Nelle persone veramente determinate non esiste disabilità, o un altro tipo di impedimento, che possa fermare grandi passioni, come il desiderio di scoprire luoghi nuovi e lo spirito di avventura. Andrea Brigatti (56 anni), fin da piccolo è stato contagiato dall’amore dei genitori per i grandi viaggi. Crescendo, in particolare, è diventato un incallito centauro e velista.
A causa di un incidente, dal 2003 vive in sedia a rotelle, condizione che non gli ha impedito di coltivare queste sue passioni, vivendole in modo nuovo e, soprattutto, condividendole con le altre persone. La sua storia è un esempio di impegno e determinazione che regala ottimismo al mondo della disabilità per il 2024.
Nella vita di Andrea c’è stato un prima e dopo, che cos’è cambiato, ma soprattutto come sei cambiato tu?
«Domanda da un milione di dollari! Per tanti di noi “seggiolati da incidente” il giorno in cui siamo diventati disabili è un po’ un compleanno, di certo un punto di rottura, forse un nuovo inizio. Ho sempre considerato il 9 luglio 2003 un punto fermo che mi separa dall’Andrea di prima, più spensierato e sorridente, ma anche meno conscio di se stesso e della vita in generale. La seggiola a rotelle o “cadrega” che dir si voglia ha portato con se diverse complicazioni di cui il non camminare per me è la minore, eppure incredibilmente è anche una lente che mi permette di fare chiarezza tra ciò che è solo rumore e ciò che conta realmente. Mi aiuta a comprendere quello che per me è importante e per cui vale la pena spendere la fatica che costa il fare. Quel fare che non viene più facilmente, devi volerlo e tanto e quando arriva, beh ogni piccola cosa diventa una conquista e quella conquista diventa la misura di te e della tua felicità. Sono cambiato non perché sono diventato disabile (“diversamente abile” proprio non riesco a sentirlo), ma perché sono finalmente diventato conscio di quanto mi piaccia vivere la vita al posto del “lasciarmi vivere”… Spero che abbia senso anche per chi legge».
Una delle tue passioni è quella per il mare, e in particolare, per la barca vela. Ce ne puoi parlare?
«È un’estensione della mia passione per i viaggi, per l’avventura. Avevo 12 anni quando mio padre mi ha portato per la prima volta nel deserto. Quegli spazi incredibili, la luce tersa hanno lasciato il segno, si dice “mal d’Africa” mica per altro… Comunque appena ho potuto ho cercato di ritrovare quelle emozioni con i miei mezzi e dal mare di sabbia al mare vero il passo è stato abbastanza immediato. Chiudi gli occhi e prova ad immaginarti l’alba in una cala deserta di una qualsiasi isola del Dodecanneso con lo sciabordio delle onde che ti fa da sottofondo e nient’altro e avrai la risposta a ben più del perché amo la vela».
Nel 2014 incontri la barca a vela Cadamà: è vero che è stato un amore a prima vista, e da qui è nato l’omonimo progetto?
«Assolutamente sì. La prima estate dopo il famoso punto fermo ho voluto tornare in barca con gli amici nell’amato Egeo. Diciamo che fu un’esperienza rivelatrice, la barca non era accessibile, mi dovevo spostare sul sedere, tanto che a un certo punto me ne son portato via una fettina, proprio come fosse stato un salame, ma soprattutto non riuscivo a fare nulla di attivo, tanto che mi sentivo un sacco di patate. Quello è stato il momento in cui ho incominciato a sognare l’idea di Cadamà [di “Cadamà” si legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
Nel 2011 la vita mi ha regalato l’ennesima batosta con la morte di mio fratello maggiore. Sono riuscito ad uscire dal periodo nero che ne è seguito con due anni di analisi e direi soprattutto con l’idea di tornare a vivere l’avventura o l’emozione del mare con una barca che me lo rendesse possibile. Non avevo idea esattamente di cosa mi servisse, ma avevo chiaro che non poteva essere una cosa solo rivolta a me stesso, volevo che fosse qualcosa di più. Così chiesi ad amici ben più competenti di me di darmi una mano a trovare la barca ideale.
Nel 2014 vidi Cadamà per la prima volta. Fu amore a prima vista, ancora oggi non riesco a credere di essere armatore di una barca così bella. Come tutti i grandi amori portava con sé una certa dose di follia, non mi era ancora chiaro infatti cosa mi sarebbe servito per poterci navigare e per renderla vivibile. Sapevo solo che ci potevo girare con la mia seggiola e che ce ne stavano ben più di una e lo sapevo dalle foto perché ero ancora ben lontano dal poterci accedere. Tuttavia Amor Omnia Vincit e così Cadamà è entrata a far parte della mia vita con l’idea di essere condivisa con altre persone nella mia situazione.
Non esiste, o forse dovrei dire non esisteva, una letteratura su barche accessibili alle seggiole a rotelle. Quello che definisco Progetto Cadamà è il viaggio che dura tutt’ora, per rendere una barca in legno del 1971 vivibile dalle persone in seggiola a rotelle in tutte le sue molteplici facce; è un viaggio di scoperta empirica che passo dopo passo ha portato dallo scendere sottocoperta con bansigo e paranco ad avere due piattaforme elevatrici per arrivare fino alla cabina armatoriale, che ha visto ridisegnare la zona del pozzetto in modo che ci si possa mangiare o ci si possa girare sopra con le seggiole. Un progetto che ha visto negli anni molteplici modelli di sedute per poter stare in sicurezza al timone o alle manovre senza volare via, permettendo fino a quattro persone con disabilità di divertirsi anche con mare mosso e vento teso. Sedute che stanno ancora cambiando per essere più efficienti e comode e che con ogni probabilità verranno integrate da winch elettrici. Insomma un progetto che nel tempo continua ad evolversi, per essere sempre più godibile da chi magari già pensava di dover dire addio al mare aperto».
Si può affermare che un termine che contraddistingue Cadamà è sicuramente “condivisione”, che parte dal tuo desiderio di condividere la passione per il mare e far provare la barca a vela alle persone con disabilità?
«Condivisione, integrazione e direi anche comprensione. Quando parlo di altre persone con disabilità a bordo con me parlo di regate, di camp di vela e prossimamente spero anche di “viaggi avventura tra terra e mare” fatti di vela e handbike. È dal 2018 che con Cadamà partecipo alle regate del circuito delle vele d’epoca con un equipaggio misto, che vuol dire composto da fino a quattro membri in seggiola a rotelle, uno o due membri cui manca l’uso di un braccio o di una gamba, ma che riescono comunque a muoversi bene a prua e il resto “normodotato”. È un equipaggio che lavora insieme per far filare la barca al suo meglio, sembra evidente, ma se ti fermi un momento ti rendi conto che è tutt’altro. L’abile deve imparare a fidarsi delle capacità del disabile senza volerlo aiutare a tutti i costi, il disabile deve saper chiedere aiuto quando ha raggiunto il suo limite e ti assicuro che quando hai combattuto centimetro dopo centimetro per la tua autonomia è tutto tranne che una cosa facile.
Poi ci sono i camp di vela d’altura che ho sempre organizzato con l’aiuto concreto della Lega Navale e delle autorità locali che ci hanno concesso ormeggi e alloggi gratuiti. Si tratta di due giorni dove Cadamà, con un istruttore di vela e il suo regolare equipaggio, è a disposizione di massimo otto persone con disabilità, che durante la navigazione a rotazione provano i diversi ruoli, dal timone alle scotte della randa e del genoa, provando le diverse andature come se fossimo in regata. Normalmente la sera si mangia e si dorme a terra, per poi riprendere la navigazione il giorno seguente rientrando al porto di partenza. Sono belle esperienze, conviviali, che permettono di creare empatia e un grande spirito di gruppo e che mi hanno regalato grandi emozioni.
Tutte sono esperienze pensate per regalare emozioni e in questa direzione va anche l’ultima pensata di unire l’handbike alla vela e al turismo, perché sono convinto che le emozioni, quelle che ti attanagliano la pancia, ti fanno comprendere di essere vivo, ti mettono la felicità a portata di mano indipendentemente da quale sia il tuo acciacco…
Nelle regate Cadamà ha raggiunto ottimi risultati – soprattutto se pensi che non ci sono, per dire, un timoniere o un randista predefinito – ma la verità è che ogni volta che arriviamo su un campo di regata abbiamo già vinto per il semplice fatto di essere lì, tutti insieme, con il sorriso ebete stampato in faccia a goderci il mare, dimostrando per primi a noi stessi che una volta che ci sono i mezzi adatti e lo spazio per poterli mettere in pratica siamo veramente tutti uguali, che nonostante tutti i casini che ci sono a questo mondo, esserci è comunque una gran figata! E questa è la vera essenza del Progetto Cadamà».
Andrea, ci spieghi più nel dettaglio quali servizi offre Cadamà e quali sono le modalità per poterne usufruirne?
«Cadamà è una barca commerciale, che vuol dire che fa charter con un equipaggio che ha i titoli di legge per poter esser messo a libretto e che deve rispettare tutte le varie normative di sicurezza, può essere noleggiata per una giornata, per un weekend o alla settimana come ogni altra barca che fa charter, solo che, anche se non si vede, è accessibile alle seggiole a rotelle. L’ho voluta così perché all’epoca, prima di diventare armatore, cercai qualcosa di simile per me e la mia famiglia e non la trovai. Il limite, purtroppo, è quello di una barca in legno che ha compiuto 50 anni per cui la larghezza massima del tambuccio e la portata massima degli elevatori che sono riuscito ad installare non permettono l’accesso alle seggiole motorizzate con batteria. Vuol anche dire che ogni evento, regata, camp o uscita che faccio va fatturato e visto che è impensabile far pagare una persona con disabilità per partecipare a simili eventi, non con quello che già ti costa la seggiola che ti porta in giro e la vita su di essa, i costi, tolti gli aiuti logistici e materiali ricevuti dalle autorità locali, dalle Capitanerie di Porto e dalla Lega Navale, li sostengo io. Non ci possono essere donazioni e al momento non ci sono sponsor, per cui l’aiuto migliore è affittarla, per farci una bella vacanza.
Oltre che sul suo sito internet Cadamà è presente su Instagram e Facebook dove normalmente pubblico le prossime attività, novità o quant’altro. Questi social o una mail a info@cadama.it sono i metodi migliori per contattarmi.
La presente intervista è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Andrea, la barca a vela vintage e la sfida di un equipaggio misto con molte sedie a rotelle”, e viene qui ripresa, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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