Oltre il bersaglio

di Marina Capria
«Ogni arciere - racconta Marina Capria - era unico e sul campo qualunque disabilità si annullava, lasciando il posto alla voglia di stare insieme e, perché no, di vincere qualche medaglia. Per me, il tiro con l’arco è stato fondamentale. Sono cresciuta, diventando sempre più matura e consapevole delle mie possibilità e della mia forza. Mi ha insegnato a non mollare mai e a credere in me stessa, comprendendo l’importanza del far parte di una squadra dove ci si supporta l’un l’altro e dove, ancora una volta, i limiti e le barriere sono soltanto nella nostra mente»

Bersaglio di tiro con l'arcoNon ho mai accettato la mia disabilità: mi sono sempre sentita “diversa”, come se, avendo poco residuo visivo, in me mancasse qualcosa. O almeno questo è ciò che pensavo fino al 2018 all’età di 17 anni.
Tutto ebbe inizio circa dieci anni fa, nel 2014, quando, per gioco, dissi ai miei genitori che volevo iniziare un nuovo sport, spinta dalla passione per la meravigliosa saga di Hunger Games in voga quegli anni: proprio così iniziò la mia carriera e il mio amore per il tiro con l’arco, non sapendo però che, di lì a poco, qualcosa sarebbe cambiato…

I primi giorni del corso base li ricordo come fosse ieri, soprattutto un episodio in particolare: mirare e tirare a dei tappi colorati di bottiglia posti sul paglione. Può sembrare un esercizio semplice, data la corta distanza, ma vi assicuro che per una persona con disabilità visiva, non lo è affatto. Per me, il problema principale di questo compito era vedere quei piccoli tappi colorati. Non potevo arrendermi, così ho iniziato a tirare qua e là, dove capitava, senza sapere assolutamente cosa stessi facendo. Più il tempo passava, più la mia passione cresceva, ma sentivo che c’era sempre qualcosa che non andava.
Un bel giorno, insieme alla mia allenatrice, decidemmo di informarci e di scoprire se esistesse una categoria per persone con disabilità visiva. Così, dopo le dovute visite e accertamenti, entrai nei Visual Impaired 2/3. Ero felice di sapere che c’erano persone come me che avevano il desiderio di essere uguali a tutti gli altri e di far parte di un qualcosa.
Piano piano, arrivarono le prime soddisfazioni a livello agonistico e nel 2018 decisi di partecipare ai miei primi Campionati Italiani nella bellissima Palermo.

Le emozioni che ho provato in quei giorni furono tantissime: ritrovarmi catapultata in un ambiente così diverso mi spaventava e affascinava allo stesso tempo. Ogni arciere era unico e sul campo qualunque disabilità si annullava, lasciando il posto alla voglia di stare insieme e, perché no, di vincere qualche medaglia.
Durante una cena nell’hotel nel quale soggiornavamo tutti noi atleti, mi ritrovai al tavolo con i miei compagni. Ridevamo e scherzavamo, fino a quando non notai un particolare: un ragazzo, come me ipovedente, giocare con il suo telefono. Questo gesto così semplice e ormai abituale mi colpì… perché? Perché anche lui, come me, teneva il dispositivo molto vicino al viso per poter vedere. In quel momento mi resi conto che in fondo non ero diversa, nessuno di noi presenti lo era. Non esisteva alcuna barriera o diversità. Avevo finalmente accettato la mia disabilità.

Sebbene ci siano stati momenti difficili, per me, il tiro con l’arco è stato fondamentale. Sono cresciuta, diventando sempre più matura e consapevole delle mie possibilità e della mia forza. Mi ha insegnato a non mollare mai e a credere in me stessa. Questo lungo e difficile percorso è stato indispensabile perché mi ha fatto comprendere l’importanza del far parte di una squadra dove ci si supporta l’un l’altro e dove, ancora una volta, i limiti e le barriere sono soltanto nella nostra mente.

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