«Il dibattito sui quattro referendum riguardanti il lavoro – scrive Salvatore Nocera – rischia di oscurare il quinto referendum sulla cittadinanza che non è meno importante degli altri. In questa epoca di odio e di guerre fratricide, infatti, una risposta positiva con un “Sì” a tale referendum sarebbe solo una piccola cosa, ma significativa, che un popolo accogliente, come è sempre stato il nostro, dovrebbe dare»
Il dibattito sui quattro referendum riguardanti il lavoro rischia di oscurare il quinto referendum sulla cittadinanza che non è meno importante degli altri. Dico questo perché mi occupo da molto tempo di inclusione scolastica e sempre più frequentemente i colleghi docenti mi riferiscono di avere in classe alunni/alunne stranieri con e senza disabilità che parlano benissimo l’italiano e hanno acquisito una buona educazione civica, ma non hanno la cittadinanza italiana a causa di una legge che prevede un percorso farraginoso e molto lungo per pervenire all’acquisizione di essa.
Il referendum si limita solo a ridurre a 5 anni il periodo temporale pari all’attuale previsione normativa di 10 anni, non per ottenere la cittadinanza, si badi bene, ma solo per inoltrare l’istanza si avvio del procedimento che prevede l’accertamento di numerose difficili condizioni prima di potersi concludere con il riconoscimento dell’agognata cittadinanza stessa. Già, perché attualmente i dieci anni non decorrono dall’arrivo in Italia, ma dal conseguimento di un permesso di soggiorno regolare, per ottenere il quale occorre verificare l’acquisizione di altri requisiti; occorre inoltre dimostrare di avere un reddito minimo sufficiente per non gravare sulle finanze di assistenza dello Stato e degli Enti Locali. Ebbene, il Referendum dell’8 e 9 giugno non tocca minimamente tutti questi complessi percorsi accertativi; ripeto, si limita a ridurre a 5 gli anni dal regolare soggiorno, per poter presentare l’istanza di ottenimento della cittadinanza.
Personalmente sono favorevole a questo referendum per i motivi fin qui esposti; anzi, da sempre, in quanto ex docente, sono convinto che la condizione più corretta sarebbe quella del cosiddetto Jus Scholae, cioè avere frequentato almeno cinque anni della scuola italiana, compresa l’educazione civica, condizione che veramente è il presupposto per l’ingresso di una persona straniera nella nostra comunità nazionale, con i requisiti accertati per il rispetto della Costituzione e dei doveri, oltre che dei diritti, da essa derivanti per ogni cittadino e cittadina.
Meritoriamente il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha introdotto nel Decreto Legge 71/24 (convertito con modificazioni nella Legge 106/24) un articolo che prevede lo svolgimento di corsi di lingua italiana per gli studenti stranieri. L’acquisizione della nostra lingua, infatti, è un’altra condizione assai importante per una piena cittadinanza e ben lo sa la Caritas Italiana che già da tempo organizza corsi del genere.
Per gli stranieri adulti, è possibile la frequenza dei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti, solitamente frequentati da persone adulte lavoratrici che possono seguirli solitamente di sera; non sarebbe – come non è – difficile la frequenza di tali corsi da parte di adulti stranieri, anche con lo svolgimento dei corsi di lingua italiana.
Invero, tempo addietro, anche il partito Forza Italia aveva avanzato questa proposta; ma poi non se n’è più parlato. E tuttavia la prospettiva dell’introduzione in Italia dello Jus Scholae appare per il momento politicamente assai improponibile; pertanto, per alleviare i problemi esistenziali delle persone migranti che ottengono il permesso di regolare soggiorno, il referendum è un piccolo, ma significativo sollievo.
Proprio per questo ritengo che l’invito a non votare sia una scelta ovviamente strategica per non fare raggiungere il quorum e quindi non fare approvare la richiesta referendaria dei 5 anni. Ma il risultato positivo di questo referendum, come detto, sarebbe una così piccola cosa, che appare incredibile possa essere rifiutata da un popolo in continuo, pericoloso calo demografico, che sta già procurando (e si prevede che ne produrrà ancora di più nei prossimi anni) vuoti in tutti i posti di lavoro, a partire da quelli della scuola.
Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, nella sua relazione del 30 maggio scorso, stimava che nel 2050 il numero di lavoratori mancanti, a causa del calo delle nascite, sarà di 5 milioni.
Personalmente ho molto apprezzato l’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti, per la sua apertura alla fratellanza universale e all’accoglienza da contrapporre alla violenza fisica e verbale che sta dominando il mondo.
Negli ultimi anni di interventi per evitare le migrazioni in Italia con le cosiddette “carrette della morte” ve ne sono stati. La Comunità di Sant’Egidio, ad esempio, ha realizzato alcuni “corridoi umanitari”, insieme alla Chiesa Valdese, che programmano l’ingresso regolare e un’accoglienza “civile” di persone migranti nel nostro Paese. E anche Superando, pochi giorni fa, ha pubblicato la notizia dell’accoglienza organizzata da parte delle Misericordie dell’Area Fiorentina per 19 profughi da Gaza; ora si sta realizzando l’accoglienza dell’unico dei dieci figli di una pediatra di Gaza, ferito a seguito della morte del padre e degli altri nove fratellini, a causa di un bombardamento del Governo israeliano, ulteriore risposta “eccessiva e crudele” all’inumano massacro operato da Hamas il 7 ottobre 2023. E che anche il massacro da parte del Governo israeliano sia inaccettabile lo hanno detto il nostro Ministro degli Esteri Tajani, il Forum del Terzo Settore, come riferito anche su queste pagine, e, non certo ultimo, il presidente della Repubblica Mattarella, che il 1° giugno ha espresso parole giustamente durissime sulla violazione dei diritti umani a Gaza.
A Roma, i Gesuiti di Via degli Astalli da tempo svolgono una meritoria attività di accoglienza di “rifugiati”, non solo politici, in base al diritto internazionale, ma anche di rifugiati per motivi economici, in base alla legge universale della fratellanza umana.
Per concludere, in questa epoca di odio e di guerre fratricide, una risposta positiva con un “Sì” al referendum sulla cittadinanza mi sembra il minimo che un popolo accogliente, come è sempre stato il nostro, dovrebbe dare, anche perché dovrebbe essere memore di avere avuto in passato centinaia di migliaia dei propri membri costretti ad emigrare. Ed a questa memoria rinvia anche la Bibbia nel testo del Levitico (capo 19, versetto 34).
*Già presidente nazionale del MAC (Movimento Apostolico Ciechi).
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