Progetto di Vita: anatomia di un Decreto

di Salvatore Nocera*
Il recente Decreto Legislativo 62/24, applicativo della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, è stato giudicato da più parti come una vera e propria riforma radicale sul concetto stesso di disabilità, in particolare per ciò che concerne il tema del Progetto di Vita. Ne presentiamo un’ampia disamina, curata da Salvatore Nocera, che ripercorre tutti i contenuti del Decreto, articolo dopo articolo, proponendo poi le proprie valutazioni sui punti forti e anche sulle criticità - specie a livello di concreta applicazione - del Decreto stesso

Giovane con disabilità che ride, seduto presso un tavolo di cucinaCom’è noto, è stato recentemente emanato il Decreto Legislativo 62/24 sul Progetto di Vita, che dà attuazione ai princìpi contenuti prevalentemente nell’articolo 2 della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità.
Il Decreto stesso stabilisce le fasi con cui si perviene al Progetto di Vita, suddividendole in quattro capitoli: Capo I (articoli 1-4), Finalità e definizioni generali; Capo II, articoli 5-17, Procedimento valutativo di base e accomodamento ragionevole; Capo III (articoli 18-32), Valutazione Multidimensionale e Progetto di Vita Individuale Personalizzato e Partecipato; Capo IV (articoli 33-40), Disposizioni finanziarie, transitorie e finali. Il Progetto di Vita Individuale Personalizzato e Partecipato è «diritto fondamentale delle persone con disabilità, e deve garantire la loro auto-determinazione e il rispetto dei loro desideri, delle loro aspettative e delle loro scelte» (articolo 18 comma 3).

Per assicurare chiarezza interpretativa di tutta la normativa concernente il Progetto di Vita, vengono formulate alcune definizioni tra le quali debbono essere evidenziate: «a) condizione di disabilità: una condizione fisica, mentale, intellettiva, del neuro-sviluppo o sensoriale che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri (definizione ripresa dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09); b) persona con disabilità: persona definita dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dal presente decreto; […] n) Progetto di vita: progetto individuale, personalizzato e partecipato della persona con disabilità che, partendo dai suoi desideri e dalle sue aspettative e preferenze, è diretto ad individuare, in una visione esistenziale unitaria, i sostegni, formali e informali, per consentire alla persona stessa di migliorare la qualità della propria vita, di sviluppare tutte le sue potenzialità, di poter scegliere i contesti di vita e partecipare in condizioni di pari opportunità rispetto agli altri; […]».
Anticipiamo quindi la definizione di “accomodamento ragionevole” prevista nell’articolo 17 del Decreto: «L’accomodamento ragionevole, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato (esso è divenuto l’articolo 5 bis della legge 104 del 1992). Il Decreto inoltre vieta in tutti gli atti pubblici «l’uso dei termini handicap, handicappato, disabile, diversamente abile», stabilendo che l’unico termine ufficiale da usare è «persona con disabilità» (articolo 4). E ancora, il Decreto sostituisce il termine di gravità di disabilità con «persona con necessità di sostegni», graduati, questi ultimi, nei livelli di lieve, media, elevata e molto elevata intensità (articolo 12).

Il procedimento che si conclude con la formulazione del Progetto di Vita ha le seguenti fasi.
La persona con disabilità o la sua famiglia o chi la rappresenta o la assiste legalmente presenta istanza all’INPS con l’invio in forma telematica di un certificato medico, con tutta la documentazione utile, rilasciato da tante strutture sanitarie o da un qualunque medico del sistema sanitario nazionale che indica la minorazione (articolo 8).
L’INPS fissa una data per la visita medico legale e, se tutta la documentazione è ritenuta sufficiente, rilascia, senza la necessità di chiamare a visita il richiedente, il certificato necessario per l’avvio dei lavori della valutazione multidimensionale; in caso contrario chiama a visita il richiedente, che può essere assistito anche da un medico di sua fiducia (articolo 6). La commissione per la valutazione di base è composta da cinque membri nominati dall’INPS, di cui uno deve essere un membro delle associazioni di rappresentanza delle persone con disabilità (articolo 9): a seconda della tipologia di minorazione comunicata, dell’ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili), UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), ENS (Ente nazionale sordi), ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo).
Per quanto riguarda le tempistiche, «il procedimento di valutazione di base si conclude entro novanta giorni, nei casi riguardanti soggetti con patologie oncologiche entro quindici giorni e, nei casi di soggetti minori, entro trenta giorni dalla ricezione del certificato medico» di cui sopra. Nel caso in cu vengano richiesti da parte della commissione «integrazione documentale o ulteriori approfondimenti diagnostici», i termini posso essere sospesi per sessanta giorni, prorogabili, su richiesta, di ulteriori sessanta giorni (articolo 6).
Ricevuto quindi il certificato della valutazione di base, la persona con disabilità, chi ne fa le veci o la assiste chiede la convocazione della commissione di valutazione multidimensionale per ottenere il profilo di funzionamento che è la base del Progetto di Vita (articolo 18). Fanno parte della commissione di valutazione multidimensionale (articolo 24): a) la persona con disabilità; b) il genitore o l’amministratore di sostegno; c) se richiesta, una persona che faciliti la comprensione delle scelte per l’interessato; d) un assistente sociale o educatore dei servizi sociali; e) un professionista dei servizi sanitari al fine di garantire l’integrazione socio-sanitaria; f) un docente nei casi di minori frequentanti la scuola; g) un rappresentante dei Servizi per l’Inserimento Lavorativo (SIL); h) un medico o pediatra di libera scelta.
Alla fine, la persona con disabilità o chi ne fa le veci avanza la richiesta del Progetto di Vita, al quale può rinunciare in ogni momento o del quale può chiedere modifiche durante l’arco della vita. Il responsabile del procedimento comunica la data di inizio e di conclusione del procedimento per la formulazione del Progetto di Vita (articolo 23).
L’istanza per l’avvio del procedimento è presentata all’Ambito Territoriale di residenza, se dotato di personalità giuridica o, in mancanza, al Comune di residenza o a uno dei Punti Unici di Accesso (PUA) stabiliti dalla Regione.
La persona con disabilità può farsi assistere da una persona «che faciliti l’espressione delle sue scelte e l’acquisizione della piena comprensione delle misure e dei sostegni attivabili con il progetto di vita»; questa persona può essere un familiare, il compagno o la compagna di un’unione civile, il caregiver, la persona stabilmente convivente, il convivente di fatto, l’educatore o amministratore di sostegno, un responsabile dei servizi sociali o un professionista sanitario (articolo 22).
La commissione formula il Progetto di Vita individuale, personalizzato e partecipato con i rappresentati dei soggetti pubblici e privati che debbono provvedere alla sua attuazione (articolo 25). In caso di rifiuto dell’Ente Locale ad accogliere le richieste del Progetto di Vita, si veda più oltre.
Per quanto concerne i contenuti, nel Progetto di vita devono esservi tutte le prestazioni e i servizi forniti per legge dagli Enti Pubblici (scuola, enti locali, servizi sociali degli stessi, servizi del Sistema Sanitario Nazionale); da soggetti privati; da Enti del Terzo Settore che debbono essere coinvolti nella partecipazione co-programmata e compartecipata, di scelta della persona con disabilità; esso può contenere anche la messa a disposizione di propri beni da parte del beneficiario, come pure forme di assistenza indiretta secondo le modalità concordate. Deve inoltre essere accessibile e quindi comprensibile alla persona con disabilità, utilizzando tutti i mezzi possibili di comunicazione e avvalendosi anche, come detto, della persona di supporto di cui all’articolo 22.
I servizi che lo compongono «possono essere conformati sulla base delle esigenze emerse dalla valutazione multidimensionale» e «assumere contenuto personalizzato rispetto all’offerta disponibile» (articolo 26). Un aspetto fondamentale è l’attuazione del diritto della persona ad avere «la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione” (Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, articolo 19). È fatto salvo, comunque, il «caso dell’impossibilità di assicurare, in termini di appropriatezza, l’intensità degli interventi o la qualità specialistica necessaria», e ciò anche nel caso in cui vi sia un cambiamento di domicilio (articolo 20).

Questi aspetti su tipologia e modalità di erogazione dei servizi sono il fulcro essenziale del Progetto di Vita e di tutta la normativa contenuta nel Decreto. Infatti, si vuole garantire alla persona con disabilità, già a partire dalla giovinezza, ma soprattutto dall’età adulta e ulteriormente quando non vi saranno più i genitori, una situazione di vita massimamente rispondente ai suoi desideri, al suo gusto, alle sue esigenze esistenziali. Ciò perché gli Enti Pubblici, e purtroppo anche le Cooperative convenzionate o che co-programmano e co-progettano, sono orientate a fornire prestazioni standard, mentre le persone con disabilità necessitano di prestazioni molto personalizzate. Per quelle poi che vivono il “Dopo di Noi”, è indispensabile che possano continuare a vivere dove lo hanno fatto sino al momento della scomparsa dei genitori, quindi, se possibile, nella casa di famiglia o in un appartamento autonomo nel quale era stata possibile la permanenza autonoma della persona, grazie alla co-programmazione da parte dei genitori, o anche in un co-housing assistito dalla programmazione degli Enti Locali competenti. Qualora ciò non fosse più possibile, a causa di necessità di sostegno intensivo, la prima soluzione deve essere quella di una comunità di tipo familiare, di solito non più di cinque persone, e solo in un caso estremo una casa famiglia o una comunità alloggio. È totalmente da escludere, in base alla presente normativa, la collocazione in RSA o RSD [Residenza Sanitaria Assistenziale e Residenza Sanitaria Disabili, N.d.R.] che sono di solito istituti e non sempre mini-istituti, ma talora con più di decine e – ahinoi – anche più di centinaia di ospiti.

Il Progetto di Vita è modificabile in ogni momento e può essere portato in altra località anche fuori dalla Regione di appartenenza, dove comunque i diritti dell’interessato vanno garantiti sulla base della locale normativa. Esso deve contenere il “budget di progetto” che consiste «nell’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali» (articolo 28).
Per la corretta attuazione del Progetto di Vita, deve essere nominato il «Referente per l’attuazione», con i seguenti compiti: a) curare la realizzazione del Progetto e dare impulso all’avvio dei servizi, degli interventi e delle prestazioni in esso previsti; b) assistere i responsabili e i referenti degli interventi, dei servizi e delle prestazioni, secondo quanto indicato nel Progetto di Vita, anche al fine di assicurare il coordinamento tra i singoli servizi o piani operativi; c) curare il monitoraggio in corso di attuazione del Progetto, raccogliendo, se del caso, le segnalazioni trasmesse da terzi; d) garantire il pieno coinvolgimento della persona con disabilità e del suo caregiver o di altri familiari nel monitoraggio e nelle successive verifiche; e) richiedere la convocazione dell’unità di valutazione multidimensionale al fine di rimodulare il progetto di vita (articolo 29).

Il Ministero per le Disabilità (definito nel Decreto come «Autorità politica delegata in materia di disabilità») cura annualmente la rilevazione dei bisogni e la co-programmazione degli interventi e delle risorse, sentita la Conferenza Stato-Regioni e di concerto con i Ministeri interessati. Esso coinvolge pure i soggetti del Terzo Settore e le Associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità. Sulla base di questo, le singole Regioni effettuano le proprie rispettive programmazioni e i singoli Ambiti Territoriali programmano interventi e servizi per rispondere all’attuazione dei singoli Progetti di Vita (articolo 30).
La Presidenza del Consiglio, di concerto con gli altri Ministeri interessati, istituisce un fondo nazionale per l’implementazione dei Progetti di Vita, ripartito annualmente fra le Regioni secondo le rispettive necessità (articolo 31).

Per un corretto funzionamento del sistema predisposto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, il Ministero per le Disabilità emana le linee guida per un piano nazionale di formazione di tutto il personale convolto nei diversi servizi, che debbono provvedere alla realizzazione dei progetti di vita. Per la realizzazione di esso è previsto un apposito fondo (articolo 32).
Durante tutto l’anno 2025 il governo realizzerà una sperimentazione a campione di quanto scritto sopra, tenendo conto sia delle differenze delle realtà regionali sia di quelle degli Ambiti Territoriali (articolo 33). A tal fine è stato emanato il Decreto Legge 71/24 che, tra l’altro, individua all’articolo 9 le seguenti Province in cui effettuare la sperimentazione: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste. Contemporaneamente stabilisce i criteri per l’individuazione degli esperti che dovranno formare tutto il personale degli Enti Locali e delle ASL e il referente per la disabilità delle scuole di tali Province.
Tra gli esperti possono esservi anche persone segnalate dalle Associazioni delle persone con disabilità e loro familiari. Questa attività formativa deve compiersi entro il 31 dicembre 2024, in modo che il personale formato sia operativo a partire dal 1° gennaio 2025, in cui inizierà l’anno di sperimentazione dell’attuazione e del monitoraggio dei Progetti di Vita; ciò al fine di estendere a partire dal 2026 la formazione e quindi l’attuazione dei progetti di vita su tutto il territorio nazionale.

L’articolo 34, per la realizzazione di quanto previsto negli articoli precedenti, stanzia a partire dal 2026 una somma annua di euro 273.370.110; per la copertura finanziaria di tutte le spese si provvederà «mediante corrispondente riduzione del Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità».
L’articolo 35 garantisce i diritti precedentemente acquisiti; sono da tenere nella massima evidenza anche le salvaguardie per tutte le persone con disabilità riconosciute ai sensi della Legge 104/92 sino a prima del 1° gennaio 2026, data di piena attuazione della nuova normativa. Questa norma è fondamentale perché rassicura le persone con disabilità certificate precedentemente alla data di entrata in vigore del Decreto, le quali non verranno sottoposte alle procedure da esso indicate e quindi continueranno ad avvalersi non solo delle certificazioni precedenti, ma anche della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico Funzionale e del PEI (Piano Educativo Individualizzato) formulato sulla loro base. Per altro verso, la norma evita lo spaventoso sovraccarico di lavoro che si avrebbe se le commissioni dovessero riformulare i certificati per la valutazione di base e i successivi adempimenti per tutte le attuali persone certificate con disabilità.
L’articolo 36 prevede «l’utilizzo del fascicolo sanitario elettronico per il riconoscimento di prestazioni assistenziali e previdenziali e del Sistema informativo unitario dei servizi sociali».

Per garantire la pienezza di attuazione dei diritti derivanti dalla sottoscrizione dei Progetti di Vita, la Presidenza del Consiglio procederà per le persone con disabilità all’individuazione delle prestazioni sociali (LEP) e sanitarie (LEA) e di quelle concernenti «i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», come all’articolo 117, comma 2, lettera m della Costituzione, sulla base delle procedure della cabina di regia prevista dalla Legge 197/22 (articolo 1, commi da 791 a 801 bis). A tal fine, il Dipartimento per le Politiche in favore delle Persone con Disabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvarrà «della Commissione tecnica per i fabbisogni standard di cui all’articolo 1, comma 29, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in raccordo con la segreteria tecnica di cui all’articolo 1, comma 799, della legge 29 dicembre 2022, n. 197» (articolo 37).
Quanto detto avviene nel rispetto delle autonomie delle Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome di Trento e Bolzano (articolo 38).

L’articolo 39, infine, reca le abrogazioni delle precedenti norme in contrasto col nuovo sistema, mentre l’articolo 40 riguarda l’entrata in vigore del decreto.
A questo punto proponiamo una serie di osservazioni sul Decreto e sui contenuti di esso.

Questa norma realizza un cambiamento radicale rispetto a quella precedente, sul concetto di disabilità e conseguentemente su tutti i procedimenti ad essa connessi. Tale cambiamento è stato definito, su queste stesse pagine, come «rivoluzione copernicana» da Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e da Maria Paola Monaco, docente di Diritto del Lavoro all’Università di Firenze. Il Decreto è stato considerato pure come «una pietra miliare» nel chiarissimo approfondimento effettuato all’interno del sito di HandyLex, il Centro Studi Giuridici della FISH, dall’avvocato Massimo Rolla, che ne è il responsabile coordinatore. Esso, infatti, sostituisce la vecchia concezione di disabilità di esclusiva natura sanitaria, contenuta nell’articolo 5 della Legge 104/92, che riguardava esclusivamente la minorazione della persona, con la quale quella legge la identificava sulla base della classificazione dei criteri fissati dall’ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). Il Consiglio di Stato ha definito quella situazione come il «dato ontologico della persona». La nuova concezione di disabilità, come definita all’articolo 2 del Decreto 62/24, è invece quella dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, che sostituisce al termine di “minorazione” quello di «compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali» della persona nel contesto ambientale nel quale la persona si trova a vivere con le barriere e le facilitazioni che ivi essa trova. Pertanto, il nuovo concetto sposta l’accento valutativo sociale dalla minorazione alla società nella quale la persona con disabilità si trova a vivere e alla quale partecipa. Che poi questo cambiamento culturale sia radicale, è provato dalla sostituzione che il decreto introduce all’articolo 3 della Legge 104/92, sia nella forma («Persona con disabilità avente diritto ai sostegni»), sia nei contenuti che introducono la definizione di persona con disabilità riportata sopra all’inizio della presente analisi.
La valutazione effettuata in base all’ICF è di natura “bio-psico-sociale”, e non più solo sanitaria come nella Legge 104/92. Inoltre, profondamente innovativo è il recepimento dell’articolo 2 della Convenzione ONU, concernente l’“accomodamento ragionevole” (articolo 17 del Decreto, di cui si è sopra trascritta la definizione): esso infatti è una novità nel nostro sistema normativo, ora inserita come articolo 5 bis della Legge 104/92, perché non si tratta più di un semplice accordo compromissorio, ma consiste in una nuova modalità di esecuzione delle prestazioni dovute, al fine di garantire l’effettiva realizzazione dei diritti della persona con disabilità.
Questo principio informa tutto il Decreto 62/24 e tutti gli istituti in esso previsti. Le modifiche alla Legge 104/92 , come pure quelle introdotte dal Decreto Legislativo 62/17, confermano quindi l’orientamento divenuto “consolidato” di ritenere definitivamente tale norma come la “Legge base” dell’inclusione, su cui tutto il sistema è fondato.

Un altro aspetto fondamentale è la costante presenza come soggetto attivo della persona con disabilità, sia nella fase di richiesta dell’accertamento per la valutazione di base, sia nella richiesta della valutazione multidimensionale, sia in quella del Progetto di Vita, così come in tutte le fasi dello svolgimento di esso, in cui può chiedere continuamente modifiche secondo le sue necessità esistenziali.

E ancora, un altro passaggio caratteristico, anch’esso veramente innovativo, è l’attenzione del Decreto alla ricerca massima della conoscenza e della comprensione delle manifestazioni e della volontà della persona con disabilità in qualunque fase della sua vita. Infatti, alla concezione “paternalistica” presente nella normativa previgente, e in particolare nella Legge 104/92, consolidata nel concetto di “assistenza giuridica” alle persone incapaci di agire, si sostituisce la visione della massima partecipazione possibile della persona con disabilità, quale soggetto attivo in tutti gli atti giuridici che la riguardano, se è vero anche che – oltre alla figura dell’amministratore di sostegno, nei casi previsti dalla legge – l’articolo 22 del Decreto introduce la “persona di supporto” allo svolgimento delle fasi del Progetto di vita. Si parla di «una persona che faciliti l’espressione delle sue scelte e l’acquisizione della piena comprensione delle misure e dei sostegni attivabili con il progetto di vita».
Quest’ultimo aspetto è stato mirabilmente evidenziato dall’avvocato Daniele Piccione, coordinatore del Gruppo di Lavoro che ha scritto il Decreto, nel proprio commento ai princìpi contenuti nella Legge Delega 227/21, dal titolo Costituzionalismo e disabilità. I diritti delle persone con disabilità tra Costituzione e Convenzione ONU (Zappichelli, 2023), di cui si consiglia la lettura a chi vuole approfondire gli aspetti tecnico-giuridici del Decreto, soprattutto in relazione al retroterra costituzionale su cui si fonda, che si esplicita nei copiosi riferimenti agli articoli della Carta Costituzionale e alle Sentenze della Corte Costituzionale che fanno da sfondo alla trattazione.

Ulteriore passaggio su cui soffermarsi: la nuova normativa tiene fermo l’INPS come soggetto che segue tutto il procedimento, a partire dalla richiesta introduttiva, sino al monitoraggio costante dell’attuazione del Progetto di Vita, seguendo con molta fedeltà la Legge 241/90 sullo svolgimento dei procedimenti amministrativi.
Tutto il Decreto, per altro, è finalizzato al Progetto di Vita, riempiendo il vuoto lasciato dallo scarno riferimento fatto ad esso con l’articolo 14 della Legge 328/00. E lo stesso Progetto di Vita è visto non solo come un procedimento amministrativo con le sue fasi e i suoi elementi essenziali, ma anche sotto il profilo esistenziale, che quindi arricchisce quello formale di carattere strettamente giuridico.
È da sottolineare, a tal proposito, l’importanza data alla fase della richiesta, a quella dello svolgimento e della conclusione, ma soprattutto è rilevante l’importanza data al Budget di progetto, che costituisce realmente  il fulcro della realizzazione della qualità di vita delle persone con disabilità, in quanto contiene analiticamente tutti i servizi e tutte le risorse materiali e umane che debbono essere programmate, rese operative e monitorate, secondo i desideri della persona con disabilità lungo tutto l’arco della sua vita.

Tutto quanto detto realizza l’eguaglianza sostanziale delle persone con disabilità, anche quelle con compromissioni intellettive e relazionali molto elevate, nella piena attuazione dell’articolo 3, comma 2 della Costituzione secondo il quale «è compito della società nelle sue articolazioni giuridiche e sociali garantire la piena partecipazione di ciascuno alla vita politica, economica e sociale».
E tuttavia il Decreto non accenna per nulla a un problema che purtroppo si presenterà frequentemente, e cioè il ritardo o la non condivisione da parte dell’Ente Locale di tutte le richieste delle persone con disabilità o addirittura il rifiuto o l’inerzia nel dare risposta alla richiesta di Progetto di Vita. In tal senso la giurisprudenza ha già fortunatamente dato delle risposte. Ad esempio, la Sentenza del Consiglio di Stato 3181/21  ha stabilito che, in caso di ritardo rispetto alla richiesta al Comune della formulazione del Progetto di Vita, la persona con disabilità ha diritto ad un risarcimento forfettario per ogni mese di ritardo del Comune stesso, a decorrere dalla presentazione della richiesta. Ha stabilito inoltre che, in caso di rifiuto ad avviare la procedura, l’interessato, previa diffida scritta, può rivolgersi al Tribunale per ottenere l’adempimento dell’obbligo di provvedere alla stipula del Progetto di Vita. In caso poi di ulteriore ritardo, l’interessato propone giudizio di ottemperanza della Sentenza non rispettata, facendo nominare un commissario ad acta (di solito il prefetto), che pone in essere le prestazioni dovute. E ancora, il Tribunale Civile di Marsala, con la Sentenza 366/19, ha esaminato il caso di inadempimento di un Progetto di Vita già stipulato e concluso, ma non rispettato dal Comune. La famiglia della persona con disabilità interessata, mentre aveva interposto ricorso giurisdizionale, data l’urgenza ha dovuto quindi provvedere a proprie spese ai servizi necessari. Il Tribunale ha condannato quindi il Comune alla rifusione delle spese e al risarcimento dei danni non patrimoniali dovuti per il disagio arrecato alla persona con disabilità con l’inadempimento del Comune.
Della stipula e dell’adempimento dei Progetti di Vita anche anteriori alla Legge 328/00 si sono occupate con molta professionalità e successo l’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), già a partire dalla Legge 162/98, e quindi anche l’ANFFAS e la Federazione lombarda LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), tutte organizzazioni aderenti alla FISH.

Esaminati dunque gli aspetti innovativi e positivi, non si può non accennare ai pericoli di difficile attuazione della complessa architettura normativa sapientemente costruita, a causa della realtà economica nella quale i Progetti di Vita dovranno essere realizzati a partire dal 2026. Infatti:
° Se si confronta la dotazione finanziaria complessiva indicata nell’articolo 34 di 273 milioni con il numero dei potenziali aventi diritto, costituito da oltre 3 milioni di persone con disabilità, ci si rende conto che sia pure gradualmente nel tempo non sarà facile per tutti avere presto il Progetto di Vita delineato da questa ottima normativa. E la situazione è resa ancor più complessa dal fatto che ripetutamente il Decreto stabilisce che tutti i Progetti di Vita che verranno realizzati dovranno esserlo «a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (articoli 8, comma 2; 9, commi 3 e 4; 21, comma 3; 24, comma 8; 29, comma 2; 30, comma 4; 34, comma 2; 37 comma 3).
° Attualmente il nostro Paese ha un debito pubblico spaventoso, che supera abbondantemente il nostro Prodotto Interno Lordo. Annualmente, sono alcune centinaia di miliardi che se ne vanno in spese solo per pagare gli interessi del debito stesso. Il deficit annuale, inoltre, tende a crescere, mentre la normativa europea ci impone di mantenerlo entro certi limiti. A tutto ciò, è da aggiungere il crescente improvviso forte aumento delle spese militari, che ovviamente riducono quelle riguardanti i servizi relativi alla vita sociale nei suoi vari aspetti, senza dimenticare che la normativa europea ci impone pure di ridurre il debito pubblico con quote annuali piuttosto elevate. Tutto ciò comporta, come verifichiamo quotidianamente, una forte riduzione nelle spese per la scuola, per la sanità e per i servizi sociali. In questa situazione, le disuguaglianze tra Nord e Sud del Paese difficilmente si riescono a ridurre e il Fondo per l’implementazione del Progetto di Vita (di cui all’articolo 31 del Decreto), che è un fondo perequativo soprattutto per la realizzazione dei progetti da compiersi nel Sud Italia, zona più povera rispetto alle altre, difficilmente riuscirà a colmare queste diseguaglianze.
° Dottrina e giurisprudenza dovranno pure occuparsi della qualificazione giuridica e degli effetti di essa, rispetto a due nuovi istituti introdotti dal decreto. Mi riferisco a colui o colei che supporta la persona con disabilità nella stipula di atti giuridici (articolo 22) e al referente per lo svolgimento del Progetto di Vita (articolo 29). Per quanto riguarda la persona di supporto, essa è diversa dall’amministratore di sostegno o dal curatore, dal momento che mentre questi integrano la volontà del soggetto, quella ne facilita la comunicazione e si adopera per interpretarne la volontà. È da ritenere che essa sia simile all’interprete gestuale o della Lingua dei Segni (LIS), previsto dall’articolo 56 della Legge Notarile 89/13, per la stipula di atti giuridici notarili da parte di persone sorde. Per quanto concerne invece il referente per l’attuazione del progetto, egli svolge i compiti elencati all’articolo 29 e di cui si è detto sopra. È certamente diverso dal “responsabile del procedimento” e sembra avere più compiti operativi che non incidono sul procedimento amministrativo di stipula, formulazione e monitoraggio del Progetto di Vita, ma solo ne facilitano operativamente l’attuazione. Certo, la sua attività ha effetti giuridici, qualora nello svolgimento dei propri compiti, compia irregolarità oppure omissioni.

La normativa contenuta nel Decreto 62/24 richiama ripetutamente e copiosamente altre norme che sono di contorno o di base per la piena attuazione di quanto contenuto nel Decreto stesso. È da ritenere che esse siano considerate anche tra le Linee Guida per l’attuazione del Progetto di Vita elaborate dal Ministero della Salute alla fine del 2022 e pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 7 gennaio 2023. Per un commento a queste ultime si può fare riferimento a un’ampia scheda pubblicata nel sito dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) (a questo link).

In conclusione, il Decreto 62/24 sembra animato da spirito di ottimismo circa la sua piena realizzabilità e rispetto alla massima espressione possibile della volontà delle persone con disabilità, anche di quelle che necessitano di sostegni intensivi. Ad esempio, non sarebbe condivisibile la volontà di un minore con disabilità che non voglia stabilmente frequentare la scuola, o di un adulto diabetico che voglia stabilmente mangiare dolci.
È ancora da considerare che sono state riscontrare contraddizioni tra le or ora citate Linee Guida del Ministero della Salute del 2022, relative alla formulazione del Certificato di Base e al Profilo di Funzionamento, e quelle relative alla formulazione dei nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati), allegate al Decreto Ministeriale 153/23.
Infine, rimane incomprensibile perché mai in tutto il Decreto non compaia mai il termine “Ministero per le Disabilità”, mentre in sua vece è scritto “Autorità politica delegata per la disabilità”. Dal momento che questo secondo termine non è mai presente e definito nelle sue funzioni in nessuna norma di legge precedente, che la istituisca in alternativa a quella del Ministero per le Disabilità, sorge il dubbio se ciò possa inficiare la validità degli atti che da esso saranno effettuati. E tuttavia, se le Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari sapranno stimolare assiduamente le Regioni e gli Enti Locali per la formazione degli operatori, per l’erogazione delle risorse e per l’organizzazione dei servizi personalizzati da realizzare, il Decreto potrà divenire uno strumento valido di autonomia delle persone con disabilità.
A tal fine sarà pure necessario che le Associazioni delle persone con disabilità e in particolare la FISH e le organizzazioni che ad essa aderiscono, promuovano un progetto di formazione dei propri quadri a livello nazionale e soprattutto locale, per far sì che possano stimolare, seguire, sollecitare e far correggere le complesse procedure previste dal Decreto.
A proposito del pieno rispetto dei «propri desideri, le proprie aspettative e le proprie scelte» della persona con disabilità, anche di quelle con necessità di supporti intensivi, possono insorgere conflitti con l’amministratore di sostegno, problema che occorrerà risolvere con il ricorso al prezioso istituto molto elastico dell’accomodamento ragionevole; ciò però non sarà sempre semplice da realizzare. La lettura del testo del Decreto, infatti, non è certo agevole per chi non è addetto ai lavori, a causa dei numerosi richiami a norme che a loro volta richiamano altre norme, e per via del linguaggio tecnico non sempre correttamente comprensibile ai non esperti. Si veda ad esempio il termine “ripetizione” che si riferisce alla richiesta di somme di denaro dovute, e non al significato comune di nuova azione conforme a quella precedente.
Per chi non sia abituato al gergo tecnico-giuridico, spesso criticato, ad esempio, dall’ex magistrato e scrittore Gianrico Carofiglio, si può leggere un agile commento al presente Decreto, formulato con scrittura facile da comprendere da parte della dottoressa Patrizia Danesi, nel già citato sito dell’AIPD (a questo link). E un ampio articolo molto interessante sul Progetto di Vita è stato pubblicato anche su queste stesse pagine di Superando, a firma del professor Orlando Quaglierini, intitolato La disabilità, gli atteggiamenti e le parole: alcuni dubbi e perplessità; in esso, dopo una rassegna storica sulla normativa inclusiva, sono espresse molte perplessità pienamente condivisibili sulla pratica attuabilità del complesso impianto normativo, a causa dei numerosi servizi che debbono essere precedentemente attivati, come la formazione di tutti gli operatori che intervengono, nonché del sempre più ridotto numero di esperti sanitari e dell’impossibilità di rispettare le date indicate nel Decreto. Molto chiara, infine, è pure l’esposizione dei contenuti del Decreto sul sito dell’Agenzia Iura (La riforma per la disabilità: contenuti e analisi), in cui vengono pure riportate osservazioni critiche a molti articoli del Decreto stesso, tra cui quella sostanziale che il diritto al Progetto di Vita, così come particolarmente dettagliato, non può essere un diritto pieno, ma un “diritto condizionato”, a causa dei vincoli di bilancio espressamente previsti in tutto l’articolato.

Il presente approfondimento costituisce il riadattamento di una scheda apparsa nel sito dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

Share the Post: