Solo quattro articoli: la Legge 67/2006 – Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni – ha un testo relativamente breve, ma innovativo e importante perché esplicita in modo inequivocabile il legame tra il principio di “non discriminazione” e quello di eguaglianza (formale e sostanziale) sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
Proprio questa legge è divenuta oggetto di uno studio attento e scrupoloso nell’ultima opera redatta da Raffaello Belli, La non discriminazione dei disabili e la Legge n. 67 del 2006 (Milano, Franco Angeli, 2007, 133 pagine), referenziata dalla prefazione del giudice della Corte Costituzionale Maria Rita Saulle.
La prima parte del libro è dedicata alla genesi e all’analisi del testo normativo, entrambe supportate da note giuridiche e giurisprudenziali tese ad inquadrare lo stesso nel più ampio campo della tutela della disabilità e a mettere in luce i rapidi (e per lo più positivi) mutamenti in atto. La seconda parte è invece incentrata su ulteriori osservazioni e riflessioni critiche.
Nell’intento di evitare discriminazioni nei confronti di chi ha problemi con i supporti cartacei, l’opera è fruibile anche in formato digitale, attraverso un CD-ROM allegato: una coerenza non scontata e degna di apprezzamento.
Nel riproporre l’architettura della norma, l’autore analizza innanzitutto le finalità e l’ambito di applicazione della legge, da cui risulta evidente come il dovere di non discriminazione si applichi tanto ai soggetti pubblici, quanto a quelli privati, chiamati, nei limiti delle loro possibilità, a «fare ogni possibile sforzo per evitare discriminazioni» (Belli, op. cit., p. 22).
L’individuazione del comportamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità è affidata al confronto con il comportamento riservato alle persone normabili. Non è invece presa in considerazione l’ipotesi di una comparazione tra i comportamenti riservati a individui con disabilità differenti: pertanto se una persona disabile si dovesse sentire trattata in modo disuguale rispetto ad un’altra persona con disabilità, non potrebbe utilizzare questa norma per rimuovere la discriminazione subita.
È importante rilevare anche che la tutela giurisdizionale è estesa alla discriminazione diretta, a quella indiretta e alle molestie, ed è equiparata a quella prevista per lo straniero (Decreto Legislativo 286/1998).
La procedura è celere e snella e consente alla persona con disabilità di fare ricorso direttamente al giudice ogniqualvolta ritenga sussistano «elementi di fatto» tali da farle ritenere di essere vittima di una situazione discriminante.
Non è nemmeno obbligatorio servirsi di un avvocato e tuttavia, nel caso la persona con disabilità abbia poca dimestichezza con l’iter processuale, sarebbe meglio si facesse affiancare da un esperto, non tanto nell’esposizione dei fatti, quanto, piuttosto, nella gestione degli aspetti burocratici del ricorso (come, ad esempio, l’espletamento delle procedure di notifica).
In merito infine alla legittimazione ad agire, la Legge 67/2006 ammette che la persona con disabilità possa scegliere se agire in prima persona o se delegare (per atto pubblico o scrittura privata autenticata) questa funzione ad altri soggetti (associazioni ed enti operanti nel settore individuati con le modalità espresse dal Legislatore).
Non vi sono dubbi sulle potenzialità concrete della norma in esame, se si considera che essa ammette sia il risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale), sia azioni positive tese alla rimozione della discriminazione (tramite ordinanza del giudice).
Mentre tra i punti critici segnaliamo – solo a titolo esemplificativo – l’esclusione dal provvedimento dei soggetti con disabilità non in possesso di certificazione di handicap ai sensi dell’articolo 3 della Legge 104/92 e dei disabili stranieri non residenti in Italia, nonché la mancanza di un’Autorità Garante e di una specifica copertura finanziaria.
Non di rado, anche sulle pagine di Superando.it, è possibile trovare annotazioni positive sulla normativa italiana in materia di disabilità alle quali però solitamente fanno seguito amare considerazioni circa la sua scarsa applicazione.
Probabilmente anche la Legge 67/2006, pur avendo qualche elemento di criticità, può a buon titolo entrare nel novero delle buone leggi. Se è così, allora, non possiamo fare a meno di chiederci quale sarà la sua sorte dal punto di vista applicativo.
Nel cercare di rispondere a questa domanda ci rendiamo conto che in realtà la norma affida proprio alle persone con disabilità il compito di essere “costruttori di uguaglianza”: sono infatti loro i soggetti che devono individuare, riconoscere e denunciare i comportamenti discriminanti. E se è vero che al giudice sono affidate importanti discrezionalità – come quella di stabilire se la discriminazione sussista o meno e, in caso di giudizio affermativo, anche quella di individuare gli interventi atti a rimuoverla – è pur vero che se le persone con disabilità saranno restie nel mettere in moto la macchina giuridica, verosimilmente anche i giudici avranno poche occasioni per riflettere e affinare la conoscenza della materia.
Alla luce di tutte queste considerazioni ci sembra di poter affermare che uno degli elementi discriminanti nella fortuna applicativa della norma sarà l’autoconsapevolezza delle persone con disabilità, ossia la loro capacità/disponibilità a confrontarsi “alla pari” con chiunque. In ciò sta il messaggio etico più elevato della norma esaminata, in ciò l’uguaglianza sostanziale.
Niente di nuovo dal punto di vista concettuale, intendiamoci, niente che non fosse già scritto nella Costituzione. Solo che ora le persone con disabilità hanno a loro disposizione uno strumento in più per costruire l’uguaglianza. Ci auguriamo che sappiano farne tesoro.
*Responsabile di Informare un’H – Centro “Gabriele Giuntinelli” di Peccioli (Pisa).
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