.
Il professor Stefano Salmeri dell’Università di Enna Kore ha tenuto quindi la relazione dal titolo Disabilità, differenza di genere, pari opportunità, esortando a non rifugiarsi in complici silenzi perché bisogna avere il coraggio di prendere posizione. La questione femminile e della disabilità è ancora aperta e non va dimenticato che la fragilità è legata alla definizione sociale dell’altro. La disabilità visiva va affrontata e declinata anche al femminile, in famiglia e nel quotidiano, in tutti gli àmbiti in cui le donne vivono ancora una integrazione subalterna. Bisogna decostruire i pregiudizi, ponendo al centro l’altro e non l’io, perché l’altro ci riguarda. Bisogna agire per cambiare, avendo il coraggio di costruire autentici percorsi di incontro tra un Io e un Tu, per costruire il Noi, attraverso la solidarietà. Infatti, parafrasando don Lorenzo Milani, non è importante come sono le cose, ma come siamo noi mentre facciamo le cose.
Due sono stati i momenti di dibattito, arricchito anche da testimonianze spontanee, il primo dei quali stimolato dalla relazione di Gabriella Polizzi, l’altro nato dalle suggestioni offerte dal libro di Giusi Antoci e dalla relazione di Stefano Salmeri.
Le conclusioni della giornata sono state affidate a Maria Grazia Barreca, coordinatrice del Gruppo Donne dell’UICI di Enna, che riconoscendo la persistenza dei pregiudizi contro le donne e la doppia criticità dell’essere donna ed essere disabile, e a volte dell’essere donna, disabile e madre, ha portato la propria testimonianza di ex vedente diventata ipovedente da adulta, dovendo ricominciare tutto daccapo: studio, lavoro, ricerca della propria autonomia. Ed è con l’esortazione ad essere autonome che ha chiuso la sua riflessione.
Infine, il presidente dell’UICI di Enna Di Gregorio si è dichiarato soddisfatto per lo svolgimento della Giornata, per gli interventi e per le testimonianze che hanno (sono le sue parole) «coronato e colorato» la mattinata.