C’è bisogno di tutti per migliorare!

di Marino Bottà*
«In una società in cui si sta trasformando radicalmente e rapidamente lo scenario socio-economico globale, non possiamo permetterci il lusso di sprecare nessuna risorsa umana!»: lo aveva scritto qualche tempo fa sulle nostre pagine Marino Bottà, che prosegue la propria disamina sulle varie questioni che ancora non permettono di parlare di una società realmente inclusiva per le persone con disabilità, centrando in particolare l’attenzione sulla necessità di una riforma ormai non più rinviabile della Legge 68/99 sul diritto al lavoro delle stesse persone con disabilità
Lavoratore con disabilità intellettiva
Un lavoratore con disabilità

(dalla puntata precedente…) Per arginare qualsiasi deriva sociale e culturale è innanzitutto necessaria una presa di coscienza di quanto sta accadendo intorno a noi, spesso a nostra insaputa.
Cominciamo con il prendere atto che la presenza sui social, nei programmi televisivi o negli spot pubblicitari ecc. non vuol dire vivere in una società inclusiva e tanto meno essere attori protagonisti della propria vita e partecipare attivamente a quella della propria comunità.
È innegabile che rispetto al passato le persone con disabilità siano più presenti nella scuola, nello sport, nelle situazioni pubbliche in generale, ma non per questo possiamo dire che abbiano raggiunto la meta. A riprova, le ultime Proposte di Legge a favore della riapertura di strutture manicomiali, il problema del sostegno scolastico, la riproposta di percorsi scolastici differenziati, la continua creazione di contesti speciali, a cui si aggiunge la bassissima percentuale di inclusione lavorativa per le persone più fragili.
Il giro di boa è già avvenuto e temo che ci stiamo avviando sulla strada del ritorno, da dove eravamo partiti cinquant’anni fa. Certe proposte ed esternazioni politiche stanno infatti accogliendo un largo e tacito consenso ed è quindi impossibile opporsi solo a parole al decadimento morale, etico e sociale in atto.
È pertanto necessario interrompere il cammino di ritorno al passato, nell’interesse non solo delle persone con disabilità, ma di tutta la società.
Per contrastare efficacemente il declino, non è sufficiente il mugugno (la protesta nel nostro Paese sembra oramai estinta), bisogna proporre e promuovere cambiamenti positivi; fare proposte concrete e realizzabili e, se necessario, costruire modelli alternativi dal “basso” per supplire alle carenze del welfare state. In altre parole, creare un welfare di prossimità solidaristico che coinvolga ampi strati sociali delle comunità locali.

Per prima cosa serve la riforma della Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili),una necessità sollecitata da anni dalle Istituzioni internazionali, dalle parti sociali e dalle Associazioni. Infatti, le prime critiche risalgono ad una Sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea del 4 luglio 2013 (Causa C-312/11, Commissione contro Repubblica Italiana [se ne legga ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.]), in cui si denunciava la mancanza di norme efficaci per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Successivamente fu il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità ad incontrare una delegazione del Governo Italiano per sottolineare le conclusioni negative emerse dal primo rapporto dell’Italia sull’attuazione dei princìpi e le disposizioni contenute nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. L’ultimo pronunciamento in ordine di tempo venne dall’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando che, dopo avere constatato la fortissima disomogeneità territoriale in cui versa il sistema del Collocamento Disabili, affermò: «Sono consapevole che partiamo da un quadro critico, se non addirittura, molto critico». A queste critiche si aggiungono quelle dell’associazionismo e di singole personalità politiche.

La riforma della Legge 68/99, dunque, alla luce dei cambiamenti socio-economici che si sono verificati in un quarto di secolo, e del bisogno occupazionale delle persone con disabilità, non è più procrastinabile. Serve una norma non ideologica, ma pragmatica ed efficace, rispettosa dei bisogni occupazionali delle persone con disabilità e delle esigenze di supporto delle aziende.
È con questo spirito che poco meno di un anno fa l’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) incontrò la viceministra al Lavoro e alle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci, sollecitandola a farsi promotrice di un’iniziativa riformatrice [a questo link è disponibile il testo della proposta elaborata dall’ANDEL, N.d.R.].
Anche l’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità si sta interessando ad una proposta di riforma. Sarebbe però opportuno un interessamento unitario da parte di tutte le Associazioni, mentre anche su questo siamo in ritardo, visto che proprio recentemente è stata presentata una Proposta di Legge per favorire l’inserimento lavorativo di una categoria di disabilità. Purtroppo l’autoreferenzialità e gli interessi di parte continuano ad essere il substrato culturale di tutti i soggetti sociali. Continuando così a farci del male! (continua)

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco, oggi direttore generale dell’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) (marino.botta@andelagenzia.it).

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