Una delle più belle foto di Antonio Moretto, nato a Treviso, classe ’66, è quella che pubblichiamo qui a fianco, dove ha il figlioletto di cinque anni in braccio. Fidanzato dall’87 e sposato dal ’94, «mia moglie e mio figlio – dice subito – sono delle gioie incredibili, mi pento di non avere avuto il bambino prima». Poi gli chiedo di raccontarmi un po’ della sua vita. «Non ero molto bravo a scuola, ho studiato perché obbligato, fino al giorno della partenza per il servizio militare nell’Arma dell’Aeronautica. Era il 1989. Al mio ritorno ho trovato un’occupazione presso un grosso concessionario di Treviso, fino al “fattaccio” nel 2000. Sono appassionato di informatica e di tennis, ma la passione più grande è stata quella per la moto, con la quale ho avuto l’incidente».
Te la senti di raccontarci com’è andata?
«Era un sabato pomeriggio e con altri amici che condividevano la mia passione, stavamo correndo assieme, quando in una curva, per l’eccessiva velocità, fui sbalzato dalla moto, dopo avere frenato fortissimo. La caduta non la ricordo, mi sono svegliato disteso a terra con la schiena e le gambe in fiamme dai bruciori. Nel giro di poco tempo è sopraggiunto l’elicottero. Sono stato sedato e ho ripreso i sensi l’indomani, solo dopo l’operazione, durata undici ore, per stabilizzare la colonna vertebrale che nell’incidente si era spezzata. Sono stato due settimane in Terapia Intensiva, penso i giorni peggiori della mia vita. Dopo un mese all’Ospedale di Treviso, fui trasferito per altri tre mesi presso il Reparto di Riabilitazione di Vicenza. In quell’orribile periodo mi sono sentito proprio un “disabile”».
Come hai ricominciato dopo?
«Non so se interpreto bene questa domanda. Come ho ricominciato dopo l’ospedale? Non vedevo l’ora di tornare a casa. Non ce la facevo più a stare in quel posto. Appena rientrato, lentamente, ho cominciato la mia nuova vita. Sono stato fortunato perché non ho trovato difficoltà nell’affrontare la mia disabilità, forse perché la mia lesione non è così grave come molte altre e credo che l’età (avevo 33 anni quando ho avuto l’incidente) e la maturità acquisita mi abbiano aiutato ad andare avanti. Ho sempre avuto giornate piene, tra riabilitazione e sport e così il tempo è passato velocemente».
Soprattutto la famiglia e il figlioletto hanno aiutato Antonio a vivere un’esistenza normale. Con essa si realizza pienamente e trova anche lo spazio per dare sfogo all’altra passione della sua vita: lo sport! «Con lo sport – racconta – mi diverto tantissimo. Ho avuto modo di conoscere tantissima gente e ho visitato tanti posti. Mi sono confrontato con molte persone e questo mi ha permesso di raffrontare con altri il problema comune: la disabilità. Ci si mette a confronto circa le diverse patologie e spesso si trovano soluzioni a problemi comuni. Ho un grandissimo difetto: a me la competizione mette molta ansia. Ricordo gli anni subito dopo l’incidente, quando praticavo il nuoto, ma ero troppo emotivo e ansioso. Prima di una gara stavo malissimo, soffrivo troppo. Decisi di provare il tennis. La mia ansia da prestazione non è cambiata molto, ma giocare a tennis è troppo bello. Riesco a fare sparire l’ansia poco dopo aver iniziato la partita».
Quando hai iniziato con il tennis in carrozzina?
«Nel 2004, ma non sono molto talentuoso. Ho una lesione bassa e questo mi consente di controllare bene la schiena. Se riuscissi a dominare la mia ansia, potrei ottenere molto di più».
E tuttavia, nonostante l’emotività, Antonio Moretto ha conquistato il suo primo Trofeo già nel luglio del 2010 a Forlì. Ci racconta lui stesso la grande emozione provata in quell’occasione: «Mia moglie e mio figlio erano venuti con me ed è stata una gioia incredibile poter dedicare loro quella prima vittoria! Poi ho vinto in altre competizioni Italiane e di recente, nel mese di marzo, al 14° Torneo Internazionale Alpi del Mare – Trofeo Città di Cuneo, dove ho prevalso nel Singolo del Tabellone Secondario».
Antonio Moretto vorrebbe trasmettere a tutti la gioia che lo sport riesce a dargli. La possibilità di conoscere la gente, di visitare tante città e soprattutto l’opportunità di confrontarsi con se stessi e con gli altri. «Invito tanti ragazzi che come me hanno subìto traumi irreparabili a praticare lo sport, come il tennis in carrozzina, perché è un’attività sana. Indipendentemente, poi, dalla disciplina scelta, l’attività sportiva per le persone con disabilità è un modo per riequilibrarsi con se stessi, integrare e vivere meglio la propria condizione».
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