La diversità come una scarica elettrica

di Gianfranco Mattalia*
Non ha lasciato indifferenti i nostri lettori la testimonianza di Rossella Monaco, da noi pubblicata qualche giorno fa, nella quale l'autrice - autodefinitasi come "mamma bislacca" - raccontava le peripezie della figlia con grave disabilità nel suo percorso scolastico. Qui ben volentieri presentiamo una prima riflessione proveniente da una altro genitroe direttamente coinvolto in questi problemi

«Nostro figlio sarebbe stato certamente gradito in quella scuola superiore, a patto che mettesse da parte le sue potenzialità e le sue pretese di apprendimento e si adattasse a quello che la scuola poteva essere per lui: un buon parcheggio “affettuoso” e ben organizzato»: questo il senso della preziosa testimonianza di Rossella Monaco, da noi pubblicata qualche giorno fa, con il titolo Una madre «bislacca», Icaro e la scuola superiore (disponibile cliccando qui), che non ha lasciato indifferenti molti dei nostri lettori.
Qui diamo ben volentieri spazio alla risposta proveniente da un altro genitore direttamente coinvolto in questi problemi.

Oriella Orazi, Partecipare alla vita, 1999Cara mamma di Icaro, «mamma bislacca», come ti definisci, ho letto la tua lettera pubblicata da Superando.it e mi permetto di risponderti facendo alcune considerazioni.
Sono uno dei fondatori dell’ABC Piemonte (Associazione Bambini Cerebrolesi), sorta nel 1994, per cui ti dico che alcune delle nostre famiglie hanno già vissuto una situazione analoga alla vostra, la mia famiglia compresa.
Quello che in questi casi fa davvero la differenza è il riuscire a trovare, nell’ambito della scuola, la “persona chiave”, colei cioè che non solo apre la porta a nostro figlio, ma che soprattutto la apre al corpo docente della classe e poi ai compagni e poi agli altri allievi e docenti dell’istituto.
Non è facile trovare questa persona, anche perché non dimenticare che i docenti ordinari normalmente ne sanno poco o niente di handicap e tutto si fonda quindi sulla buona volontà. Se però la si riesce a trovare, allora tutto si apre, nostro figlio diventa come un “giardino in primavera che man mano fiorisce”, ma fiorisce man mano anche la classe e poi la scuola perché questa differenza di potenziale introdotta, la diversità, è come una “scarica elettrica” che origina una grande fonte di energia e che dà senso alla scuola, all’educazione e allo stesso ruolo della famiglia.

Potrei farti diversi esempi che mi sono stati raccontati dalle famiglie, ma mi limito a dirti cosa è successo a noi: dopo la scuola elementare fatta in casa come educazione paterna, abbiamo iscritto nostra figlia alla scuola media, ma ci siamo trovati nella situazione che tu hai descritto; quindi, dopo soltanto un mese di scuola, abbiamo preferito ritirarla e continuare l’istruzione a casa.
Memori dell’esperienza delle medie, prima di iscriverla al liceo scientifico, ci siamo rivolti al preside alcuni mesi prima dell’inizio dell’anno scolastico ed è stato proprio lui la chiave di cui parlavo prima: in un istituto dove non c’era mai stato un caso come il nostro, egli ha saputo prendere in mano la situazione e convincere i docenti della classe che questa sarebbe potuta diventare un’opportunità per la scuola stessa.
Ancora adesso mia figlia – che usa anche lei il metodo della comunicazione facilitata – prosegue negli studi grazie a questa positiva esperienza: ora frequenta il terzo anno della Facoltà di Lettere e ha già dato dieci esami con un assistente alla comunicazione scelto di volta in volta dal docente del corso in questione.

Morale: nell’aspettare che l’integrazione diventi vera a tutti gli effetti – e siamo in tanti a lavorare per questo obiettivo – non bisogna scoraggiarsi.
Io ti propongo di cercare questa “persona chiave” anche in altri istituti rispetto a quello che avete scelto con vostro figlio e di portarvi insieme un bel po’ di letteratura sulla comunicazione facilitata.
A questo proposito ricordo il libro di Rosemary Crossley Facilited Communication Training [sulla comunicazione facilitata e su questo testo, segnaliamo nel nostro sito l’articolo intitolato Una posizione sulla comunicazione facilitata, N.d.R.] e la pubblicazione curata dal Provveditorato di Rieti [Ci siamo anche noi, Arti Grafiche Nobili Sud, Santa Rufina di Cittaducale, Rieti, 1998, N.d.R.] che qualche tempo fa realizzò un’esperienza sul tema durata tre anni, in collaborazione con l’ASL e l’Università.
Inoltre, verificate la possibilità di far frequentare un corso di comunicazione facilitata ai docenti e ai compagni o siate voi stessi gli insegnanti (sapendo che questo è generalmente male accettato dai docenti).
Quindi, come stiamo facendo noi, provate con vostro figlio a fare delle sedute da un esperto di comunicazione facilitata per vedere se riesce a diventare indipendente: sarebbe la fine di ogni questione, anche se ciò non toglie che il diritto alla comunicazione (normale, aumentativa o alternativa che sia) appartenga a tutti, così come è vitale respirare!

*ABC Piemonte (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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