Appoggiato con i gomiti sulla pietra umida, sono con la testa tra le mani, quassù sulla collina di Marburg, dove la storia del castello ricorda la continuità della gente operosa. E sotto, nello strapiombo, avvolta dalle nuvole basse, la vita ordinata e socialmente coesa del popolo germanico mi giunge coi suoi echi di forza.
Dentro di me non riesco a conciliare gli stimoli del giorno prima alla Fiera di Düsseldorf [REHA, N.d.R.] con la nostra realtà italiana; non trovo il bandolo della matassa per spiegarmi che vivo nella stessa Europa.
Una moltitudine di persone zoppe, in carrozzina, in lettiga elettrica si muoveva curiosa tra gli stand, accalcandosi davanti alla presentazione di questo o quel prodotto, per provarlo, per scoprire se si può stare meglio, essere più autonomi, godere di più la vita: bracci meccanici, sollevatori, robot, sistemi sofisticati di comunicazione, ogni innovazione per l’igiene personale, per la guida dell’automobile, per lo sport e il divertimento. Come dire, senza vergogna, che si può essere “consumatori di queste cose”, come altre persone consumano altro.
E non riesco proprio a conciliare questa moltitudine viva, esigente, con le tante persone disabili italiane che non vedo per le strade, non incontro sui mezzi pubblici, non trovo al teatro o al ristorante, non sono in nessun modo visibili, se non quando vado a visitare strutture come la “Casa Gialla”, la “Magnolia”, il “Santa Chiara”, il “Villaggio di Sant’Antonio”, “La Nostra Famiglia” e molte altre che potrei elencare.
Noi italiani – che ci siamo inventati l’integrazione scolastica, che ci diamo vanto delle leggi per le persone disabili – abbiamo probabilmente, e non so quanto consapevolmente, fatto scempio delle possibilità di queste persone di essere protagoniste.
Mi alzo, perché l’umidità mi sta entrando nelle ossa; non trovo una soluzione per riuscire a immaginare la possibilità che piccole macchine elettriche scorrazzino per le nostre strade, come segno tangibile della libertà di muoversi di tanta gente, perché le nostre vie hanno un traffico caotico, le piste ciclabili non ci sono, i marciapiedi hanno barriere permanenti o sono incivilmente occupati dalle automobili. E così la libertà delle persone disabili può essere solo vigilata o limitata.
Non riesco proprio a capire come ciascuna persona che non parla, non possa dotarsi di un comunicatore per far sentire la propria voce, superando il frastuono delle tante, troppe voci che vogliono parlare al posto suo.
Provo disgusto nel leggere sulla stampa che il Governo dei professori bocconiani, esperti di economia, di strategie sociali, gli “stregoni dello sviluppo”, abbia pensato di fare un po’ di cassa assoggettando al reddito l’indennità di accompagnamento, cosicché ancor più famiglie terrebbero la persona disabile in casa, anziché lottare perché trovasse un lavoro, si relazionasse con l’esterno e diventasse protagonista della propria vita.
La persona disabile che non vive le potenzialità della sua esistenza, oltre a soffrire per la sorte che le è capitata, si sentirà molto probabilmente “un peso per gli altri”, anziché essere essa stessa – come in Germania o negli altri Paesi più civili – motore dello sviluppo, anche in quanto consumatore.
Scendo rapido la scalinata verso il centro medioevale di Marburg, dove, accanto all’Università, ai bei negozi, ai ristorantini e alla Chiesa di Sant’Elisabetta, c’è l’Istituto dei Ciechi che tanta vitalità, operosità e visibilità sociale ha dato alle persone che vi hanno trovato educazione e formazione. Da noi, invece, abbiamo giustificato negli anni stuoli di educatori, insegnanti di sostegno, operatori sociali, psicologi, “neuro qua, neuro là”, politici delle pari opportunità, volontari a libro paga, rappresentanti delle diversità che si sono appropriati delle nostre disgrazie, cucendoci addosso il “vestito delle diverse abilità”, per “magnare, magnare e magnare” – come si dice in Veneto – stando ben vigili sul fatto che noi disabili ci potessimo ribellare e riscattare.
Cari bocconiani, ci vorrebbero più libero mercato e meno false protezioni, meno ipocrisia nell’affrontare le cose della vita e – per quanto riguarda l’indennità di accompagnamento assoggettata al reddito – andrebbe toccata quella delle persone che non sono più in età lavorativa, perché lì sì davvero si tratta solo di erogare assistenza e l’indennità diventa spesso una rendita, oggetto di litigi intergenerazionali. Semmai si potrebbe aumentare quella delle persone in età lavorativa e permettere alle stesse di detrarsi integralmente i maggiori costi derivanti dalla disabilità, per esercitare semplicemente il diritto di essere un po’ più uguali agli altri.
Io – cieco che non posso guidare la macchina – mi devo fare accompagnare da qualcuno che pago. E questo non perché sono snob e voglio girare con l’autista, ma semplicemente perché altrimenti sarei schiavo della mia cecità e impedito ad avere relazioni sociali o a lavorare.
Altri sono gli spazi dove risparmiare: tagliare di brutto le pensioni oltre i 4.000 euro (e sono più di 500.000); impedire che tutti quelli che sono andati in pensione anticipatamente abbiano altri incarichi pubblici a pagamento; ridurre gli stipendi dei medici di famiglia e di tutti i dirigenti del pubblico impiego. Solo a porre un tetto di 4.000 euro al mese, si recupererebbero molti miliardi e non si capisce davvero perché in uno Stato che non ha soldi ci sia tanta gente che incassa più di 4.000 euro al mese!
E mi fermo qui, perché so che non posso stare ancora in Germania, dove l’operaio e l’impiegato hanno lo stipendio più alto che in Italia, mentre i dirigenti e i funzionari pubblici ce l’hanno molto più basso. E dire che non è certo un “Paese comunista” ed è comunque, economicamente, il più coeso d’Europa.
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