L’Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale (OVCI) è una struttura non governativa che si occupa di cooperazione internazionale. Nata da una costola dell’ente ecclesiastico La Nostra Famiglia – tanto che il suo nome per intero è “OVCI La Nostra Famiglia” – essa ha però una struttura indipendente.
Con più di vent’anni di esperienza nei Paesi del Sud del mondo, dove opera con 250 volontari, l’OVCI segue progetti che favoriscono «la formazione e l’autonomia dei cittadini dei Paesi in via di sviluppo, con particolare orientamento ad interventi in favore di persone con disabilità».
È in questo quadro che si inserisce il progetto di Prevenzione dell’abbandono del bambino disabile, coordinato in Marocco dalla psicologa Stefania Lauri.
«Si tratta del secondo progetto che l’OVCI conduce in Marocco», ci spiega la stessa Lauri. «Il primo riguardava la riorganizzazione e la formazione del personale all’interno di un grande orfanotrofio della capitale, Rabat. All’interno della struttura abbiamo trovato un gruppo di adulti con disabilità cresciuti senza supporti di riabilitazione adeguati. L’impatto con questa realtà ha fatto scaturire in noi la volontà di intervenire con un progetto di prevenzione».
È così, dunque, che è nato il secondo progetto?
«Esatto. Abbiamo puntato sulla riabilitazione e su un intervento specifico per modificare la percezione sociale della disabilità. A questo proposito va ricordato che in orfanotrofio i bambini con disabilità vengono abbandonati perché i genitori non hanno le forze, prima di tutto economiche, per occuparsene, ma anche perché il loro arrivo è percepito come una sorta di “punizione divina”. Le famiglie che decidono di tenerli con sé, poi, tendono a non farli mai uscire di casa.
E tuttavia bisogna anche dire che la situazione attuale è di grande fermento. Il nuovo re del Marocco, Mohammed VI, più sensibile del precedente, ha da poco fatto costruire un grande centro per le persone con disabilità, che non è ancora stato aperto. Certo, non se ne sa ancora niente, ma in questo Paese i tempi sono lunghi e le informazioni spesso filtrate».
Come siete intervenuti e cosa avete potuto offrire?
«Abbiamo attivato un corso di formazione in loco, per mettere insieme un gruppo di specialisti nella riabilitazione. Successivamente abbiamo pubblicizzato il nuovo servizio negli ospedali, senza sapere cosa aspettarci. Abbiamo quindi offerto diagnosi, fase intensiva di riabilitazione dai tre ai sei mesi, fisioterapia a domicilio, istruzione dei genitori alla presa in carico globale e monitoraggio».
E com’è andata?
«È stata una sorpresa. Dopo un anno avevamo raccolto 150 domande e oggi, che sono trascorsi tre anni e il progetto è stato chiuso, possiamo parlare di 320 bambini iscritti. In un certo senso sembrava quasi che le famiglie non aspettassero altro, dal momento che in così poco tempo non ci aspettavamo un riscontro tanto entusiasta. Soprattutto con le madri abbiamo lavorato molto, inserendo nel percorso momenti educativi specifici per la presa in carico globale. Inoltre, abbiamo organizzato feste e gite al mare che per la maggior parte dei bambini sono state le prime “uscite” da casa».
I bambini con disabilità che avete conosciuto appartengono ad ogni classe sociale?
«No, il servizio, che è gratuito, si rivolge solo a bambini fino ai quattordici anni, di estrazione poverissima e per i quali non sia in atto alcun altro intervento riabilitativo. Oltre al centro principale nell’orfanotrofio di Rabat, specializzato nella prima visita, abbiamo aperto altri tre centri di riabilitazione in zone povere della periferia».
Parla al presente: il progetto dunque è ancora in corso…
«È terminato, ma di fatto continua ancora grazie a nuovi finanziamenti. Un benefattore marocchino ha offerto il personale medico per due anni e altri proventi arrivano tramite le adozioni a distanza curate dall’AIBI (Associazione Amici dei Bambini). Inoltre, continuano ad esserci tracce della nostra presenza anche grazie ad un’associazione di genitori di cui abbiamo aiutato la fondazione».
Ce ne può parlare?
«Si chiama Casa Lahnina [su questa Associazione, si veda anche, sempre nel nostro sito, il testo Insieme davanti al mondo, N.d.R.] che è un nome scelto dagli stessi genitori. Nella lingua marocchina Lahnina significa “tenerezza”. “Casa”, invece, è una parola italiana che hanno voluto usare per manifestare riconoscenza nei nostri confronti.
Abbiamo dedicato tante energie alla relazione con loro e alla fine abbiamo aiutato i più coinvolti a fondare l’associazione. Vorremmo creare una collaborazione tra mamme di bimbi con disabilità grave – per i quali l’inserimento scolastico è impossibile – in modo che alcune possano lavorare, mentre altre si occupano dei figli. Con questo scopo le abbiamo introdotte ad un corso di formazione».
Dunque in Marocco parlare oggi di integrazione scolastica è ancora un’utopia?
«Il nuovo re ha promulgato una legge che la prevede, solo che non è attuata, un po’ perché le famiglie non portano i figli a scuola e un po’ perché le scuole stesse non si sentono pronte ad accoglierli. Abbiamo quindi contattato proprio le scuole e lavorato con loro, arrivando ad ottenere che dei ragazzi con disabilità lieve siano ora integrati nelle classi “normali”. Invece, la disabilità di media gravità, che pur lascia spazio a qualche forma di apprendimento, è stata accolta solo in classi “speciali”».
Cosa ci può dire a proposito delle altre associazioni locali sulla disabilità?
«Il partner locale del nostro progetto è la Lega Marocchina per la Protezione dell’Infanzia, presieduta dalla principessa, sorella del re. Si tratta di un’associazione di benefattrici, ricche signore che si occupano di questioni sociali. Ecco, direi che l’approccio, in Marocco, è di tipo assistenzialistico, legato alla generosità privata».
Il ruolo del settore pubblico, invece, qual è?
«La principessa, che ha fondato la Lega, ne ha voluto come rappresentante una donna che è anche il ministro della Cooperazione e degli Esteri. Ma non esiste uno Stato Sociale né vi è alcuna assistenza sanitaria pubblica».
*Testo tratto dal numero 162 (giugno 2007) di «DM», periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e qui riprodotto, per gentile concessione di tale testata.
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