Senza scomodare Platone (Amicus Plato, sed magis amica veritas: «Mi è amico Platone, ma mi è più amica la verità»), considerato purtroppo per lui meno amichevole della verità (ma da filosofo avrà certo capito!), il quesito resta notevole: è stato un atto di giustizia condannare i dirigenti di Google per quel tristemente celebre filmato di angherie a un ragazzo con disabilità? Oppure era meglio fermarsi alla condanna degli autori “materiali” del video e salvare la libertà della rete, insidiata da mille interessi politici e commerciali? Ma quale libertà? Anche quella di farsi promotrice, con la trasmissione planetaria che le amplifica iperbolicamente, di idee e di azioni aberranti?
Come “famiglie con disabilità” pensiamo si possa difendere la dignità della persona umana senza negare la libertà di diffusione delle idee: i due concetti non sono antitetici, anzi sono complementari.
Basterà ricordare – senza ipocrisie tipicamente commerciali “all’americana” (e qui segnaliamo la recentissima decisione della Corte Suprema USA che, in nome della libertà di contribuzione, ha tolto ogni limite alle sovvenzioni delle corporations e delle lobby alle campagne elettorali) – che i limiti della libertà sono quelli della non-lesione delle altre libertà. Tipico esempio è quello della schiavitù: io non sono libero di avere degli schiavi perché tale mia libertà negherebbe quella di chi verrebbe fatto schiavo. E non sono forse i Paesi che negano l’una ad uccidere prima o poi anche l’altra?
Salviamo dunque la libertà della rete – che a noi serve più che ad altri – ma non la libertà di arricchirsi e di prosperare ad ogni costo:per noi maggiore amica è la dignità delle persone con disabilità!
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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