Com’è ben noto ai lettori che frequentano queste pagine, il 13 dicembre 2006 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, entrata ufficialmente in vigore sabato 3 maggio [su questo si può leggere sempre nel nostro sito il testo intitolato Tre maggio: la Convenzione entra in vigore, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Si tratta del primo strumento giuridico internazionale vincolante – per i Paesi che lo sottoscriveranno – riguardante i diritti umani delle persone con disabilità e rappresenta un traguardo storico per il movimento mondiale delle donne e uomini coinvolti in questi problemi.
Definizione di disabilità e scopi
La Convenzione definisce persone con disabilità coloro che hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che, in interazione con varie barriere, possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di uguaglianza con gli altri.
Essa ha lo scopo di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali delle persone con disabilità.
Questo è certamente un trattato straordinariamente importante, soprattutto per due ragioni: da un lato, infatti, prevede una nuova base culturale, oltre a precisi impegni politici, economici e organizzativi, dall’altro, mette in evidenza la doppia discriminazione delle donne con disabilità e propone strategie adeguate per superarla.
Una nuova base culturale
In sostanza la Convenzione prevede il superamento del vecchio modello medico e assistenziale, che considera la disabilità come malattia e identifica la patologia con la persona, concentrando invece il proprio intervento sulla cura e la protezione sociale, a favore di un approccio basato sui diritti umani, che valorizza tutte le diversità umane (di razza, genere, cultura, lingua, orientamento sessuale e condizione psicofisica) e sottolinea che la condizione di disabilità non deriva dalle qualità soggettive della persona, ma dal modo con cui la società risponde ad essa, discriminandola in tutti gli ambiti della vita (istruzione, lavoro, servizi ecc.) e violando i suoi diritti umani.
Il trattamento dev’essere basato sull’inclusione sociale, le competenze pertengono a tutti i settori della società e le politiche generali devono includere le persone con disabilità in un approccio basato sul cosiddetto mainstreaming [inserimento della disabilità in tutti i progetti generali, N.d.R.].
Le risorse, poi, sono quelle riguardanti tutti i cittadini e ricavate non soltanto dai bilanci della sanità e dell’assistenza, i cui interventi devono comunque basarsi su obiettivi di autodeterminazione, autonomia e indipendenza.
Le donne con disabilità
Per quanto riguarda le donne con disabilità, viene evidenziata – come già sottolineato – la loro doppia discriminazione, determinata dal genere e dalla disabilità, oltre che la loro invisibilità come donne e come persone con disabilità, la loro povertà di diritti e non solo.
L’adozione della prospettiva di genere nella disabilità ha comportato il riconoscimento del doppio svantaggio delle donne con disabilità e la necessità di favorirne l’emancipazione attraverso politiche di empowerment (“rafforzamento”) e un’equa rappresentanza nel movimento della disabilità.
E del resto le donne con disabilità hanno fornito un apporto importante e significativo alla stesura della Convenzione, facendo sì che per la prima volta, in un trattato di tale importanza, fosse evidenziata la disabilità di genere in un articolo specifico (6: Donne con disabilità) e negli altri più significativi: dal Preambolo (punti p, q, s) ai Principi generali (articolo 3), dall’Accrescimento della consapevolezza (8) al Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti (16), dalla Salute (25) agli Adeguati livelli di vita e protezione sociale (28), fino al Comitato sui diritti delle persone con disabilità (34).
Princìpi generali
La Convenzione prevede come princìpi generali:
– la dignità, l’autonomia individuale, la libertà di scelta, l’indipendenza;
– la non discriminazione;
– la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società;
– il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità;
– la parità di opportunità;
– l’accessibilità;
– la parità tra uomini e donne;
– il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il rispetto per il diritto a preservare la loro identità.
Obblighi generali
Come obblighi generali, invece, la Convenzione prevede:
– il coinvolgimento attivo delle organizzazioni di persone con disabilità nell’applicazione della legislazione e delle politiche riguardanti la Convenzione, secondo il nuovo approccio culturale alla disabilità, mirabilmente riassunto nello slogan Nulla su di Noi Senza di Noi;
– l’accessibilità, sulla base dell’uguaglianza con gli altri, intesa in senso ampio, come accessibilità ai diritti, e quindi non solo all’ambiente fisico e ai trasporti, ma anche all’ambito sociale, economico, culturale, alla salute, all’istruzione, all’informazione, alla comunicazione;
– la mobilità personale. Qui basterà ricordare che in Italia, ad esempio, l’accesso ordinario ai treni è del 100%, ma per le persone con disabilità è garantito soltanto al 25%;
– la libertà da sfruttamento, violenza e abuso: oggi il rischio di subire violenza da parte delle donne con disabilità è doppio rispetto a quello delle altre donne. Risulta poi che nei Paesi industrializzati dal 39% al 68% di ragazze e dal 16% al 30% di ragazzi con ritardo intellettivo siano abusati prima dei diciotto anni di età;
– la vita indipendente, l’inclusione nella società e l’avvio di un percorso di deistituzionalizzazione: oggi, nell’Unione Europea, ben 500.000 persone con disabilità (mezzo milione!) sono recluse in 2.500 megaistituti;
– l’istruzione: in Italia le persone senza disabilità prive di titolo di studio sono il 4,1%, quelle con disabilità il 33,1% e di queste il 33,6% sono donne e il 26,3% uomini;
– la salute, con servizi e programmi sanitari di qualità, compresi quelli riguardanti l’area sessuale e di salute riproduttiva. Qui è necessario ricordare che lo Stato del Vaticano, in qualità di Paese Osservatore, non ha simbolicamente firmato la Convenzione, in riferimento alla salute riproduttiva [su tale questione si leggano in questo stesso sito i testi disponibili cliccando qui, qui e qui, N.d.R.].
– l’adattamento e la riabilitazione, intese come abilitazione e inclusione sociale e non soltanto come riabilitazione sanitaria;
– il lavoro: il tasso di disoccupazione ordinario è del 6,8%, mentre per le persone con disabilità è del 76%. Inoltre, tra quelle avviate al lavoro, di queste soltanto un terzo sono donne con disabilità;
– adeguati livelli di vita e protezione sociale, assicurando l’accesso ai programmi di protezione sociale in particolare a donne, ragazze e persone anziane.
– la partecipazione alla vita politica e pubblica, culturale e ricreativa;
– statistiche e raccolta dati: oggi l’Istat usa campionamenti sulla condizione di salute e non sui diritti. Ci sono inoltre statistiche della Pubblica Amministrazione sul lavoro, basate su leggi e non su princìpi;
– sistema di monitoraggio internazionale: in Italia non vi è una politica organica di monitoraggio e dovranno essere coinvolte le organizzazioni delle donne e degli uomini con disabilità.
Obiettivi
La Convenzione individua inoltre i seguenti obiettivi:
– mainstreaming nelle politiche, includendo cioè, nelle politiche ordinarie (trasporti, istruzione, lavoro ecc.) i temi della disabilità e nei provvedimenti che riguardano le donne anche quelle con disabilità;
– universal design nelle progettazioni. In altre parole, la progettazione e la realizzazione di prodotti, ambienti e servizi devono essere utilizzabili da tutte le persone, senza bisogno di adattamenti o soluzioni specializzate;
– superamento di qualsiasi politica di segregazione e istituzionalizzazione. Occorre dunque favorire politiche sulla domiciliarità, ricordando che in Italia la legislazione sull’istituzionalizzazione risale agli anni Trenta.
Il percorso della Convenzione
La Convenzione, quindi, ha messo in evidenza l’esistenza di un gruppo sinora invisibile – nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, le persone con disabilità non erano citate – ed è il primo trattato sui diritti umani del XXI secolo, oltre che una delle otto Convenzioni sui diritti umani.
Essa è composta da 50 articoli e un Protocollo Opzionale e avendo raggiunto il 3 aprile scorso il ventesimo atto di ratifica, entrerà in vigore il 3 maggio 2008.
Dopo sei mesi [3 novembre 2008, N.d.R.], avrà luogo la Conferenza degli Stati Parte che eleggerà il Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità, composto da esperti in diritti umani, con rappresentanza bilanciata per genere e con diversi compiti, tra cui quello di esaminare i rapporti che gli Stati dovranno presentare su come abbiano attuato la Convenzione, due anni dopo la sua entrata in vigore [3 maggio 2010, N.d.R.] e successivamente ogni quattro anni.
Nel caso in cui il singolo Stato abbia aderito al Protocollo Opzionale, allegato alla Convenzione, il Comitato riceverà anche i ricorsi individuali (di singoli oppure di gruppi di individui) e potrà avviare una procedura d’inchiesta.
Il Comitato, infine, potrà proporre Raccomandazioni, dal forte valore persuasivo, seppure senza il valore giuridico della sentenza di un tribunale internazionale.
L’Italia e la Convenzione
Il 30 marzo 2007, alla cerimonia di apertura per la firma della Convenzione, l’Italia è stata tra i primi firmatari, alla presenza dell’allora ministro per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero.
In seguito, il 28 dicembre 2007, su proposta del ministro degli Affari Esteri Massimo D’Alema, il Governo ha approvato il Disegno di Legge di Ratifica ed Esecuzione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità e del Protocollo Opzionale, che dovrà passare all’esame del Parlamento per la sua approvazione, come previsto dall’articolo 80 della nostra Costituzione.
A seguito poi della caduta del Governo Prodi, nel gennaio di quest’anno, il Disegno di Legge dovrà essere esaminato e – si auspica – approvato dal nuovo Parlamento insediatosi in questi giorni.
Successivamente all’approvazione del testo della Convenzione, dovranno essere definiti i meccanismi di monitoraggio e di implementazione legislativa e politica. Va sottolineato in questo senso che la Convenzione ha un impatto sulla nostra legislazione in ogni articolo e che inoltre rafforza la legislazione non discriminatoria italiana (articolo 3 della Costituzione, Decreto Legislativo 216/03, Legge 67/06).
Per quanto riguarda il monitoraggio, verrà probabilmente attivato un Osservatorio Nazionale sulla Disabilità e per l’implementazione definita una programmazione che individuerà le priorità su cui intervenire di anno in anno.
Ultimo, ma non certo ultimo, va rilevato che nel mondo, all’atto della firma della Convenzione, quotidiani, agenzie, radio e TV hanno dato un grande rilievo all’evento, ma questo, purtroppo, non è successo in Italia e neppure successivamente. Nella nostra comunicazione, infatti, sembra prevalere ancora lo stile pietistico, che definisce la persona con disabilità come “vittima”, oppure lo stile eroico, distante comunque dalla quotidianità.
Determinante, in conclusione, è stato il peso delle organizzazioni delle donne e degli uomini con disabilità per la stesura e la firma della Convenzione.
Speriamo, a questo punto, che possano esserlo anche per la ratifica, l’implementazione e il monitoraggio affinché si possa finalmente arrivare ad una migliore qualità della vita e a tanti diritti in più, in Italia e nel mondo.
*DPI Italia (Disabled Peoples’ International). Componente del Gruppo Donne della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e del Consiglio Direttivo del Coordinamento Para-Tetraplegici del Piemonte.
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