Nei primi giorni di gennaio i giornali hanno divulgato la notizia di una coppia che ha deciso di non riconoscere il proprio figlio, e di lasciarlo in ospedale subito dopo il parto, perché interessato da acondroplasia, una malformazione scheletrica comunemente nota come “nanismo”. L’AISAC (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia) è intervenuta nel dibattito suscitato dalla vicenda, sottolineando come le persone interessate da questo tipo di disabilità riescano a condurre una vita “normale”, e come il loro vero problema sia in realtà la stigmatizzazione sociale a cui, ancora oggi, sono soggette.
Non valutiamo la scelta di quella coppia, e tuttavia ci sembra di cogliere in essa l’esito di una grande paura. Ma come vivono queste persone? Lo abbiamo chiesto a due donne che ne sono interessate, ben sapendo che il valore degli esseri umani non si misura in centimetri di altezza. (Simona Lancioni)
Prima testimonianza
Vuole presentarsi?
«Mi chiamo S.C., ho 21 anni e studio Scienze Internazionali e Istituzioni Europee all’Università di Milano».
Come è stata accolta all’interno della sua famiglia la diagnosi di acondroplasia? Ha riscontrato un cambiamento degli atteggiamenti col passare del tempo?
«Nel 1990 non c’era così tanta informazione sull’acondroplasia, quindi la mia famiglia è rimasta letteralmente scioccata dalla diagnosi in quanto non aveva idea di quali fossero le controindicazioni in merito a questa malattia rara. Successivamente si sono informati e hanno capito che crescere una figlia acondroplasica sarebbe equivalso a crescere una figlia normodotata, ma con qualche centimetro in meno»
Uno dei primi momenti di vita sociale delle persone è l’ingresso nel mondo della scuola. Quali sono i ricordi più significativi rispetto alla sua esperienza scolastica?
«Sono sempre stata una bambina solare e di compagnia. Quando i bambini mi chiedevano perché ero più piccolina di loro, io glielo spiegavo senza problemi. A volte, alcuni compagni di classe mi prendevano in giro, ma ho sempre cercato di far loro capire che non avevo niente di meno. A livello tecnico, non ho mai avuto bisogno di un’insegnante di sostegno, né di particolari modifiche per l’altezza dei banchi o delle sedie».
Com’è stato l’ingresso nel mondo del lavoro? Come descriverebbe il suo ambiente di lavoro dal punto di vista dei rapporti con gli altri lavoratori presenti? E dal punto di vista dell’utenza?
«Non sono ancora entrata nel mondo del lavoro».
Pensa che la sua disabilità abbia influenzato o influenzi la sua vita di relazione? E se sì, in che modo?
«Io penso che più che la disabilità in senso stretto, sia il modo di viverla a influenzare la vita di relazione. Avere centimetri in meno non significa essere meno intelligenti o meno simpatici, ma questa è una cosa che ogni persona acondroplasica dovrebbe far capire. Il pregiudizio a livello sociale c’è, ma si deve semplicemente spiegare alle persone che quello che pensano sul nanismo è sbagliato e che è frutto di un’assente informazione passata».
Ci racconta un suo sogno? Lo ha già realizzato, o ci sta ancora lavorando?
«Il primo sogno che sto realizzando è quello di studiare all’estero, sul secondo ci lavorerò dopo la laurea».
Seconda testimonianza
Vuole presentarsi?
«Mi chiamo V.M., ho 58 anni, vivo a Vasto, in Abruzzo, in una casa che mi piace molto. Vivo con un fratello più grande di me, non sposato, con il quale condivido anche il lavoro. Infatti abbiamo un’impresa che lavora nel campo dell’informatica: sia nel settore commerciale, sia nel campo della formazione».
Com’è stata accolta all’interno della sua famiglia la diagnosi di acondroplasia? Ha riscontrato un cambiamento degli atteggiamenti col passare del tempo?
«La mia nascita ha recato, certo, delle difficoltà iniziali, non essendoci state prima delle diagnosi prenatali (data la mia età, l’ecografia non veniva effettuata). Il mio arrivo è stato un fulmine a ciel sereno! Inizialmente i miei genitori mi hanno molto protetta da tutte le “aggressioni” che potevano arrivare dall’esterno. Poi man mano, anche loro, insieme ai miei fratelli più grandi (sono l’ultima di otto figli), hanno imparato a vivere con più maturità e con totale passione la mia “diversità”. Insieme siamo stati capaci di affrontare il mondo esterno con molta più serenità e spontaneità».
E lei, come ci convive?
«Come ci convivo? Ci convivo molto più serenamente che in passato. Affronto tutte le situazioni con quasi totale naturalezza; è stato un lavoro molto intenso e difficile raggiungere questo traguardo e poi… finalmente… è arrivata l’AISAC [Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia, N.d.R.] nella mia vita, che ha reso tutto molto più fluido, annullando gli ultimi timori e smussando molti angoli».
Com’è stato l’ingresso nel mondo del lavoro? Ha trovato un lavoro che le piace, adeguato alla sue competenze e aspettative? Come descriverebbe il suo ambiente di lavoro dal punto di vista dei rapporti con i colleghi? E dal punto di vista dei rapporti con le altre persone, con le quali deve interagire (ad esempio clienti, altri imprenditori ecc.)?
«Nel campo del lavoro sono stata favorita entrando subito nell’azienda di famiglia. Faccio un lavoro che mi piace moltissimo e non ne farei un altro: all’interno dell’impresa mi occupo del settore amministrativo. Ho un ottimo rapporto con collaboratori e dipendenti. Ma io ho davvero un ottimo rapporto con tutti ed è molto raro che qualcuno mi faccia pesare la mia diversità. I pochi che lo fanno, con qualche sorriso ironico o con sguardi curiosi, ora mi lasciano “quasi” indifferente. Del resto ho imparato a convivere anche con queste situazioni, come con quelle delle innocenti espressioni dei bimbi che mi incontrano in ogni luogo».
Pensa che la sua disabilità abbia influenzato o influenzi la sua vita di relazione? E se sì, in quale modo?
«Ho una vita di relazione molto intensa, oltre all’impegno lavorativo che mi occupa molto. Faccio teatro, ho moltissimi amici, vivo una vita attiva di fede, curo molto la mia casa e il mio giardino, faccio pilates e jogging. Per riuscire a fare tutte queste cose, mi alzo molto presto al mattino. Sinceramente non ho difficoltà relazionali e questo è certamente merito e maturità delle molte persone che sanno accogliermi. Quando questo, raramente, non accade, lo accetto più o meno serenamente e ciò dipende dal mio stato d’animo del momento».
Ci racconta un suo sogno? Lo ha già realizzato, o ci sta ancora lavorando?
«Quando ero adolescente il mio sogno era formare una famiglia nella quale vivere serenamente e gioiosamente… il sogno di tutti gli adolescenti!!! Questo non è accaduto e attualmente non mi dispiace, sono davvero serena così. Ora ho un altro sogno: superare questa globale crisi economica, che ci fa vivere, all’interno dell’impresa, difficoltà gravose. Abbiamo dipendenti e collaboratori che sono mamme e papà che hanno famiglie e il loro stipendio è l’unica fonte di reddito. Questo ci rende molto responsabili, perché non vorremmo mai creare delle difficoltà alle loro famiglie. Per noi si sta creando davvero una situazione difficile e insostenibile. Il mio sogno, dunque, è proprio quello di superare presto e bene questo momento economico, per vivere insieme ai nostri collaboratori una vita di lavoro più serena».
Per approfondire:
– Daniele Fox, Roma, partorisce bimbo malato: madre lo abbandona, in «Il Quotidiano Italiano, 4 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Comunicato diramato dall’AISAC (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia) alla stampa a seguito della notizia relativa “all’abbandono”, dopo la nascita, di un bambino acondroplasico (cliccare qui).
*Testo già apparso nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo Donne all’altezza di una vita dignitosa, qui ripreso, con alcuni riadattamenti, per gentile concessione.
13 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, un centinaio tra articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, circa 80 segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, più di 450 segnalazioni bibliografiche e circa 600 risorse internet schedate: parlano da sole le cifre del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità (il nostro sito se n’è occupato con l’articolo disponibile cliccando qui).
Recentemente il Gruppo Donne UILDM ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili» (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).
L’indirizzo del Gruppo Donne UILDM è www.uildm.org/gruppodonne. Al repertorio di cui si è detto, si accede cliccando qui. Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).