L’attendibilità e l’autorevolezza dell’informazione medico-scientifica e in particolare di quella pubblicata in internet, da chiunque venga prodotta, siano le associazioni di volontariato, siano gli stessi medici: siamo ben lieti di dar vita a un dibattito costruttivo su un tema come questo, a nostro avviso assai importante, con alcune riflessioni che stanno mettendo in luce i vari aspetti della questione.
Dopo l’ampio intervento ricognitivo di Simona Lancioni (L’informazione medica e le associazioni di volontariato, disponibile cliccando qui), avevamo pubblicato quello di Giorgio Genta (L’informazione medica ovvero una medaglia a due rovesci, disponibile cliccando qui), sorta di “replica” al precedente. Oggi è di nuovo Lancioni a riprendere l’argomento, rivolgendosi direttamente allo stesso Genta.
Gentilissimo Giorgio, credo che le sue osservazioni siano pertinenti. È vero che il mio articolo non parla delle precauzioni che dovrebbero essere adottate dai medici nelle loro comunicazioni al paziente o ai suoi familiari. Ed è anche assodato che non tutti i medici svolgono il loro lavoro con lo scrupolo e il rigore che la loro professione richiederebbe e, pertanto, anche l’informazione prodotta da un medico non può considerarsi ipso facto sicura. È altresì corretto che spesso il paziente e/o il suo familiare si trovano in una situazione di “asimmetria informativa” rispetto al medico, ossia che non hanno sufficienti competenze per valutare l’affidabilità dell’informazione medica che viene loro proposta. A ciò si aggiunga che la medicina non è una scienza esatta, e neppure neutra (sia sotto il profilo economico, sia sul versante politico). Però è altrettanto esatto che esistono i bravi medici, che questi non parlano per verità rivelata, e che sono formati ad agire sulla base delle evidenze scientifiche (prospettando al/alla paziente i pro e i contro dell’intervento/cura/terapia), e a supportare il momento decisionale senza sostituirsi all’interessato/a.
Poste queste premesse, su un punto è bene essere chiari: anche ammettendo che alcuni medici sbagliano, sarebbe irresponsabile pensare di poter diffondere informazioni di carattere sanitario che non siano prodotte da medici o da esperti dell’area medica. La qual cosa non significa che si debba assumere davanti a costoro un atteggiamento acritico. Al contrario, non bisogna mai rinunciare a porsi (e a porre) domande sul livello di prova dell’informazione (vale a dire se l’informazione si basa su una casistica – nel qual caso sarebbe utile informarsi sulla numerosità del campione e sulla metodologia utilizzata -, oppure se si basa su uno o pochi casi, o ancora se si basa sull’opinione di un esperto), sulle eventuali incertezze medico-scientifiche riscontrate, sull’aggiornamento delle informazioni, sugli eventuali conflitti d’interesse (chi finanzia lo studio, la ricerca, il farmaco oggetto di informazione, il convegno, il sito in cui è ospitata la notizia?). Il medico che non risponde a questi interrogativi non va esortato a essere più trasparente; se non vuole o non sa rispondere, non è un bravo medico e dunque, molto più semplicemente, non va preso in considerazione.
Che esista un problema di comunicazione tra medici e pazienti è un dato oggettivo. Se non ci fosse questo problema le associazioni di volontariato non si avventurerebbero nell’oneroso compito di cercare da sé le informazioni sanitarie e di metterle a disposizione di chi condivide la medesima esperienza. Però queste persone – proprio perché lamentano l’opacità comunicativa di alcuni medici – non possono permettersi di essere opache a loro volta. Diffondere notizie approssimative, non verificate, né verificabili, non basate sull’evidenza scientifica, non solo non è d’aiuto, è dannoso. L’adozione di standard di trasparenza è l’unico modo per dare un minimo di garanzia all’utente circa l’affidabilità delle informazioni sanitarie. Questa prassi – se posta in essere – non può non avere virtuose ripercussioni anche sul comportamento dei medici (se non vogliono perdere i pazienti non potranno più dare risposte fumose). La fiducia va conquistata. Il rigore metodologico non mette al riparo da tutti gli errori, ma è un utile strumento di prevenzione degli stessi e un buon biglietto da visita.
A proposito di trasparenza e conflitto d’interesse: io vengo dal mondo del volontariato, le situazioni delle “famiglie con disabilità” mi sono abbastanza familiari, pertanto ho tutto l’interesse a che questo mondo sia e rimanga pulito. Questo spiega ancora meglio perché la mia esortazione era rivolta al mondo del volontariato e non a quello della medicina. Come vede – qualunque sia il tema – la trasparenza aiuta a capire e a scegliere se accettare o rigettare un’argomentazione.
*Bibliotecaria-documentalista, responsabile del Centro di Documentazione Informare un’H di Peccioli (Pisa).
– L’informazione medica e le associazioni di volontariato, disponibile cliccando qui.
– L’informazione medica ovvero una medaglia a due rovesci, disponibile cliccando qui.
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