A poco più di un mese dalla presentazione ufficiale del Rapporto Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte dell’Associazione TreeLLLe, della Caritas Italiana e della Fondazione Agnelli (Erickson, 2011), l’eco suscitata in particolare dal quinto capitolo dello stesso [“Linee progettuali per un nuovo approccio all’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, N.d.R.] è stata davvero notevole, sia nella stampa sia nei vari social network e blog, per arrivare allo scambio di idee nelle associazioni professionali e scientifiche.
Di questo fermento e di questa discussione sono particolarmente contento, perché era uno degli obiettivi che il Rapporto si poneva, pensando che da sempre Pólemos è il padre di tutte le cose… Soprattutto di quelle più difficili e che ci stanno particolarmente a cuore, come in questo caso l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità.
Sentendo direttamente le prime impressioni sul Rapporto, ho colto condivisione su alcune parti di esso, accanto a varie perplessità, timori, paure e scetticismo. Queste reazioni mi hanno spinto ad allargare ulteriormente la conoscenza degli elementi fondamentali di questa proposta, sottolineando che l’integrazione non è in discussione, ma la sua realizzazione è spesso insoddisfacente.
Nel Rapporto, infatti, non si dubita mai del valore civile dell’integrazione, né degli sforzi e della buona volontà che migliaia e migliaia di persone vi profondono ogni giorno. Di questo non si discute, come non si discute del fatto che esistono molte esperienze di ottima integrazione. Il problema sta purtroppo nella realizzazione su larga scala di un’integrazione sufficientemente buona, in modo che i diritti di tutti gli alunni con disabilità siano realmente esigibili e soddisfatti, in ogni parte del nostro Paese e in ogni ordine di scuola.
L’integrazione scolastica efficace non è ancora diventata un’«istituzione» reale nel nostro sistema formativo. Nell’ormai pluridecennale storia dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità – nonostante il suo indiscutibile valore civile, i notevoli investimenti in risorse finanziarie e umane, gli sforzi e la buona volontà di tanti insegnanti e operatori e alcune ottime esperienze di buona integrazione – il sistema scuola nel suo complesso non è ancora riuscito a creare efficaci prassi che rispondano in modo equo e stabile ai diritti degli alunni con disabilità e delle loro famiglie.
Il punto del Rapporto che più di altri ha fatto discutere è l’evoluzione dell’attuale figura dell’insegnante di sostegno. L’ipotesi progettuale prevede infatti il passaggio degli insegnanti di sostegno all’organico normale delle scuole e contemporaneamente la creazione di un congruo numero di insegnanti “specialisti” ad alta competenza, con un profilo professionale ad hoc, formati al massimo livello e stabili nel loro ruolo. Questi specialisti sono figure professionali a tempo pieno, in grado di formare e supervisionare le varie componenti scolastiche, fornendo loro competenze chiave per un’efficace didattica dell’integrazione. Essi non hanno ore di lavoro didattico diretto con gli alunni con disabilità, sono operativi su base territoriale, prestando la loro opera itinerante in una serie di scuole, e hanno sede nel Centro Risorse per l’Integrazione (CRI).
In questo modo la figura dell’insegnante di sostegno, così come la conosciamo, si sdoppia in due dimensioni operative: la gran parte di essi diventa insegnante curricolare contitolare a tutti gli effetti, assegnato alla scuola, e una ristretta parte, rigorosamente selezionata e formata, entra in una dimensione consulenziale tecnica ad alta competenza.
Ecco, a mio avviso, la parte più forte della proposta del Rapporto: il superamento radicale della figura dell’insegnante di sostegno per come la conosciamo. Contemporaneamente a un organico “normalmente” potenziato, le scuole avrebbero a disposizione il lavoro tecnico di insegnanti specialisti davvero in grado di fornire quelle risorse metodologiche per far diventare la “normalità più speciale”.
Queste dunque sono le linee progettuali del nuovo modello, con i punti fermi da cui partono e gli scenari che intendono realizzare. Troppo lontane dalla situazione attuale? Troppo pericolose? Troppo destabilizzanti? Troppo scomode per chi vuole vivere solo di rendita di posizione? Alla fine di questo commento mi piacerebbe che, in tutta onestà intellettuale, il Lettore riconoscesse alla proposta, anche se fosse nel più completo disaccordo in merito ai suoi vari aspetti, l’obiettivo positivo e costruttivo di realizzare compiutamente un’integrazione scolastica di qualità, in nome dei diritti degli alunni con disabilità e delle loro famiglie, attraverso un cambiamento radicale che innovi concettualmente in modo profondo e non si accontenti di resistere in trincea ai continui tagli della politica scolastica governativa.
Per questo il mio invito è: «Iniziamo a discuterne» su internet, sui giornali e all’VIII Convegno Internazionale La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale di Rimini [18-20 novembre prossimi, N.d.R.].
*Università di Bolzano. Componente della Direzione Scientifica dell’VIII Convegno Internazionale La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale, Rimini, 18-20 novembre 2011.