Una famiglia vive nella Regione Veneto, in una situazione di abbandono, “frantumata” nella sua struttura, con il marito in casa insieme al figlio adulto affetto da autismo e la madre obbligata a vivere nella casa dei suoi genitori, perché il figlio stesso ha sviluppato un’aggressività pericolosa nei suoi confronti.
Il figlio non ha mai ricevuto un trattamento specifico di ausilio alla grave disabilità e pertanto risulta difficilmente gestibile. I genitori, coscienti di non essere sempiterni, hanno telefonato in tutta Italia, alla ricerca di un aiuto per trovare una struttura specifica per l’autismo che permetta al figlio di affrontare progressivamente una vita fuori casa, ma le poche strutture presenti sul territorio nazionale sono distanti e costringerebbero la famiglia a un doloroso distacco.
Ad aggravare poi la penosa situazione, è arrivata ora la sospensione delle provvidenze economiche e dei benefìci derivanti dalla Legge 104/92 perché la Commissione recatasi presso l’abitazione non è riuscita a vedere il ragazzo, trincerato in camera e, per paura di una crisi di aggressività, ha pensato bene di evitare rischi! L’epilogo, però, è stato amarissimo, in quanto sono stati appunto sospesi i benefici di legge, situazione sorta in seguito alle nuove procedure per il riconoscimento dell’invalidità civile – nate con la promessa di una semplificazione per il Cittadino e con l’intento di limitare gli abusi – che si stanno invece rivelando del tutto fallimentari e che creano disagi enormi alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Un intervento, insomma, che oltre a non aiutare certo queste ultime, non giova nemmeno assolutamente a stanare i cosiddetti “falsi invalidi”, come ha ben scritto Carlo Giacobini in Superando [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.].
Questo caso verificatosi nella Regione Veneto – ma ce ne risultano di simili sparsi un po’ in tutta Italia – è la lampante dimostrazione della distanza che separa l’Organizzazione socio-sanitaria nazionale dalle reali necessità dei pazienti e delle famiglie con soggetti autistici.
Da sempre abbiamo insistito sul bisogno di definire un “progetto di vita” per gli autistici e per le sindromi correlate, dove tracciare – sulla base delle conoscenze scientifiche più accreditate e delle linee di intervento definite dalla SINPIA [Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, N.d.R.] – i passaggi da attuare in accordo con la famiglia, la scuola e la sanità per una “presa in carico” efficace da parte delle strutture presenti nel territorio. Ovviamente questo presuppone l’attivazione di una rete di servizi che attualmente esiste solo a macchia di leopardo (e a macchie molto, molto piccole!).
Quello che però fa più inorridire è la quasi totale assenza di sensibilità e di organizzazione da parte della stragrande maggioranza delle Istituzioni Pubbliche, dove, quando viene fatto qualcosa, questo è dovuto solo all’impegno e alla dedizione di singole figure, spesso costrette a lottare contro i propri colleghi per disporre di un minimo di risorse e di attenzione.
Siamo letteralmente esasperati dalle continue e perseveranti dimostrazioni di inettitudine e di insensibilità da parte delle Pubbliche Amministrazioni, dove impera il gioco dello scaricabarile (è sempre colpa di qualcun altro!). Spesso ci troviamo a chiederci se viviamo in un Paese civile e sempre più spesso ci rispondiamo di no, in quanto non sapremmo come definire un Paese dove si fanno Leggi che non vengono finanziate, ove si definiscono programmi puntualmente elusi, si richiedono certificati illogici, come quello della rivedibilità, pur prevedendo la Legge 80/06 che «i soggetti portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti […] siano esonerati da ogni visita medica finalizzata all’accertamento della permanenza della minorazione civile o handicap». Un Paese in cui si disprezzano e si oltraggiano i disabili impunemente, costringendo troppo spesso i familiari, lasciati senza supporto e disperati, all’adozione di misure estreme che portano talvolta alla richiesta di grazia.
Qualcuno ha detto che il problema della disabilità verrà affrontato in modo serio solo quando ogni famiglia ne sarà coinvolta. Noi non auspichiamo proprio questo, in quanto sappiamo quanto sia enorme la disperazione e il peso da sopportare in una famiglia coinvolta dall’handicap, e ci riferiamo al senso di colpa indotto ancora da molti “addetti ai lavori”, alla lontananza delle Istituzioni, all’inadeguatezza delle risposte dei primi interlocutori (pediatri, servizi ecc.), alla difficoltà nell’inserimento scolastico, al dubbio verso le proposte “alternative” di molti “santoni” e spesso di qualche organizzazione, alla mancanza di supporti in ambito lavorativo (permessi, elasticità d’orario ecc.) – ciò che spesso costringe all’abbandono dell’impiego – o al mancato coordinamento tra gli organismi e altro ancora.
Di fronte a ciò desidereremmo comunque che i cosiddetti “normali” avessero almeno il rispetto per queste situazioni di dolore, di esasperazione e di alienazione e che la cosiddetta “Società civile” affrontasse una volta per tutte, senza ipocrisie e millanterie, il problema della disabilità fisica e mentale con rispetto, in primis per il paziente e per la famiglia.
Il nostro Paese – grande e primo in tanti settori, come nell’arte, nel diritto, nello sport, nelle scienze ecc. – ritiene di avere un sistema sanitario all’avanguardia, ma è ancora ben arretrato nel campo dell’assistenza socio sanitaria per l’handicap.
Auspichiamo dunque uno scatto di orgoglio da parte degli Amministratori e un preciso impegno affinché, supportati dalle valide persone impegnate in questo settore, sappiano trovare le risorse, la volontà e la sensibilità per un intervento di ampio respiro, capace di definire le modalità per affrontare una volta per tutte e in modo concreto questo gravissimo problema.
Il caso da cui siamo partiti – che sembra ora potersi risolvere positivamente, grazie all’impegno e alla sensibilità di alcuni operatori, che sono riusciti alla fine a far riscuotere gli arretrati sospesi e a esonerare il ragazzo da altri accertamenti relativi lo stato di invalidità – non sarà certo l’ultimo, ma ci deve essere di stimolo per combattere fino in fondo questa battaglia di civiltà e di giustizia.
Nello specifico di questa vicenda, rimane l’amarezza per l’insensibilità dimostrata dalle Istituzioni e per la farraginosità della burocrazia.
Ci auguriamo quindi che la famiglia, con l’aiuto delle Associazioni cui si è rivolta, trovi in breve tempo un centro in grado di accogliere il figlio, attraverso una “modulazione” all’inserimento, ovvero un passaggio non traumatico tra lo stare in casa e l’essere ospite nella struttura esterna, con il supporto, si spera, delle Istituzioni preposte.
Dal canto loro, l’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), Autismo Italia e F.A.N.T.A.Si.A. (Federazione delle Associazioni Nazionali a Tutela delle Persone con Autismo e Sindrome di Asperger), saranno sempre impegnate con tutte le loro forze in questa direzione.
*Presidente dell’ANGSA Veneto (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).
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