C’è chi trasforma il bagno per disabili in un ripostiglio dove stipare ogni sorta di oggetto, chi pensa che un corridoio, poco più grande di una sedia a rotelle manuale, possa essere agevole per disabili e anziani. C’è chi offre una “piazza d’armi” dotata di ogni sorta di maniglia, maniglietta e ausilio studiato appositamente, ma poi non sostituisce con una rampa i gradini per accedervi. Infine, c’è il bagno per disabili “quasi perfetto”.
Gli esempi sopra riportati non sono il parto della mia fantasia, ma di quella di architetti e geometri che pianificano i servizi nei locali privati e in quelli pubblici.
A ben guardare non sono riuscito a fare il bagno a mia misura neanche a casa mia. Eppure mi ero fatto consigliare, avevo visto decine di bagni nei miei viaggi in giro per il mondo. Perché? È una domanda che nei giorni scorsi, durante il Salone del Mobile di Milano [Fiera di Milano, 8-13 aprile, N.d.R.], spero sia risuonata – ma non ne sono affatto certo – nei padiglioni che ospitavano la manifestazione. Per non parlare dell’aspetto di certi oggetti. Già, perché funzionalità per persone con disabilità non fa mai rima con l’armoniosità delle forme del design. Perché il lavandino per disabili deve essere obbligatoriamente brutto? squadrato? sgraziato? E i maniglioni… che sembrano prelevati direttamente da una corsia di ospedale?
Forse è una questione di costi, è il primo pensiero che viene alla mente. E invece no. Sfogliando infatti i cataloghi, si scopre che i lavandini, ad esempio, costano come, se non di più, dei “fratelli più belli”. Certo spesso, ma non sempre, c’è un meccanismo che consente di inclinarlo per consentire a chi vive seduto di infilarsi sotto e non rovesciarsi addosso ettolitri di acqua solo per lavarsi le mani o la faccia. Ma proprio questo meccanismo nasconde un pericolo per chi non ha sensibilità alle gambe… il sifone bollente che garantisce ustioni alle ginocchia o cosce…
In altre parole, “disabilità che ti porti appresso, rischi che corri”: c’è infatti anche chi rischia di ferirsi il volto con l’asta del rubinetto, come mi ha raccontato qualche tempo fa, su queste stesse pagine, Gianmarco Panza.
In un’epoca in cui tutto è standardizzato, anche il design si piega a regole non scritte, quasi frenato nella sua corsa a sfidare leggi e proporzioni. La creatività è imbrigliata dalle mode, dall’esigenza di stupire per emergere e non dal coniugare uso, funzionalità e fruibilità al concetto del bello.
Una linea di pensiero è quella ad esempio dell’Universal Design che studia oggetti per tutti. Ma forse sarebbe meglio dire “filosofia di pensiero”, visto che segue sette princìpi ben definiti (è nato per l’abitazione e l’accesso ai servizi pubblici e commerciali presso il Center for Universal Design nel 1989 dal National Institute on Disability and Rehabilitation Research, ente del Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti d’America).
L’Universal Design «può aiutare gli architetti e gli ingegneri – chiosa Michele Rella, coordinatore scientifico al Politecnico di Torino del Corso di Perfezionamento Universal Design – Progettazione inclusiva e sostenibile – , così come altre categorie a vario titolo coinvolte nel processo decisionale, a cambiare l’approccio mentale con cui, a qualsiasi scala, progettano. I princìpi che lo ispirano, infatti, portano a considerare ogni tipo di utente al centro del progetto, indipendentemente dalle sue abilità».
«Se tutti concordano sull’utilità di questi concetti – spiega però Mariabeatrice Picco, ricercatrice sempre al Politecnico di Torino – meno facile è la loro applicazione pratica».
Ma esiste un “bagno perfetto”? «A mio giudizio no – ci risponde Rella -. Esistono da un lato delle indicazioni fornite dalle leggi vigenti, che possiamo considerare un punto di partenza, un primo passo necessario ma non sufficiente. Esiste un modo corretto di pensare gli spazi organizzandoli e distribuendoli al meglio. Esistono però anche molti diversi tipi di disabilità, e talvolta il progetto che si realizza, più che universale, deve essere fatto ad personam». E quindi? «Non direi che si possa parlare di un “bagno perfetto” come di un modello facilmente esportabile e adatto a tutti, quanto piuttosto di un’abilità, da parte di chi progetta, di ideare la migliore soluzione possibile per migliorare la qualità della vita di chi utilizzerà tale spazio».
Testo pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Il bagno ad personam”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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