Nella recente lettera di Papa Francesco pubblicata il 9 maggio scorso per l’indizione del Giubileo del prossimo anno [“Spes non confundit”, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, N.d.R.], il Pontefice ha sviluppato il tema della speranza come virtù non solo umana, ma che deve anche innervare tutte le attività di carattere religioso rivolte agli essere umani. La speranza deve essere l’atteggiamento con cui dobbiamo lottare contro la tristezza e la disperazione derivanti da situazioni gravissime come le guerre, la povertà crescente e le situazioni esistenziali personali.
Il Giubileo deve stimolare tutti a soddisfare le speranze auspicate da tutta l’umanità che ha tantissimi problemi da affrontare per realizzare la giustizia e l’eguaglianza tra le persone e i popoli.
Tra questi problemi il Papa indica pure quelli delle persone malate e quelli delle persone con disabilità. La novità che mi sembra di poter cogliere è che finalmente il Papa distingue i problemi delle persone malate che necessitano di ricoveri in ospedali o di assistenza totale a causa delle loro malattie e le persone con disabilità che sono tali perché risentono degli esiti di malattie pregresse o progressive, ma che possono continuare ad operare attivamente nella società.
Il problema della distinzione tra persone malate e persone con disabilità si dibatte da decenni, da quando cioè il movimento per l’inclusione sociale delle persone con disabilità ha dimostrato che esse, anche quando hanno bisogno di cure mediche, possono includersi attivamente nella società civile ed ecclesiale. Anzi, è la mancata cultura e organizzazione della società che determina la disabilità, in presenza delle minorazioni, effetto di malattie. Questo è il nuovo concetto di disabilità presente nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09. In tale Convenzione è chiaramente distinta la disabilità dalla malattia. La nostra cultura tradizionale, invece, le accomuna, anzi assorbe nel concetto di malattia anche quello di disabilità. Tanto è vero che il Consiglio di Stato in una sua pronuncia definisce la disabilità come «un dato ontologico» della persona; essa costituirebbe cioè l’essenza della persona la quale si identificherebbe nella sua minorazione.
La nostra cultura tradizionale, quindi, non è ancora pervenuta alla comprensione che, se la società si organizzasse in modo culturale e giuridico con l’accessibilità fisica, tecnologica e linguistica, a rispondere concretamente ai bisogni derivanti dalle minorazioni, le persone con disabilità potrebbero avere una vita autonoma.
Questa nuova visione mi pare sia stata invece recepita in un breve passaggio della lettera del Papa alla fine del paragrafo n. 11, dove così distingue l’attenzione alle persone malate e alle persone con disabilità: «E la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili. Non manchi l’attenzione inclusiva verso quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale. La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera».
La distinzione tra le due situazioni esistenziali è palese, non solo dal fatto letterario che si tratta di due frasi distinte, ma anche dalla chiamata in causa della “coralità umana” la cui “cura” (qui palesemente intesa in senso sociale) è “un inno alla dignità umana, un canto di speranza”. Quindi l’incontro tra la conquista dell’“autonomia personale” e “la coralità della società” è frutto dell’“attenzione inclusiva”, che è “un canto di speranza” per le persone con disabilità.
Avendo voluto papa Francesco inculcarci la speranza come stile di vita, mi permetto di sperare che la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) modifichi la propria organizzazione, spostando le persone con disabilità dal settore della Pastorale dei Malati, dove ancora è inquadrata, inserendola in un altro settore che mostri, alla luce degli orientamenti pontifici, che le persone con disabilità hanno problemi esistenziali e sociali diversi dalla malattia.
Anzi oso sperare che la CEI voglia sottoporre al Santo Padre la pressante richiesta di noi persone con disabilità di voler sottoscrivere la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, avvalendosi della possibilità di esprimere delle riserve ad essa, diritto che consente appunto di escludere dalla sottoscrizione gli articoli e i commi di cui non si condivide il contenuto, tramite dichiarazioni motivate. Sino ad oggi, infatti, la Santa Sede ha rifiutato la sottoscrizione della Convenzione, a causa della presenza degli articoli concernenti il diritto all’aborto, ovviamente incompatibili con la convinzione cristiana.
Alla luce dunque di questa bella lettera del Papa e dell’importante lavoro pastorale svolto da anni dall’Ufficio Catechistico Nazionale sulla Pastorale delle Persone con Disabilità, meravigliosamente svolto da suor Veronica Donatello, la CEI potrebbe chiedere al Santo Padre che, superando le eventuali resistenze burocratiche, voglia darci un senso di speranza e avvalendosi della citata opportunità. sottoscrivere la Convenzione ONU. Un’aspirazione, questa, che noi persone con disabilità italiane e di tutto il mondo e le loro famiglie, credenti e non credenti, sperano da sempre possa avvenire.
Siamo certi che l’esclusione espressa e comunicata al mondo delle clausole non gradite alla Santa Sede dia maggiore rilevanza ad esse, in occasione della sottoscrizione del resto della Convenzione. Vogliamo sperarlo perché questo, alla luce dell’autorevolezza del Santo Padre nel mondo, possa aiutarci a vedere migliorata la condizione dei diritti delle persone con disabilità, che in molte parti del mondo subiscono limitazioni e violazioni, a causa di una visione distorta ed errata della nostra condizione.