Sta passando sotto silenzio [ma il nostro sito se n’è occupato nei giorni scorsi, con l’articolo disponibile cliccando qui, N.d.R.] l’ennesimo insulto ai diritti dei disabili, che stavolta è arrivato nelle mani dei loro familiari sotto forma della cosiddetta Dichiarazione di responsabilità e consapevolezza [la si legga cliccando qui, N.d.R.], ai sensi della Circolare 13/10 del Dipartimento della Funzione Pubblica.
Com’è noto, per chi assiste un familiare malato o disabile è prevista dalla Legge 104/92 la fruizione di permessi lavorativi, ma questo non configura affatto un privilegio, bensì un parziale e insufficiente tentativo di compensare la carenza di servizi nei confronti di chi presta la propria cura a congiunti con forti difficoltà. Le famiglie delle persone disabili, infatti, conoscono fin troppo bene i salti mortali che fanno quotidianamente per supplire alle croniche e strutturali carenze di uno Stato che le lascia sempre più sole nell’affrontare il peso delle difficoltà legate a questa situazione.
Ebbene, oggi non solo lo Stato non eroga i servizi che i Cittadini pagano con le tasse, ma per di più i familiari delle persone disabili [dipendenti pubblici, N.d.R.] si sono visti sottoporre in questi giorni la citata Dichiarazione di responsabilità e consapevolezza, che recita testualmente al punto c): «Il dipendente è consapevole che la possibilità di fruire delle agevolazioni comporta un onere per l’amministrazione e un impegno di spesa pubblica che lo Stato e la collettività sopportano solo per l’effettiva tutela del disabile».
Le persone con disabilità e le loro famiglie – al contrario di quanto queste parole sottintendono – non sono destinatarie di favori che per di più gravano in modo illegittimo sulle spalle dei Cittadini che pagano le tasse. Non ci sono favori, ma solo tentativi maldestri da parte dello Stato di sopperire alla totale insufficienza di erogazione di servizi. Quello stesso Stato che avrebbe il dovere di ampliare la tutela dei diritti dei più deboli, invece di penalizzare e “criminalizzare” chi usufruisce dei residui di Stato Sociale ancora a sua disposizione.
La visione del disabile come un “peso per la società” e del familiare che gli presta assistenza come un lavoratore “colpevole di assenteismo ingiustificato” sovverte completamente il corretto rapporto tra le tasse pagate allo Stato e i servizi resi in cambio al Cittadino.
Da tempo ormai i Cittadini sono costretti, loro malgrado, a tollerare che le proprie tasse siano destinate a mantenere un apparato statale costoso e inefficiente invece che a pagare i servizi a loro destinati. La Sanità non è in grado di assicurare la cura e l’assistenza di Cittadini malati o disabili e quindi abdica al suo ruolo primario, la tutela delle fasce più deboli.
La Legge 104/92 non fa altro che fornire una conferma di questo grottesco dato di fatto, formalizzando ciò che nei fatti avviene e cioè che le famiglie, lasciate sole, non possono fare altro che tentare come possono di rimediare alla carenza di servizi. Oltre al danno, però, c’è ora anche la beffa: mentre infatti si permette alle famiglie di sostituirsi allo Stato, si insinua che si tratti di “un favore”, ricordando loro, vigliaccamente, che questo comporta «un onere per lo Stato», come se questo “onere” non fosse stato già pagato in anticipo.
Quel documento, quindi, crea un pregiudizio generalizzato nei confronti delle persone con disabilità e dei loro familiari, che sono titolari di diritti inalienabili e non destinatari di generose concessioni.
Sulla questione trattata nel presente testo, suggeriamo anche la lettura, sempre nel nostro sito, di: Chi assiste un disabile non è un «parassita»: offensive quelle parole di Nicola Panocchia (cliccare qui).
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