Combinando riflessioni autobiografiche con analisi filosofiche e sociali, il nuovo libro di Luigi Manconi La scomparsa dei colori (Garzanti 2024, 206 pagine) racconta la sua esperienza personale di cecità progressiva, dalle prime avvisaglie, lontane all’incirca una quindicina d’anni, fino alla presa di coscienza di essere divenuto completamente cieco.
Con grande lucidità, senza toni patetici l’autore, sociologo ed ex uomo politico, compagno della giornalista Bianca Berlinguer, che non manca mai di ringraziare, descrive il processo di graduale perdita della vista e l’impatto che ciò ha sulla percezione del mondo, in particolare sui colori, che si dissolvono o si trasformano nella memoria e nell’immaginazione.
Il testo è anche un racconto attento e puntuale su come la cecità alteri il rapporto con la realtà, creando un’interazione complessa tra memoria, immaginazione e percezione attuale. I colori diventano un simbolo centrale: mentre scompaiono dalla vista, la mente li ricrea e li reinventa, generando nuove tonalità mai viste prima. Questo fenomeno viene descritto attraverso una sorta di metafora di “lotta mortale” tra la luce e il buio, combattuta non solo negli occhi, ma anche nella mente.
Nel libro emergono anche riflessioni più ampie sulla condizione sociale della cecità e sulla disabilità, esplorando temi come il linguaggio, il corpo e la percezione di sé e degli altri.
Attraverso infine alcuni spaccati di vita quotidiana, il bicchiere d’acqua sul comodino che nell’afferrarlo finisce puntualmente a terra, oppure i tentativi mal riusciti di mettere lo zucchero nella tazzina di caffè o la difficoltà a riconoscere le banconote, Manconi affronta con ironia e lucidità la goffaggine e la vulnerabilità che accompagnano talvolta la perdita della vista, tanto più dichiarandosi completamente negato per la tecnologia. Allo stesso tempo, però, emergono nuove abilità, nuove consapevolezze, ma soprattutto la resistenza e la volontà di non soccombere alle difficoltà imposte dalla sua condizione.
Questo libro è sì una testimonianza personale, ma anche e soprattutto, per citare Massimo Marino sul «Corriere della Sera» del 14 ottobre scorso, «un autoritratto in punta di penna».
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