Leggo in sequenza – ma solo per caso – due articoli. Il primo, firmato da Maria Laura Rodotà, si intitola Il botox a 16 anni iniettato da mamma e racconta di Sarah Burge, una donna di 49 anni, soprannominata la “Human Barbie” – autoproclamatasi “detentrice del record mondiale di interventi estetici” – che provvede personalmente a iniettare il botox sulla fronte della figlia Hannah per eliminare le rughe. Hannah ha sedici anni!
L’articolo è pubblicato sul sito del «Corriere della Sera» (ultimo aggiornamento 4 marzo 2010) e riprende una notizia diffusa dal tabloid britannico «Daily Mail» (lo si può leggere cliccando qui). La giornalista non nasconde il suo sgomento.
Il secondo, a firma di Cesare Fiumi, è stato pubblicato su «Sette/Corriere della Sera» del 25 febbraio scorso e si intitola La nuova ferocia del «dagli al debole» (lo stesso è stato ripreso anche da Superando e lo si può leggere cliccando qui).
Inizialmente siamo a Bergamo e c’è una donna adulta che ferma la macchina per sbeffeggiare una ragazza di circa vent’anni con il corpo segnato da un ciclo di chemioterapia, un trapianto di midollo e dai farmaci assunti per curare la leucemia. Poi ci spostiamo a Treviso e qui c’è un padre di famiglia che, in pizzeria, davanti a una bambina con sindrome di Down – che inavvertitamente ha fatto volare un pezzo di carta sul suo piatto – riprende il padre della stessa con le seguenti parole: «Quando si hanno dei figli mongoli è meglio starsene a casa».
Non si tratta semplicemente di ragazzate, solo di «parole fetide come le fogne che le hanno partorite», sottolinea Fiumi. Gli autori delle aberranti trovate sono adulti in entrambi in casi, e «questa ferocia quotidiana» è ormai un fenomeno che si riscontra ovunque.
Non posso fare a meno di notare come gli episodi descritti nei due articoli siano in realtà espressione della stessa cultura. Una cultura che promuove modelli spesso irraggiungibili e che per affermarsi ha bisogno di sminuire chi non si adegua, chi non corrisponde. Una violenza gratuita che ha l’unica funzione di colmare la frustrazione di chi la esercita, ma che ha anche l’esito di procurare insicurezza, disistima e dolore in chi ne è bersagliato e non ha sufficienti strumenti per reagire.
Il problema è reso ancora più drammatico dalla diffusione di questa cultura su larga scala e dall’ambiguità dei messaggi veicolati. Si inneggia alla bellezza, al prendersi cura di sé, al tenersi in forma. Tutte cose positive e condivisibili sino a quando non si trasformano in imperativi categorici che prescrivono: non devi invecchiare! Non devi ingrassare! Non devi ammalarti! E via vietando. Retromessaggio: se invecchi, se prendi qualche chilo, se ti ammali, o – Dio ce ne scampi e liberi – se nasci o diventi disabile, non hai più posto in questa società!
In realtà invecchiare, ammalarsi, essere disabili sono cose che fanno parte della natura umana, mentre sfugge ad ogni logica trasformare i processi naturali in “colpe” e unici metri di valutazione dell’intera persona; è, quest’ultimo, un nonsenso che però, a quanto pare, miete molti consensi.
I mezzi di comunicazione di massa hanno al riguardo grandi responsabilità e, anche se adesso c’è una certa trasversalità fra i generi nella fruizione di questo tipo di messaggi, le più bersagliate continuano ad essere le donne. Impressionante ed emblematico è, a tal proposito, il documentario Il corpo delle donne (2009) di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù (liberamene consultabile cliccando qui). Il filmato mette in evidenza la progressiva scomparsa della donna qualunque dalla TV italiana e la sua sostituzione con una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante.
Ma se anche gli adulti, i genitori – lo abbiamo visto nei due articoli citati – riproducono questo modello, chi e cosa potrà salvarci? Lo spirito critico, il dissenso, la non violenza. Non sono strumenti di ripiego. Sono armi potentissime. Le uniche che non dobbiamo farci scrupolo ad utilizzare a casa, per strada, in pizzeria, al supermercato, a scuola, sul lavoro, in internet, in ogni dove. Non stanchiamoci mai di dissentire.