Sull’autismo serve una consapevolezza sempre più sociale e pubblica

«Facciamo sì che la consapevolezza dell’autismo sia una consapevolezza sempre più sociale e pubblica, perché le persone autistiche e le loro famiglie non hanno bisogno di compassione, ma di risposte e strumenti adeguati, soprattutto da parte di chi ha il potere di cambiare le cose, se vuole»: lo scrive una delle due mamme di bambini con disturbo dello spettro autistico, le cui testimonianze sono state diffuse dall’Associazione ANFFAS di Modica (Ragusa), in occasione della recente Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo

Bimbo dietro a un vetroRiceviamo dall’ANFFAS di Modica, in provincia di Ragusa (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), e ben volentieri pubblichiamo, le testimonianze di due mamme di bambini con disturbo dello spettro autistico, la mamma di Kilian e quella di Giovanni, testimonianze diffuse in occasione della recente Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 Aprile.

Noi mamme di bambini autistici veniamo spesso chiamate “Super mamme”, quando semplicemente vorremmo essere genitori come tutti gli altri. È vero, viviamo con uno sprint in più: incastrare terapie, lavoro e famiglia non è facile, ma d’altronde per noi è la normalità. È anormale invece dover lottare quasi sempre per i diritti dei nostri figli.
Il nostro territorio è purtroppo carente di strutture a sostegno delle famiglie: centri diurni per minori, campi estivi, attività sportive: i nostri figli vivono solo di scuola e terapie. E anche lì molte volte dobbiamo ritenerci “fortunate”, se riusciamo ad ottenere un’insegnante di sostegno competente su quanto concerne l’autismo.
E la burocrazia? Anche lì, un salto nel buio continuo. Si parla tanto di inclusione, ma fondamentalmente manca ancora la forma mentis sulla diversità. Se la si tende a sottolineare, il “diverso” viene sempre a galla. Basterebbe semplicemente cambiare forma di pensiero e guardare all’altro non come una “persona differente”, bambino o adulto che sia, ma come persona. L’autismo è un modo di essere è da tale andrebbe trattato.
Il “Dopo di Noi”? Quasi quasi è un tabù. È questo pensiero che ogni singolo giorno ci attanaglia la coscienza: se già è difficoltoso per noi genitori far ottenere i diritti che spettano ai nostri figli, cosa succederà quando noi non ci saremo più? Chi si prenderà cura di loro? Come ogni madre o padre, il futuro dei nostri figli è vitale: ma il silenzio assoluto sul “Dopo di Noi” ci fa brancolare nel buio. E le ansie e le paure si alimentano ancora di più accostandosi alla rabbia e alla frustrazione di essere molte volte soli a combattere una guerra contro i mulini a vento.
La mamma di Kilian

Che cosa dire in occasione della Giornata per la Consapevolezza dell’Autismo che non sia già stato detto, e che possa essere utile perché questo evento non sia solo un esercizio di vuota retorica?
Mi è stata di spunto la notizia di qualche giorno fa di una scolaresca dell’ultimo anno di una scuola superiore che si è imposta affinché il loro compagno autistico, un ragazzo di 19 anni che non aveva mai dormito fuori casa, potesse andare alla gita dell’ultimo anno a Vienna.
Questo esempio bellissimo di inclusione ci mostra essenzialmente due cose: intanto che se si vuole si può; e poi quanto sia importante il cambio di prospettiva: passare dal pensare che una cosa non si può fare a cosa ciascuno di noi può fare per realizzarla. E stride enormemente con ciò che noi genitori di figli autistici sperimentiamo nella nostra quotidianità, con Istituzioni a volte perfino più autistiche dei nostri figli. Con dirigenti delle Aziende Sanitarie Provinciali che davanti ad una legittima richiesta di un genitore di prolungare le terapie ABA (Analisi Comportamentale Applicata) oltre i 6 anni di età si trincerano dietro al «non si può fare», perché la legge o le direttive interne dell’Ente non lo consentono, senza spingersi neppur lontanamente a pensare «cosa posso fare io per farlo accadere».
E invece noi abbiamo bisogno di quel cambio di prospettiva, abbiamo bisogno che venga finalmente messo al centro il progetto di vita dei nostri figli, che dovrebbe essere l’unica bussola dell’agire della Pubblica Amministrazione, per comprendere e mappare i reali bisogni e garantire poi dei servizi ad hoc. Abbiamo bisogno che in Sicilia vengano modificate le Linee Guida sull’autismo e il vergognoso Decreto che garantisce il percorso terapeutico di tipo cognitivo/comportamentale addirittura solo fino ai 4 anni di età, ignorando o facendo finta di ignorare quanto sia difficile arrivare ad una diagnosi certa prima dei tre anni, in una realtà nella quale la richiesta di accertamenti diagnostici si basa sulla sola osservazione dei genitori. Perché in Sicilia, a differenza di quanto avviene in altre Regioni italiane, non esiste uno screening gratuito per bambini sotto i due anni che consenta di arrivare ad una diagnosi precoce. E non solo, una volta che il genitore con tanto dolore acquisisce comunque la consapevolezza del disturbo del proprio figlio e trova giovamento nelle terapie che gli vengono offerte nel primo anno dalla diagnosi, se le vede poi togliere pochissimo tempo dopo ed è costretto a dover provvedere a fornire gli adeguati supporti a proprie spese, laddove possibile.
Facciamo sì, dunque, che la consapevolezza dell’autismo sia una consapevolezza sempre più sociale e pubblica, perché le persone autistiche e le loro famiglie non hanno bisogno di compassione, ma di risposte e strumenti adeguati, soprattutto da parte di chi ha il potere di cambiare le cose, se vuole.
La mamma di Giovanni

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