Nuova luce sulle basi genetiche della spina bifida, una delle più frequenti cause di infermità in età pediatrica. Ad annunciarlo è uno studio finanziato da Telethon e coordinato da Valeria Capra, dell’Istituto Gaslini di Genova. Pubblicato sulla rivista internazionale «Human Mutation», il lavoro è stato svolto in collaborazione con l’Università di Montreal (Canada), l’Istituto di Bioscienze e Tecnologia di Houston (Texas, USA) e l’Università dell’Iowa (USA).
Detta anche mielomeningocele, la spina bifida è una malformazione del sistema nervoso centrale che fa parte del gruppo dei difetti del tubo neurale. Questi ultimi colpiscono in Italia circa un neonato su 1500. Alla base di tali malformazioni c’è un’imperfetta saldatura del midollo spinale nel feto durante le prime settimane dopo il concepimento. In particolare, la spina bifida è dovuta a una mancata chiusura della cute e degli archi posteriori delle vertebre, con una conseguente esposizione all’esterno del tessuto nervoso spinale e delle meningi: nel nascituro questo provocherà paralisi degli arti inferiori, incontinenza della vescica, ritardo psicomotorio e deformità scheletriche. Attualmente non esiste alcuna cura.
Le cause della spina bifida possono essere di natura sia materno-ambientale, sia genetica. Al momento, l’unico gene noto come responsabile di questa malformazione si chiama VANGL1 e contiene le informazioni per una proteina fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso durante la vita embrionale: infatti, quando esso è difettoso, il tubo neurale non assume la forma corretta.
Analizzando dunque una popolazione di 773 individui italiani e americani colpiti da difetti del tubo neurale, Capra e collaboratori hanno individuato dieci nuove mutazioni in questo gene, metà delle quali localizzate in zone della proteina VANGL1, importanti dal punto di vista funzionale. Il prossimo passo sarà capire nel modello animale – il pesce zebra, in questo caso – il ruolo di queste mutazioni nell’insorgenza della spina bifida.
Nel frattempo, però, le informazioni emerse da questo studio potranno dare un contributo importante alla diagnosi della patologia. Al momento, infatti, lo screening diagnostico per la spina bifida viene effettuato mediante amniocentesi o ecografia prenatale. L’intenzione dei ricercatori è invece quella di offrire in futuro alle persone malate e ai loro familiari anche un test di screening di tipo genetico, che possa individuare eventuali mutazioni nel gene VANGL1. (Ufficio Stampa Telethon)
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