C’è Salvatore Cimmino, nuotatore amputato della gamba destra, tuttora impegnato nel suo giro del mondo a nuoto. C’è Roberto “Robydamatti” Bruzzone, con la sua protesi in titanio alla gamba destra, alle prese proprio in questi giorni con il deserto rosso della Namibia. E c’è naturalmente Andrea Stella, ideatore e realizzatore dello “Spirito di Stella“, protagonista ormai da anni di tanti viaggi e iniziative, l’ultima delle quali lo ha portato a Miami, attraverso l’Atlantico, dieci anni dopo l’incidente che in quella città della Florida lo costrinse a sedersi in carrozzina.
Abbiamo sempre seguito e continueremo a seguire le sfide di tutti loro, raccontandone non come di “super-disabili” che intendono ad ogni costo stupire il mondo, ma come di veri e propri “testimoni di diritti”, spesso anche in modo esplicito, come accade ad esempio per Cimmino, che dichiara sempre di nuotare perché si parli e si agisca di più in favore della mobilità e della vita indipendente delle persone con disabilità o per Stella, che sulla vela di randa del suo natante ha fatto imprimere gli articoli della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e del Manifesto Italiano per la Promozione del Turismo Accessibile.
Questa volta, dunque, abbiamo l’occasione di conoscere un nuovo “testimone di diritti”, Andrea Spica, anzi due perché ad accompagnare Andrea nel suo viaggio vi sarà anche Lelio Loccia, altra persona con disabilità in carrozzina.
Insieme dunque a Lelio, il trentaquattrenne siciliano in carrozzina si appresta a partire con il suo handbike, da spingere con la forza delle braccia, per un vero e proprio “viaggio del mito”, circa 3.750 chilometri sulla “Mother Road”, quella storica Route 66 che partendo da Chicago e attraversando otto Stati, tre fusi orari e due deserti, arriva a Los Angeles, in California.
L’avventura di Andrea – che si articolerà tra luglio e agosto – è stata da lui stesso presentata in maggio a Firenze, in una conferenza stampa nell’ambito di Terra Futura, la mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Ed è a lui che cediamo la parola, affascinati dal suo voler «vivere in un susseguirsi di albe e tramonti». (S.B.)
Viaggiare, per me, significa dedicare tempo a se stessi, fondamentale per staccare dalla vita quotidiana, per captare le proprie capacità ed energie, mettendosi alla prova in esperienze che fanno crescere, in vista di un miglioramento personale.
Conoscere e imparare da abitudini diverse dalle proprie, mettere alla prova la propria capacità di convivenza e condivisione con i luoghi e le persone che ci ospitano.
Uno dei viaggi che hanno travalicato i confini della strada, uno di quelli che più è entrato nella leggenda dell’immaginario collettivo del ventesimo secolo è il percorso che, negli Stati Uniti, porta dalla East Coast [Costa Orientale, N.d.R.] alla West Coast [Costa Occidnetale, N.d.R.], lungo la Route 66, meta ricca di storia e di diversità, detta anche la “Strada Madre” (Mother Road).
Quest’ultima, inaugurata nel 1926, collegava Chicago alla spiaggia di Santa Monica in California, attraverso otto Stati (Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, New Mexico, Arizona e California), tre fusi orari e due deserti, collegati appunto da un’unica strada, lunga 3.750 chilometri. Negli anni Ottanta, era stata tolta dal sistema delle highway federali [le strade statunitensi a carattere nazionale, N.d.R.], ma nei primi anni Novanta, grazie a diverse associazioni, è stata rivalutata come “Strada di Interesse Storico”, che infatti ora viene denominata Historic Route 66.
Si parte da Chicago, la metropoli che ispirò tra l’altro la Giornata dell’8 marzo: nel 1908, infatti, cinquecento ragazze vi persero la vita in un incendio scoppiato nella fabbrica di camicie dove lavoravano. Il viaggio si chiude a Los Angeles ovvero nella “Città della Chiesa della Nostra Signora degli Angeli”.
Anche se non si riescono a percorrere molti chilometri del tracciato originale, un viaggio alla scoperta di quello che poteva essere la Route 66 è un’esperienza indimenticabile per i veri amanti dell’America e dell’on the road. Molti paesi e villaggi, attualmente un po’ decaduti, mantengono infatti quell’atmosfera ricca di gloria passata; basti pensare ai motel, alle insegne di locali e ristoranti, ad alcune opere di architettura, come ponti e stazioni di servizio, che a distanza di anni sono lì a testimoniare e a far sognare l’antico splendore.
Questo grande “museo a cielo aperto” rappresenta buona parte della storia recente degli Stati Uniti, pensando ad esempio alla diffusione dell’auto, che permetteva grandi spostamenti, o alla seconda guerra mondiale, poiché su quel percorso passavano i mezzi e le armi che, dalle basi sparse in giro per gli States, andavano a San Diego, sede della Navy, la marina americana.
La Route 66 ha dato vita a centinaia di film, romanzi e racconti ed è forse l’unica strada al mondo alla quale sono state dedicate canzoni (Get your Kicks on Route 66, di Bobby Troup, 1946), siti internet, libri, studi sociologici e tesi di laurea; è il simbolo dei grandi spazi, dei rettilinei infiniti, della corsa al West, delle cittadine addormentate nelle grandi pianure centrali, dei deserti; è la strada della cultura popolare americana, tenuta a battesimo da personaggi come Woody Guthrie, John Steinbeck o Jack Kerouac e da quelle involontarie opere di pop-art che sono i motel a poco prezzo e le stazioni di servizio in mezzo al grande nulla.
Anch’io sono stato ispirato da questa strada e per questo l’ho scelta. Voglio mettermi alla prova, vivere una vera emozione, farmi catturare dalla Route 66 per coglierne le meraviglie e le magie.
Per questo sono fiducioso di essere in grado di portare a termine la mia maratona di trenta giorni, pedalando con le braccia la mia bici speciale e rimorchiando un carrellino per alloggiare il bagaglio e la carrozzina. Le mete non le ho programmate, perché non so mai dove mi fermerò e quanti chilometri riuscirò a percorrere ogni giorno. Perché ogni luogo è diverso dall’altro e ognuno di essi trasmette sensazioni diverse. Quindi non posso sapere prima da cosa sarò attratto, lo scoprirò viaggiando, all’insegna di “una sfida nella sfida”, quella cioè di saper cogliere la magia del luogo, con l’impegno di raggiungere entro un periodo prestabilito la meta.
Da est a ovest. Non è a caso che desidero percorrere la Route 66 in questa direzione: il sole sorge a est e tramonta a ovest. Il giorno, con l’alba al tramonto, è l’immagine della nostra vita: dalla nascita al tramonto. Ma la vita è un susseguirsi di albe e tramonti e percorrere la Route 66 da est a ovest rappresenta per me la mia vita, vissuta giorno per giorno da scoprire e vivere intensamente.
La sua prima esperienza in solitaria risale al 2008, quando, partendo da Roncisvalle, ha attraversato i Pirenei, fino a raggiungere Santiago de Compostela, dopo avere percorso 880 chilometri in venti giorni.
Per il suo viaggio sulla Route 66 – nel quale, come già detto, lo accompagnerà Lelio Loccia, anch’egli persona con disabilità in carrozzina e anche, novità dell’ultima ora, l’amico Federico, normodotato in bicicletta – partirà da Chicago in luglio, procedendo tutti i giorni dalla mattina all’alba fino alle 18. Poi cercherà un posto dove riposare per la notte (un motel o un luogo per piantare la tenda). In alcune occasioni viaggerà anche di notte, quando la giornata risulterà troppo calda. La percorrenza media prevista è di circa 140 chilometri al giorno. Un GPS indicherà la strada, un iPad servirà a mantenere i contattatti tramite skype e un sito internet verrà aggiornato con il diario, le foto, i video e gli appunti dei vari spostamenti.
Testimonial dell’iniziativa è Alex Bellini, veterano di viaggi estremi, protagonista in questo stesso periodo su un itinerario simile, ma di corsa e in direzione opposta, percorrendo 5.000 chilometri in settanta giorni.
Rispetto a Salvatore Cimmino, Roberto Bruzzone e Andrea Stella – citati nell’introduzione al presente testo – tra i più recenti articoli del nostro sito che se ne sono occupati, segnaliamo rispettivamente quelli disponibili cliccando qui, qui e qui.
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