A proposito di integrazione incompiuta

di Lucia Valle
Una formazione iniziale e in servizio, solida e costante, sui temi della disabilità, per tutti coloro che vogliono intraprendere la strada dell'insegnamento: questo potrebbe dare prospettive di cambiamento "produttivo" all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questa riflessione, stimolata da un precedente contributo apparso sempre nel nostro sito

Alunna con disabilità e insegnanteMi riferisco a quanto scritto nel vostro sito da Giorgio Genta, nell’articolo intitolato L’integrazione incompiuta ovvero un’omissione e un rimpianto [disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Personalmente credo che “l’incompiuta” dell’istruzione italiana rispetto agli alunni con disabilità abbia purtroppo segnato il suo punto d’inizio proprio con i corsi di specializzazione per docenti in materia di handicap, con successiva attribuzione di punteggi che danno diritto di avere precedenza di assunzione nelle scuole.
Di fatto, con questa scelta politica, si è costruito quello sciagurato “doppio binario” che ha portato da un lato a moltiplicare oltre il dovuto il numero di docenti nelle scuole italiane (prima nelle primarie e via via anche nelle secondarie) e dall’altro ad un sostanziale avallo istituzionalizzato al “diritto all’ignoranza” per quella gran parte degli insegnanti italiani che non sentono l’esigenza personale di “aggiornarsi” in questo ambito della loro professionalità.
Non è purtroppo la sola via dell’aggiornamento, sia pure per tutti i docenti, quella che potrebbe dare prospettive di cambiamento “produttivo” all’integrazione scolastica: piuttosto si dovrebbe rendere obbligatoria per tutti coloro che vogliono intraprendere la strada dell’insegnamento una formazione iniziale e in servizio solida e costante, senza corsie privilegiate per le assunzioni.

Risultati negativi degli assetti istituzionali attuali? Cito solo i più eclatanti:
a) affollamento di insegnanti in una medesima classe e per un medesimo alunno, che si disorienta e si confonde le idee, mentre avrebbe invece bisogno, più dei suoi compagni, di avere punti di riferimento costanti e stabili;
b) delega “di diritto” all’insegnante di sostegno della gestione ordinaria e straordinaria dell’istruzione agli alunni con disabilità, con sostanziale discriminazione per questi rispetto al loro diritto alla socializzazione cognitiva (e non solo socio-relazionale);
c) moltiplicazione in buona sostanza non necessaria della spesa per l’istruzione;
d) moltiplicazioni di ruoli docenti e di graduatorie a cui le scuole devono attingere in modo anonimo, quando invece si sostiene che, perfino per assumere un manovale extracomunitario o una semplice badante, non si può prescindere dalla preliminare conoscenza delle loro reali competenze.

Non è tutto, ma comunque desidero precisare che mi ritengo una persona qualificata a sostenere tali critiche, dato che ho alle spalle quarantun anni di lavoro nella scuola italiana come docente e poi come dirigente scolastica, mentre attualmente insegno Psicologia dell’Educazione nei Corsi di Specializzazione Postlaurea per futuri insegnanti, compresi i SOS [Corsi di Specializzazione per le Attività di Sostegno, N.d.R.].

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