Quei piccoli gesti che possono migliorare la società

Intervista a Deborah Ballarò*
«Anche piccoli gesti, come quello di condividere giochi accessibili a tutti, ragazzi con disabilità e non, possono contribuire a far crescere una nuova generazione di persone abituate a vivere la diversità in maniera del tutto naturale»: sono parole di Deborah Ballarò, architetto ligure ideatrice del Progetto “IOgioco”, nell’àmbito del quale sono state anche installate due piste per giocare a biglie in carrozzina a Finale Ligure e ad Albenga
Pista accessibile per le iglie di Albenga (Savona)
Un ragazzo in carrozzina gioca con le biglie nell’installazione recentemente predisposta ad Albenga (Savona)

«È anche in iniziative apparentemente “minime”, come quelle riguardanti una pista per giocare a biglie in carrozzina – avevamo scritto qualche tempo fa, a commento di una nota di Giorgio Genta -, che si possono intravvedere certe positive evoluzioni culturali della società». In quel caso si parlava appunto di un’installazione del genere a Finale Ligure, mentre successivamente ne è stata inaugurata un’altra ad Albenga, sempre in provincia di Savona, alla presenza anche del ministro Maria Elena Boschi.
Questi «lunghi e sinuosi percorsi – aveva scritto Genta – che permettono l’antichissimo gioco anche a chi è impossibilitato a chinarsi a livello del suolo, nonni compresi», sono stati realizzati e brevettati dall’Azienda FIMA di Reggio Emilia, nell’àmbito di un progetto complessivo denominato
IOgioco e ideato dall’architetto Deborah Ballarò, della quale presentiamo oggi la seguente intervista.

Partiamo dalle basi… Architetti si nasce o si diventa?
«Probabilmente possono accadere entrambe le cose. Fare l’architetto penso sia il mestiere più bello che ci sia in assoluto. Personalmente il mio interesse verso l’architettura si è manifestato già durante gli studi giovanili. Il fatto di crescere in un quartiere operaio di Genova ti permette di confrontarti da subito con quelle periferie definite “non luoghi”, di percepirne tutte le contraddizioni sia sociali che urbanistiche e di cogliere il profondo legame tra esse».

A un certo punto della sua vita ha inventato IOgioco, un servizio dedicato al superamento delle barriere architettoniche. Come le è venuto in mente? Chi, o che cosa, le ha dato l’ispirazione giusta?
«È successo dopo un fatto personale: tre anni fa mio papà si è ammalato di una rara malattia autoimmune che in brevissimo tempo lo ha portato alla paralisi e a una vita di grandi sofferenze; ciò ha radicalmente cambiato la mia esistenza. Ho iniziato a guardare le cose da un altro punto di vista, cioè da quello di chi vive su una sedia a rotelle. Come faccio ad andare al bancomat, a prendere l’autobus o ad andare al supermercato?
Essendo poi madre di due figli, e frequentando quindi i parchi giochi, mi sono spesso resa conto della loro più totale inacessibilità. A volte si trovano alcuni giochi per disabili, ma sono “solo per disabili” ed è da lì che è nata l’idea! Creare cioè giochi dove tutti i bambini, sia disabili che normodotati, possano giocare insieme.
La filosofia di IOgioco è quella della condivisione totale del momento gioco, visto come una delle esperienze di crescita più importanti della vita di ognuno di noi».

Una delle realizzazioni di IOgioco è una pista da biglie molto particolare. Può dirci come è nata e in che cosa consiste?
«La pista delle biglie è un grande classico dei ragazzini che trascorrono le vacanze al mare! Scommetto che anche voi lo avete spesso praticato. L’idea nasce proprio dalla constatazione che uno dei giochi in assoluto più praticati dai bambini che trascorrono le vacanze al mare è di fatto negato ai ragazzi con disabilità. Allora perché non alzare la pista e renderla accessibile a tutti? In questo modo, infatti, tutti i bambini hanno la stessa possibilità di svago.
Il gioco è costituito da moduli realizzati in cemento ad elevate prestazioni meccaniche ed estetiche, mentre i supporti sono costituiti da acciaio inossidabile. La pista è adatta non solo per giocare con le biglie, ma anche con le macchinine, sia radiocomandate che a spinta».

In quali Comuni la si può trovare, attualmente? Ed è un’installazione molto costosa?
«Il gioco è entrato in produzione da pochissimo. La prima postazione è stata collocata sul lungomare di Finale Ligure (Savona), in una zona della passeggiata molto strategica per quanto riguarda l’accessibilità. La grande soddisfazione è stata osservare come questa pista abbia da subito attirato tantissimi ragazzini.

Deborah Ballarò
L’architetto Deborah Ballarò

Una seconda postazione si trova ora ad Albenga, sempre in provincia di Savona, nella nuova Piazza Tortora, priva anch’essa di barriere architettoniche. Voglio sottolineare che queste due prime esperienze sono state rese possibili la prima grazie al Comune di Finale Ligure (e in particolare all’assessore uscente Nicola Viassolo, che si è mostrato immediatamente sensibile all’argomento) e la seconda all’Associazione Fieui di Caruggi di Albenga che ha finanziato l’acquisto della pista, donandola alla città. È un gioco che si sta facendo conoscere rapidamente e che inizia a suscitare interesse non solo nel Nord, ma anche nel Centro Italia e nel Nord Europa.
La pista non è particolarmente cara, ha il costo di una normale postazione ludica per parco giochi. Fare giochi accessibili, del resto, non è più costoso… Basta solo progettare gli oggetti con un altro punto di vista!».

Perché secondo lei nei programmi dei politici il tema della disabilità e dell’eliminazione delle barriere architettoniche è quasi sempre trascurato? Forse perché non porta un buon numero di voti?
«Credo che il vero motivo sia un altro e penso di averlo capito durante l’ultima edizione della Festa dell’Inquietudine di Finale Ligure. Il tema di tale manifestazione era quest’anno Inquietudine e fuga. Ecco, penso che la fuga di fronte ad una situazione di forte impatto emotivo – come la disabilità, e in particolare nei bambini -, non sia vera trascuratezza o indifferenza, ma un malessere attivato dall’incapacità di rapportarsi naturalmente con persone che in realtà hanno le nostre stesse emozioni, paure e necessità. Ed è proprio questo che a mio parere trasforma la disabilità in handicap, impedendo alla nostra società di creare le condizioni e di offrire gli strumenti per consentire a tutti di esprimere la propria identità, di relazionarsi con gli altri.
Penso che di conseguenza anche la politica non si sia ancora dimostrata preparata ad affrontare temi come questo, ma penso anche che piccoli gesti, come quello di condividere giochi accessibili a tutti, possano contribuire a far crescere una nuova generazione di persone abituate a condividere e a vivere la diversità in maniera del tutto naturale. IOgiocoIOcicredo!».

Architetto di Finale Ligure (Savona). La presente intervista è apparsa in «Corriere AL – Il magazine on line di Alessandria e Provincia» e viene qui ripresa – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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