La storia che voglio raccontare è capitata a me, docente con disabilità, ma ho deciso di renderla pubblica perché credo che trascenda la mia vicenda personale, andando a toccare il modo in cui l’istituzione affronta il tema dei diritti dei docenti con disabilità e i diritti dei docenti in generale.
Sono docente di ruolo di Storia e Filosofia. Mi hanno assegnato ad una scuola in un’altra Provincia che dista circa un’ora e venti di auto da casa mia (in treno è di più perché ho il cambio). Ho due figli sotto i 5 anni, ma soprattutto ho la Legge 104 e l’invalidità civile (75%) per una malattia autoimmune diagnosticata nel 2018. La mia è una malattia paraneoplastica che si chiama miastenia gravis e che mi impedisce di muovermi eccessivamente o di sopportare carichi di lavoro fisico eccessivi (tipo guidare due ore al giorno), altrimenti incorro in paralisi di alcuni muscoli volontari (particolarmente del viso).
Ho richiesto la mobilità, cioè il riavvicinamento verso dove abito con la mia famiglia, e non mi è stata concessa. Non mi è stata concessa “secondo normativa”. Perché la normativa prevede che, se c’è un posto solo dove hai chiesto la mobilità, un anno lo concedono per le mobilità e un anno lo accantonano per i neoimmessi in ruolo. Sfortuna mia, quest’anno andava al ruolo.
Trovo questo sistema lesivo dei diritti della persona con disabilità. Non è mia intenzione passare avanti a chi sarà neoimmesso in ruolo, sempre che questo posto accantonato venga effettivamente assegnato, né intendo alimentare un meccanismo di competizione tra colleghi docenti. Meccanismo che andrebbe a nascondere il nocciolo della questione e cioè che questa normativa è sbagliata perché non tiene conto dei diritti di nessuno e, pertanto, deve essere cambiata.
Non è forse evidente che questo sistema non tenga conto dei più elementari criteri di umanità nel considerare i diritti dei lavoratori? È possibile non considerare che il lavoratore con disabilità non ha né la qualità di vita, né l’aspettativa di vita di un lavoratore senza disabilità e che, pertanto, non può essere soggetto agli stessi pedissequi meccanismi? Non è al di fuori di ogni logica e senso dell’umano che non vi siano deroghe per casi di disabilità? Non è assurdo che i diritti del lavoratore con disabilità, e le sue conseguenti condizioni di vita, siano interamente affidate alla fortuna? E, andando ancora più a fondo nel problema, vi chiedo in generale che senso abbia mandare un docente a lavorare ad un’ora e venti lontano da casa? Questo neoimmesso, se andrà nel posto che speravo io, quanto sarà distante dalla sua casa, dalla sua vita, dalla sua famiglia? Non è evidente che un docente, al netto delle sue condizioni di salute, lavori tanto meglio quanto più è vicino alla sua casa? Non è disumano un sistema che assegna i posti a caso e non secondo il criterio del posto viciniori?