Ancora una volta, dunque, si torna a parlare dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza), alle cui recenti vicende Superando.it ha dedicato nei giorni scorsi un ampio servizio.
Infatti, l’arresto di due persone che hanno ricoperto fino a poco tempo fa cariche di responsabilità nella struttura e la lunga lista di indagati sono aspetti inquietanti che potrebbero provocare una svolta importante nella vicenda dell’Istituto stesso.
Da molti anni alcune associazioni calabresi di advocacy [tutela legale, N.d.R.] di persone con disabilità e loro familiari denunciano le discriminazioni e le violazioni di diritti umani, nonché lo squallore in cui vivevano le persone con grave disabilità non in grado di autotutelarsi, ricoverate nell’Istituto di Serra d’Aiello.
Quest’ultimo ha conosciuto brevemente anche un periodo di volontà di cambiamento importante, quando venne commissariato e in quell’occasione le associazioni di cui sopra offrirono il proprio sostegno in vista di una scommessa che faceva ben sperare. Ma poi, con la fine del commissariamento, si sono bloccate le innovazioni in atto, riportando la struttura nella situazione di degrado ormai nota.
Qualora si avvalorasse la tesi degli inquirenti posta alla base degli arresti, questa non sarebbe una vittoria, ma la prova di una triste realtà che purtroppo non risarcisce le persone che hanno vissuto al Papa Giovanni XXIII.
Non ci sono risarcimenti economici che tengano: qui si tratta di aver distrutto le capacità reali e potenziali delle persone, capacità quasi certamente irrecuperabili. Ed è anche la conferma di quanto siano pericolose le “gestioni chiuse” dei servizi, di quanto sia pericoloso delegare la vita delle persone senza l’attivazione di controlli efficaci ed efficienti, di quanto sia fragile la tutela delle persone non in grado di autotutelarsi.
Stranamente in questa vicenda nessuno può dire: «Io non sapevo!». Certo, molte cose non si sapevano, ma le associazioni calabresi di advocacy e di persone con disabilità e loro familiari hanno sempre denunciato le condizioni inumane in cui vivevano le persone ricoverate, non è mai stato un segreto. Di conseguenza, le notizie che in questi giorni arrivano martellanti colpiscono pesantemente le coscienze di tanti calabresi che credono nell'”uomo” come valore inestimabile, al quale vanno riconosciuti e garantiti i diritti fondamentali della vita e che credono anche nella responsabilità della politica sul malfunzionamento del sistema sociosanitario calabrese.
La giustizia sta facendo il suo corso, ma ora è necessario che le Istituzioni intervengano a favore delle persone con disabilità ancora segregate: è a loro che va il nostro pensiero. Non sarà resa loro giustizia se avranno solo un ricovero migliore: hanno diritto ad una vita migliore.
Cosa verrà fuori da questo istituto chiuso? Sono diverse e poco chiare le ipotesi sussurrate. Per quanto tempo dovranno aspettare una risposta coloro i quali sono ricoverati là dentro? Chi è “dentro” è stato espropriato della parola, ma quando capirà la Regione Calabria l’importanza civile e politica di confrontarsi con le associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari, con i gruppi di advocacy?
Noi persone con disabilità non vogliamo “ghetti”, ma luoghi di vita e chiediamo alla Regione Calabria di fare scelte politiche che pongano al centro la persona, di applicare le leggi vigenti e di dotare la nostra regione di servizi territoriali aperti, che favoriscano il mantenimento delle persone con disabilità nei propri territori, tramite servizi domiciliari, diurni e residenziali a dimensione umana.
Il 17 luglio 2007, quindi, non abbiamo fatto una scoperta eccezionale, la situazione del Papa Giovanni XXIII la conoscevamo già, ma mentre la responsabilità della gestione passata ha nomi e cognomi, il presente e il futuro rimangono un enigma e questo deve preoccuparci ancora. La lotta per la partecipazione, da cittadini bisognosi di servizi, continua.
*Presidente della FISH Calabria (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Testo sottoscritto da quest’ultima organizzazione e anche dal Coordinamento Regionale Alogon della Calabria, dal CNCA Calabria (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza) e da DPI Italia (Disabled Peoples’ International).
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