Abbiamo presentato nei giorni scorsi il libro di recente uscita Breve storia della Tiflologia di Gianluca Rapisarda (Erickson, 2024), firma assai nota anche ai Lettori e alle Lettrici di «Superando.it», per le sue preziose analisi sul mondo dell’inclusione scolastica. Diamo oggi spazio alla Premessa a quel volume, scritta da Salvatore Nocera.
Sono grato all’Autore, preside Gianluca Rapisarda, per il suo libro Breve storia della Tiflologia che, nel far conoscere al più ampio pubblico la storia della tiflologia italiana, rilancia il dibattito sull’importanza del Braille per l’istruzione dei ciechi.
I primi cinque capitoli descrivono l’educazione dei ciechi al tempo delle scuole speciali, indugiando giustamente sull’importanza avuta dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, della Biblioteca per Ciechi di Monza, della Stamperia Braille, della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e degli istituti speciali, con particolare riguardo all’Istituto Romagnoli di Roma.
Tratteggia pure le importantissime figure di tiflologi che hanno fatto la storia dell’educazione dei ciechi in Italia, come Augusto Romagnoli, padre della tiflologia italiana, Silvestro Banchetti, docente di Pedagogia Speciale all’Università di Bologna, Enrico Ceppi, fondamentale preside dell’Istituto Romagnoli e Luciano Paschetta, suo maestro e caro mio amico al quale l’Autore esprime una meritata devozione e stima.
Desidero soffermarmi sul sesto ed ultimo capitolo che riguarda la situazione dell’inclusione scolastica dei ciechi dopo il passaggio all’integrazione nelle scuole comuni dopo il Sessantotto. È un capitolo assai importante, poiché entra nel vivo dell’attuale dibattito culturale sul livello dell’inclusione scolastica.
L’autore Rapisarda evidenzia i pregi dell’uscita dalle scuole speciali, evidenzia pure le gravi carenze che attualmente danneggiano la qualità di tale inclusione dei ciechi.
Elenca con lucidità le cause fondamentali tra le quali l’insufficiente preparazione di moltissimi docenti di sostegno in campo tiflologico, la delega del progetto inclusivo ai soli docenti di sostegno da parte dei colleghi curricolari, la troppo frequente uscita dalla classe degli alunni ciechi per l’isolamento nell’” aula di sostegno”.
A livello giuridico queste tre “colpe capitali” dell’attuale inclusione scolastica degli alunni ciechi non dovrebbero avvenire. Infatti la Giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente stabilito che i docenti di sostegno debbono essere specializzati in modo tale da saper rispondere didatticamente agli alunni ciechi con la conoscenza della tiflologia e del Braille.
Si pensi alla Sentenza n. 245 del 2000, che ha riconosciuto il diritto di ricusare un docente, formalmente specializzato e nominato tramite le graduatorie, ma non in grado in concreto di rispondere ai bisogni educativi dell’alunno cieco; la sentenza ha fissato la “Massima” secondo la quale le graduatorie debbono consentire la scelta dei docenti più idonei e non possono costituire un intralcio a tale individuazione.
Si pensi alla Sentenza n. 5851 del 2018, di cui trascrivo due importanti massime:
1 – «Invero, il docente di sostegno deve possedere le conoscenze specifiche che consentano l’efficace ed ottimale espletamento della sua funzione, proprio con riferimento all’handicap di fronte al quale egli si trova ad operare».
2 – «Dovendosi costantemente relazionare con l’alunno, risulta evidente che egli deve avere conoscenza dei mezzi espressivi di cui questi si serve a cagione della sua disabilità, nonché delle tecniche che consentano, in modo ottimale, l’attività di insegnamento a tali particolari categorie».
Quanto alla deprecabile “delega ai soli docenti di sostegno”, essa è frutto dell’“ignoranza per legge” di tutti i docenti disciplinari delle scuole secondarie della pedagogia e della didattica, che non si studia all’Università; solo nel 2022 la Legge 79 ha introdotto un sesto anno abilitante per i laureati che intendano dedicarsi all’insegnamento della loro disciplina; però il preside Gianluca Rapisarda critica giustamente l’insignificante numero di 3 su 60 Crediti Formativi Universitari sulla pedagogia e la didattica.
Quanto all’“aula di sostegno” finalmente il Decreto Ministeriale n. 153/23 ha vietato le uscite in tali aule.
L’Autore entra pure nel dibattito attuale sulla formazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione ai ciechi, sostenendo giustamente che essi debbano avere una formazione di base da educatori. A tal proposito propone di utilizzare la cosiddetta “Legge Iori” e la più recente Legge 55/24 che hanno approvato la figura degli educatori. Su questo punto mi permetto però di osservare che tali leggi prevedono un curricolo ed un mansionario che, a parte gli aspetti educativi, poco giova all’inclusione dei ciechi; infatti i nostri assistenti debbono conoscere molto bene il Braille e saper aiutare gli alunni ciechi nell’uso delle nuove tecnologie informatiche, nonché nell’adattamento dei libri di testo trascritti in Braille. Nulla di tutto ciò prevede la “Legge Iori. La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) in sede di audizione al Senato per la discussione su una Proposta di Legge proprio sugli assistenti per l’autonomia e la comunicazione, ha proposto un’apposita laurea triennale in cui tutti questi aspetti debbono essere considerati.
Ma attualmente, oltre alla mancanza di formazione iniziale di tutti i docenti sulla pedagogia e didattiche speciali, denunciate dal dirigente scolastico Rapisarda, è gravissima la carenza formativa dei docenti di sostegno con la specializzazione polivalente, cioè valida per tutti gli alunni con disabilità, che ha sostituito le vecchie tre specializzazioni monovalenti, per ciechi, per sordi e per psicofisici.
Quando, nel 1986 fu introdotta la specializzazione polivalente, si pensò a questo problema; il Ministero emanò una norma con la quale si prevedeva che avrebbe dovuto essere completato il titolo con un “modulo integrativo”; ma tale normativa non ebbe mai seguito, con le conseguenze negative che abbiamo, stante anche la durata solo annuale degli attuali corsi di specializzazione polivalente, rispetto a quella biennale dei monovalenti.
Altra gravissima lacuna attuale è costituita dalla discontinuità didattica di molti docenti, specie quelli di sostegno. Per ovviare a ciò la FISH ha predisposto una Proposta di Legge che prevede l’istituzione di apposite “classi di concorso per il sostegno” composte dalla laurea quinquennale in cui siano già presenti aspetti di pedagogia e didattica, completati dal sesto anno abilitante con approfondimenti specifici sulle didattiche speciali.
Ovviamente questa proposta deve integrarsi con l’aumento del numero di Crediti Formativi per i docenti disciplinari.
Il preside Gianluca Rapisarda sostiene inoltre la proposta dell’istituzione della nuova figura del “tiflologo”, come esperto per accompagnare le persone con disabilità per garantire loro la qualità di tutto il progetto di vita ben oltre la scuola. Personalmente ritengo che già due persone (docente di sostegno ed assistente) siano forse troppe; non ne aggiungerei un’altra, anche perché l’articolo 6 del Decreto Legislativo 66/17 stabilisce che il PEI (Piano Educativo Individualizzato) è parte integrante del progetto di vita alla cui formulazione partecipa pure il docente di sostegno. Se ben formato potrebbe essere egli stesso il tiflologo.
Concordo invece pienamente con l’idea che gli ex istituti speciali si riconvertano seriamente per sostenere l’inclusione scolastica con la preparazione e l’assegnazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione ed altri servizi, come già avviene per taluni.
Concordo pure con la proposta che vengano rafforzati gli “sportelli” operanti presso i CTS (Centri Territoriali di Supporto per l’inclusione), per garantire agli alunni ciechi consulenze anche itineranti alle singole scuole.
In conclusione, un lettore superficiale leggendo il titolo del volume, Breve storia della Tiflologia, potrebbe ritenere il libro una favolistica nostalgia delle scuole speciali. Niente affatto di tutto ciò. Il volume racconta la situazione delle scuole speciali, analizzandone i limiti, evidenziando però come la normativa scolastica di allora fosse più attenta alla specificità dell’istruzione dei ciechi di quanto non lo sia quella attuale; infatti, pur avendosi un’abbondante normativa inclusiva, essa di fatto presenta ancora parecchie smagliature ed una scarsa attuazione concreta tale da non garantire l’indispensabile qualità inclusiva.
Il dibattito suscitato da questo volume ci si augura possa contribuire a migliorare la normativa sui contenuti e l’effettività operativa della normativa inclusiva.